Secondo il Governo il 67% delle coste può essere soggetto a concessioni, tra queste zone rocciose, strapiombi sul mare e spiagge libere. A rischio anche il Dl salva-infrazioni e la risoluzione di alcune procedure d’infrazione legate all’ambiente
Il crine di cavallo che la sosteneva si è spezzato e la spada di Damocle è caduta sul Governo. La stagione estiva è oramai alle porte e sono previsti 65,8 milioni di arrivi in Italia e oltre 266 milioni di presenze, per questa estate, con una crescita rispettivamente pari al 2,1% e all’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2023, secondo i dati del “Tourism forecast summer 2024” dell’istituto “Demoskopika” e la sentenza del Consiglio di Stato sulle concessioni balneari, in questo momento, suona come le note di un mozartiano requiem.
La questione dei “balneari” rischia così di costare molto cara al Governo perché non c’è più solo il pressing dell’Ue che chiede di intervenire con urgenza e ha già sanzionato l’Italia ma si è inoltre aggiunta la sentenza 3940/2024 pubblicata il 30 aprile ed emessa dalla VII° sezione del Consiglio di Stato sull’illegittimità di qualsiasi proroga oltre il 31 dicembre 2023, che non ha fatto che ribadire la ben nota linea di Palazzo Spada. Il punto chiave è che la Commissione europea continua a sposare questa posizione.
Negli ultimi confronti, la Dg Grow (la Direzione Generale per il mercato interno, l’industria, l’imprenditorialità e le PMI di Bruxelles, ndr), ha bocciato la mappatura puramente quantitativa delle coste, con la quale il Governo ha determinato che solo il 33% delle aree disponibili è occupato dalle concessioni e che, quindi, “non c’è scarsità della risorsa naturale”, presupposto per l’applicazione della direttiva Bolkestein e del relativo obbligo di gare.
La conseguenza – con Comuni e Autorità portuali che si muovono in ordine sparso e alcuni casi, Jesolo tra i più citati, dove si è deciso di procedere in autonomia con l’aggiudicazione delle gare – è l’impasse sul nuovo decreto salva-infrazioni. Il vero oggetto del contendere è la c.d. (non) scarsità della risorsa che il Governo, attraverso un bizantinismo tecnico e legislativo, ha definito grazie a un tavolo tecnico, insediatosi nel giugno 2023 e che, a ottobre, ha presentato i risultati della mappatura e i dati sui rapporti concessori in essere sulle aree demaniali marittime che, nelle more dell’operatività del sistema Siconbep, sono stati acquisiti attraverso la banca dati Sid.
Tale banca dati, tuttavia, non contiene i dati sul demanio lacuale e fluviale, la cui acquisizione richiede tempi lunghi di elaborazione, in quanto sono gestiti a livello comunale o sovraregionale e subordinati a preventive e complesse valutazioni di natura idraulica e idrogeologica. Il documento con i risultati finali non è pubblicamente disponibile perché, come riportato nel sito del Governo, “in data 10/11/2023, il nostro portale è stato temporaneamente oscurato. Questa misura è stata presa nell’interesse della sicurezza e della riservatezza dei dati”.
L’estensione del demanio marittimo
Secondo le stime del tavolo tecnico, il demanio marittimo in Italia, escludendo quindi fiumi e laghi, ha un’estensione pari a 381 milioni di metri quadrati, senza considerare le aree militari e quelle secretate. Il tavolo tecnico ha considerato i metri quadrati, e non i dati della lunghezza delle coste, perché ha ritenuto che “tale criterio rappresenta più fedelmente la fotografia della risorsa effettivamente libera occupata”. Nella mappatura è stato sommato lo spazio occupato dalle concessioni marittime, con quello su cui insistono aeroporti, parchi naturali, porti e aree industriali. Si è così definito un valore di 127 milioni di metri quadrati occupati che, rapportati ai 381 milioni di metri quadrati sopra indicati, danno una percentuale di spazio occupato pari al 33%. Dunque, secondo il tavolo tecnico e quindi il Governo, il 67% sarebbe libero e potrebbe essere dato in concessione, comprese le spiagge libere.
