Inquinamento, a Palermo e Catania traffico e aria "avvelenata"

Palermo e Catania, traffico e aria “avvelenata”. Servono scelte coraggiose sulla mobilità sostenibile

Antonino Lo Re

Palermo e Catania, traffico e aria “avvelenata”. Servono scelte coraggiose sulla mobilità sostenibile

Roberto Greco  |
giovedì 21 Marzo 2024

Il biossido di azoto va ridotto del 40% entro il 2030. Intanto la Commissione Ue avvia una nuova procedura

Città siciliane paralizzate dal traffico e aria che diventa irrespirabile. Lo sanno bene i cittadini di Catania, uno dei centri con la maggiore concentrazione di auto per abitante in Italia, dove negli ultimi giorni una serie di concause (lavori sulla tangenziale, restringimenti di carreggiata e vari incidenti) hanno trasformato in un inferno di stress e smog i principali snodi viari che si intersecano sotto il Vulcano.

La mobilità sostenibile resta sullo sfondo con Amministrazioni restie a prendere scelte coraggiose, come quella di ampliare le pedonalizzazioni e limitare (o vietare del tutto) l’ingresso delle auto nei centri urbani, per la paura di non perdere consensi elettorali a breve termine. E intanto i livelli di inquinamento sono oltre limiti normativi che saranno approvati a breve dall’Ue, previsti per il 2030 e soprattutto dai valori suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), evidenziando la necessità di un impegno deciso, non più rimandabile, per tutelare la salute delle persone.

Parlano chiaro i dati del report “Mal’Aria di città 2024” in cui Legambiente ha analizzato i dati del 2023 nei capoluoghi di provincia, sia per quanto riguarda i livelli delle polveri sottili (PM10, PM2.5) che del biossido di azoto (NO2). In sintesi, 18 città sulle 98 monitorate, hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo) mentre erano state 29 le città fuorilegge nel 2022 e 31 nel 2021. Le città italiane, da Nord a Sud, presentano ancora considerevoli ritardi rispetto ai valori più stringenti proposti dalla revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria che entrerà in vigore dal 2030 (20 µg/mc per il PM10, 10 µg/mc per il PM2.5 e 20 µg/mc per l’NO2). Anche il report redatto da Snpa, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, “La qualità dell’aria in Italia – edizione 2023” non lascia dubbio alcuno. Siamo ancora lontani dal rispettare gli obiettivi che dovranno portarci al 2030 e, inoltre, la situazione d’inadempimento rispetto ai superamenti di qualità dell’aria per alcuni inquinanti ha determinato l’apertura di tre procedure d’infrazione contro l’Italia.

Italia sotto accusa dall’Unione Europea

Proprio in questi giorni, la Commissione europea ha avviato un nuovo iter per l’inosservanza della sentenza della Corte di giustizia Ue del 10 novembre 2020. Bruxelles denuncia che nel 2022 in Italia “ventiquattro zone di qualità dell’aria” presentavano “valori limite giornalieri” di concentrazione dell’inquinamento superiori al consentito e una zona superava i limiti annuali. L’Italia ha ora due mesi di tempo per rispondere e “colmare le carenze”. In assenza di una risposta “soddisfacente”, la Commissione “potrà decidere di deferire l’Italia alla Corte, con la richiesta di irrogare sanzioni pecuniarie”.
In totale sono tre le procedure che attualmente pendono sull’Italia. La prima, aperta a luglio 2014, riguarda i superamenti del PM10 (procedura 2014/2147), mentre una seconda, risalente a maggio 2015, è relativa alla concentrazione oltre i limiti dell’NO2 (procedura 2015/2043). Per entrambe le procedure la Corte di giustizia Europea ha emesso sentenza di accertamento dell’inadempimento da parte dell’Italia ex articolo 258 del TFUE. Entrambe le sentenze riguardano, tra le Regioni, anche la Sicilia. Nel 2020, infine, è stata aperta la terza procedura di infrazione contro l’Italia per i superamenti del PM2,5 ad oggi ancora allo stato di messa in mora ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Ue.