Da un lato, la mappatura del tavolo tecnico fornisce solo una valutazione a livello nazionale e non tiene conto delle situazioni specifiche dei comuni o delle regioni (che in alcuni casi peraltro fissano una quota minima di spiagge da lasciare alla libera fruizione, pari anche al 50%) e, dall’altro, nel calcolo delle aree disponibili, il tavolo tecnico ha considerato non solo aree come quelle industriali o i porti, che evidentemente non possono essere date in concessione per attività balneari, ma anche zone di costa rocciosa, che non possono essere agevolmente fruibili dai bagnanti.
Secondo il tavolo tecnico, la “minore accessibilità per condizioni naturali” delle zone rocciose non preclude la possibilità di installare stabilimenti balneari. In particolare il documento chiarisce che sono state incluse anche le aree di costa di minore accessibilità per condizioni naturali “potendo” essere interessate, anche se teoricamente, da investimenti di riqualificazione tali da renderle attrattive per lo sviluppo di nuove attività economiche. Si afferma, sempre nel documento, che “il totale delle aree disponibili non deve riguardare unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative” tenuto conto che “in alcuni casi opere a difesa della costa sono state concretamente utilizzate a fini turistico-ricreativi”.
Poco importa, quindi, se le spiagge libere siano, in realtà, disponibili solo teoricamente perché magari irraggiungibili via terra o fuori dalle aree concedibili secondo normative locali anche perché la strategia del Governo, d’altronde, era apparsa chiara fin da subito, ossia voler dimostrare ad ogni costo l’abbondanza di litorale ancora disponibile, e quindi potenzialmente assegnabile in concessione, per non dover liberalizzare le concessioni esistenti, come invece chiesto ripetutamente dall’Europa in ottemperanza della direttiva Bolkestein. Sarebbero meno, al contrario, secondo il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton che il mese scorso, rispondendo all’europarlamentare Rosa D’Amato dei Verdi, ha ribadito i dubbi sui lidi annoverati nel monitoraggio e ha suggerito di cambiare i criteri del calcolo, “basandosi su un’analisi qualitativa”.
La soluzione trovata, in realtà una “pezza”, è una sorta di escamotage, nemmeno troppo velato, con cui si limiterebbe l’applicazione della direttiva, che impegna l’Italia a mettere a gara le licenze, ai soli tratti di costa liberi. È più che mai evidente che l’obiettivo del Governo sia di non scontentare le richieste dei “balneari”, le cui concessioni sono state prorogate di un altro anno dal Governo, fino al 31 dicembre 2024 ma anche di giocare una “melina”, una tattica ostruzionistica che ha lo scopo di mettere l’Europa davanti al fatto compiuto, ossia l’inizio della nuova stagione e, quindi, il non poter procedere alla gare e alle nuove assegnazioni al fine di non ingenerare disagi ai turisti.
La protesta da parte dei “balneari”
Si è inasprita ed è scesa in piazza la protesta da parte dei “balneari” che hanno chiesto al Governo norme che diano certezze al settore. Ma si è trattato di un fronte non compatto che ha visto le associazioni di categorie divise. Da un lato, Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti hanno radunato imprese da tutta Italia lamentandosi dell’assenza del Governo al loro fianco e, dall’altro, Assobalneari-Confindustria e Base Balneare che hanno organizzato due conferenze stampa, alla Camera dei deputati e al Parlamento europeo di Bruxelles, puntando piuttosto il dito contro l’Unione, accusata “di gettare nell’incertezza lavorativa decine di migliaia di persone”.
Sempre dai “balneari” nei giorni scorsi è arrivata la richiesta, avanzata da Assobalneari Italia, associazione aderente a Federturismo Confindustria e La Base Balneare con Donnedamare, di un decreto legge prima dell’inizio della stagione turistica, per cristallizzare la mappatura realizzata dal Governo e consegnata alla Commissione europea.
“Bandi obbligatori, i dirigenti comunali rischiano di produrre un danno erariale”
Al Qds l’avvocato Roberto Manzi, uno dei massimi esperti italiani in materia di concessioni demaniali
A proposito della recente sentenza del Consiglio di Stato e delle responsabilità in caso di danno causato al patrimonio dello Stato, interviene al Qds l’avvocato Roberto Manzi, uno dei massimi esperti italiani in materia di concessioni demaniali.
Avvocato, inizierei da un suo commento relativamente alla recente sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, intima la messa a bando delle concessioni…
“Mi sento di dire che non c’è nessuna novità perché questa sentenza s’inserisce nell’orientamento ormai consolidato della giustizia amministrativa che ritiene che le concessioni siano scadute il 31 dicembre 2023 e che, quindi, indica che le autorità amministrative devono dare immediatamente corso alle procedure di gara per assegnare la concessione in un contesto concorrenziale. Ritengo che, quello che abbia spaventato gli operatori, sia proprio questa immediatezza indicata nella sentenza. La sentenza ribadisce che, quando con il c.d. decreto Milleproroghe il Parlamento intervenendo con la relativa conversione in legge spostando il termine delle concessioni al 31/12/2024, quell’ulteriore anno di proroga deve essere disapplicato da qualsiasi autorità, compresi i comuni”.
A questo punto, la palla passa ai sindaci…
“Esatto. I Comuni hanno l’obbligo di mettere a bando le aree destinate a uso balneare e i dirigenti comunali che non diano corso a tali procedure rischiano di produrre un danno erariale che, nell’ordinamento giuridico italiano, è il danno sofferto dallo Stato o da un altro ente pubblico a causa dell’azione o dell’omissione di un soggetto che agisce per conto della pubblica amministrazione in quanto funzionario, dipendente o, comunque, inserito in un suo apparato organizzativo”.
Le associazioni dei balneari hanno chiesto al Governo un decreto legge che cristallizzi la mappatura consegnata all’Europa. In punta di legge, è possibile che un decreto legge di uno Stato membro si opponga a una direttiva europea che avrebbe dovuto, invece, recepire?
“Il 16 novembre 2023 la Commissione europea chiese spiegazioni allo Stato Italiano relativamente alle proroghe legislative. In quell’occasione aveva dato 60 giorni di tempo per rispondere. La risposta del Governo fu che, per eseguire la mappatura secondo quanto richiesto da Bruxelles, avrebbe avuto bisogno di ulteriori quattro mesi, periodo che, guarda caso, corrispondeva al periodo che portava alle elezioni europee. L’interlocuzione tra lo Stato italiano e la Commissione è continuata ma, un provvedimento legislativo che sia stabilito unilateralmente dallo Stato italiano sarebbe soggetto alla disapplicazione in quanto contrario sia alle sentenze della Corte europee sia a quelle della giustizia amministrativa. Qualsiasi provvedimento che prevede una proroga ‘ex lege’ delle concessioni deve essere disapplicata e, al contempo, devono essere disapplicate anche tutte quelle norme che, in qualche modo, non consentono alle procedure di evidenza pubblica”.
Il ricorso di Legambiente contro la Regione siciliana
Legambiente Sicilia, patrocinata dagli avvocati Giulia Campo del Foro di Catania e Daniela Ciancimino del Foro di Agrigento e copresidente nazionale del Centro di Azione Giuridica, ha presentato ricorso straordinario per chiedere l’annullamento del Decreto dell’Assessore Regionale Territorio e Ambiente della Regione Siciliana n. 1784 del 30 dicembre 2023, che ha disposto la proroga delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024.
L’associazione ambientalista ritiene che “tale proroga è illegittima poiché si pone in aperta violazione delle norme europee e degli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia concessioni demaniali marittime, di tutela della concorrenza e dei diritti dei consumatori, nonché in materia di tutela dell’ambiente”. Legambiente, inoltre, rimarca il fatto che “il 2 novembre 2021 il Consiglio di Stato aveva già sentenziato l’illegittimità delle proroghe delle concessioni demaniali per violazione della direttiva Bolkestein, recentemente ribadita dalla sentenza dello scorso 30 aprile, ma anche il TAR Catania con sentenza n. 1256 del 2 aprile 2024, passata in silenzio, ha già sentenziato che il citato decreto assessoriale deve ritenersi come ‘tamquam non esset’, come se non esistesse”.