Il ruolo delle Regioni

Le norme nazionali in materia di qualità dell’aria affidano alle regioni e alle province autonome le attività di valutazione e di pianificazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale, identificare le misure più efficaci per il rispetto dei valori di qualità dell’aria e assicurarne l’attuazione. Il ruolo dell’azione regionale ha un’importanza centrale nel processo di risanamento della qualità dell’aria eppure, nonostante i piani di risanamento sempre più ambiziosi che si sono susseguiti negli anni, la presenza di aree territoriali in cui sono presenti condizioni orografiche e metereologiche particolarmente svantaggiose alla rimozione degli inquinanti, ha fortemente rallentato il processo di risanamento.

La Sicilia nella morsa del biossido di Azoto

Anche se nessuna delle città siciliane è menzionata tra le undici più inquinate da PM10 o da PM2,5, la situazione è tutt’altro che rosea perché sia Palermo sia Catania compaiono nel gruppo delle otto città italiane più inquinate da NO2, il biossido di azoto, un “veleno” che è prodotto principalmente dal traffico veicolare. In entrambe le città sono stati rilevati 33 μm di NO2, che dovranno essere ridotti di circa il 40% rispetto ai limiti normativi previsti per il 2030, riduzione necessaria che riguarda comunque anche le emissioni di PM10 e PM2,5 che a Palermo dovranno essere rispettivamente tagliate del 22 e del 25% mentre a Catania del 29 e 17%.

Sempre in Sicilia, però, il dato relativo al PM10, 50 μg/m3 per la media giornaliera da non superare per più di 35 giorni in un anno, è disatteso nelle aree industriali e in una in particolare, quella di Priolo Gargallo, si registra un valore oltre soglia che riguarda le emissioni di cadmio. Sempre in Sicilia, inoltre, è necessario attenzionare il sistema idrotermale dell’isola di Vulcano legato al cratere La Fossa che mostra delle anomalie nei segnali geochimici, indicanti che è in atto una agitazione del sistema vulcanico. I segnali geochimici di questa instabilità sono legati a un forte aumento del degassamento passivo di CO2 dal suolo e alla variazione delle specie chimiche emesse dalle fumarole crateriche ad alta temperatura a vapore dominante. Si è assistito, infatti, a un incremento sia della concentrazione che del flusso di CO2 e SO2 emessi in atmosfera dalle fumarole, al punto che a seconda delle condizioni del vento, queste raggiungono facilmente la zona abitata di Vulcano Porto.

“Necessario un cambio di passo che deve partire da una grande sinergia tra livello locale e nazionale”

Interviene al QdS il dottor Giorgio Cattani, responsabile della Sezione monitoraggio della qualità dell’aria di Ispra e responsabile del report “La qualità dell’aria in Italia – edizione 2023”.

Dottor Cattani, leggendo il vostro report si potrebbe commentare “bene ma non benissimo”…

“Quello che abbiamo osservato, di positivo, è una tendenza, nell’arco di dieci anni, alla riduzione delle concentrazioni abbastanza generalizzata per ciò che riguarda il biossido di azoto e il PM 2,5. Guardando il 2023 si notano aspetti positivi anche per il PM10 ma bisogna tener conto che proprio il 2023 è stato un anno abbastanza favorevole, rispetto alle condizioni meteorologiche che normalmente influenzano la qualità dell’aria, perché abbiamo avuto un numero di giorni di stagnazione atmosferica inferiori alla media, soprattutto nelle zone critiche del bacino padano e in alcune zone dell’entroterra in cui si verificano fenomeni che portano all’accumulo degli inquinanti e alla formazione in atmosfera di nuove particelle, a partire da inquinanti gassosi, proprio per questa particolarità climatica sono risultati inferiori e questo può aver contribuito a questa situazione più favorevole del 2023. Purtroppo persiste, a tutto il 2023, per quanto riguarda il PM10, l’11% delle stazioni di monitoraggio che registrano superamenti del valore limite giornaliero. Questo rappresenta un problema perché, questi valori limiti, avremmo dovuto già rispettarli dal 2010. Da questo punto di vista la Commissione Europea continua a bacchettarci perché non stiamo rispettando la sentenza del 2020 che ci imponeva il rispetto dei limiti su tutto il territorio. L’altro aspetto che rimane critico è il superamento del biossido di azoto nelle zone di grande concentramento urbano, come Roma, Milano, Palermo e Catania”.