Legambiente al contempo ricorda che “in Sicilia è ulteriormente urgente dare seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 108 del 5 maggio 2022, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge regionale n. 17 del 21 luglio del 2021, che per un periodo ha consentito di rilasciare le concessioni demaniali marittime in assenza o senza la preventiva verifica di coerenza con le previsioni dei Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime (Pudm)”.
Appare significativa la motivazione espressa dalla Consulta che indica come “tali piani svolgono un’essenziale funzione non solo di regolamentazione della concorrenza e della gestione economica del litorale marino, ma anche di tutela dell’ambiente e del paesaggio, garantendone tra l’altro la fruizione comune anche al di fuori degli stabilimenti balneari, attraverso la destinazione di una quota di spiaggia libera pari al cinquanta per cento del litorale”. La norma siciliana annullata determinava, conseguentemente, un abbassamento del livello di tutela dell’ambiente e del paesaggio nei comuni costieri.
“Le spiagge sono un bene comune – ha ribadito Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia – che non può essere sottratto alla collettività, mentre spesso gli stabilimenti balneari diventano veri e propri locali, anche notturni, che occupano il demanio tutto l’anno. Sia la fruizione libera che la gestione da parte dei privati devono avvenire nel rispetto dei parametri ambientali e della sostenibilità, evitando di creare nocumento”.
Legambiente Sicilia reitera inoltre la richiesta di una “immediata attuazione dell’articolo 6 della legge regionale 32/2020 nella parte in cui prevede che l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente provveda a commissariare i Comuni che non hanno redatto e adottato il Pudm entro il termine ultimo del 30 giugno 2021, come peraltro ribadito e previsto dalla Delibera della Giunta Regionale – Presidente Schifani n. 52 del 20 gennaio 2023, rimasta totalmente inapplicata da oltre un anno”.
Cosa dicono la Corte Ue e il Consiglio di Stato
La Commissione europea ha aperto una prima procedura d’infrazione, con lettera di messa in mora del 2 febbraio 2009 e successiva lettera complementare del 5 maggio 2010, poi sanata con la legge 217 del 2011. Ma una seconda procedura d’infrazione è stata avviata con lettera di messa in mora del 3 dicembre 2020, è ancora aperta e, se il governo non convincerà Bruxelles con i dati del Tavolo, si entrerà probabilmente nella fase del parere motivato. La Corte di Giustizia Ue, con la decisione “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, ha bocciato le proroghe nei limiti in cui le concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo.
Il Consiglio di Stato, con le decisioni in Adunanza plenaria del 9 novembre 2021, ha annullato la proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, ammettendone la validità solo fino al 31 dicembre 2023, e specificando che qualsiasi eventuale ulteriore proroga automatica oltre quella data sarebbe stata immediatamente disapplicabile. Ciò nonostante, a febbraio, il governo ha approvato una proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2024 o fino a tutto il 2025 in caso d’impedimenti oggettivi alle gare. La Corte di giustizia Ue è intervenuta con una nuova pronuncia il 20 aprile 2023, riaffermando che giudici nazionali e autorità amministrative, compresi i Comuni, devono disapplicare disposizioni contrarie all’obbligo di gara.
Tuttavia, la Corte ha affermato che gli Stati membri hanno piena discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili per la quantificazione della scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili. Last but not least, lo scorso 30 aprile è stata pubblicata la sentenza 3940/2024, emanata il 12 marzo, in cui la VII° sezione del Consiglio di Stato ha confermato la scadenza a fine 2023. Le spiagge sono una risorsa “sicuramente scarsa” e la scadenza delle concessioni balneari al 31 dicembre 2023 deve essere rispettata, e dunque vanno disapplicate le proroghe alla fine del 2024 prevista dal c.d. decreto Milleproroghe 2022.