Siamo costantemente oggetto d’infrazioni comunitarie: tra il 2014 e il 2020 sono state emesse, nei confronti dell’Italia, tre procedure relative al superamento di PM10, PM2,5 e No2…

“Questo ci costa in termini economici e il tema che la difficoltà di ridurre i livelli è un dato di fatto. Rispetto al resto di Europa, in realtà, il nostro posizionamento non è inferiore a quello di altri Stati membri e la quota di emissioni che siamo, in questi anni, riusciti ad abbattere è in linea, se non migliore, a quella dei principali paesi europei. Scontiamo però il fatto di essere partiti da un carico emissivo molto alto e le difficoltà dovute alle condizioni orografiche e climatiche del nostro paese che non ci agevolano il compito. È sicuramente necessario accelerare i processi anche se con la Commissione Europea è stato raggiunto un accordo che ha abbassato i valori limiti da raggiungere per il 2030 e prevede la possibilità di deroghe nel caso in cui, a fronte dell’aver fatto tutto il possibile, in determinate zone del paese non sia stato possibile raggiungere gli obiettivi previsti”.

Rispetto agli obiettivi 2030, la “cattiva” qualità dell’aria può penalizzarci?

“È difficile da prevedere. Basandoci sull’esperienza passata quello che possiamo evidenziare è che, ad esempio, sul traffico veicolare siamo riusciti a svecchiare il parco auto che oggi, in larga parte, è EURO5 ed EURO6, riducendo così circa del 50% i livelli di No2. Quello che riduci, però, in termini di emissione non si traduce in concentrazione anche perché per ridurre realmente le emissioni richiede tempo. È chiaro che spostare percorrenze dal veicolo privato a quello pubblico è complicato e non possiamo pensare che possa essere fatto in breve tempo. È sicuramente necessario un cambio di passo che deve partire da una grande sinergia a livello locale, regionale e nazionale nella pianificazione e attuazione delle misure e ci aspettiamo che ci sia sinergia anche con le azioni del processo di decarbonizzazione per la riduzione dei gas serra. Agendo sul traffico, per la riduzione le emissioni di Co2, contemporaneamente agiamo sulle emissione degli inquinanti ma ci sono aspetti che non risolviamo solo con la tecnologia”.

Cioè?

“Le emissioni di particolato non avvengono solo allo scarico ma, soprattutto nel caso di mezzi pesanti, avvengono a seguito di fenomeni di attrito come il rotolamento delle gomme sull’asfalto, l’attrito dei freni. Queste particelle saranno rilasciate anche dai veicoli elettrici e, per ridurre questa parte di particolato, sarà necessario intervenire con la riduzione dei chilometri percorsi nelle strade e con soluzioni di mobilità sostenibile con il trasferimento di quote di trasporto dalla strada ad altre modalità o dal privato verso il pubblico. Un altro esempio è quello dei sistemi di riscaldamento che usano legna e derivati che danno un importante contributo all’inquinamento atmosferico anche con le nuove caldaie, nonostante la legna sia considerata una fonte sostenibile ai fini dell’emissione dei gas serra. In questo caso, soprattutto in alcune zone del paese, sarà necessario trovare sistemi di riscaldamento alternativi”.

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