Per l’attività venatoria in Sicilia serve un concreto “cambio di passo” - QdS

Per l’attività venatoria in Sicilia serve un concreto “cambio di passo”

redazione

Per l’attività venatoria in Sicilia serve un concreto “cambio di passo”

mercoledì 17 Maggio 2023

Caccia Sport e Natura fa appello all’Assessorato regionale con cinque proposte per tutelare il settore

Noi di Caccia Sport e Natura dobbiamo ammettere che, dopo gli innumerevoli appelli e i ripetuti incontri del nostro presidente Domenico Portale con i vari assessori succedutisi negli ultimi anni, abbiamo creduto che si fosse riusciti ad avviare quel “famoso cambio di passo” tanto richiesto.

L’avvio di qualche censimento, anche se parziale e discontinuo, e l’inizio già nel mese di gennaio dello scorso anno della stesura del Calendario Venatorio con la possibilità di pubblicarlo in anticipo, rispetto agli anni passati, ci avevano fatto sperare di poter evitare i soliti ricorsi al Tar nell’imminenza dell’apertura della caccia.

Ricorsi cui sono seguite ordinanze a stagione venatoria iniziata, con aperture, chiusure e riaperture a questa o quella specie, alimentando un clima di confusione ed incertezza nei cacciatori, che sempre più rinunciano a praticare la propria passione per evitare di rischiare pesanti sanzioni penali per non aver letto l’ultimo decreto, pubblicato la sera prima, a seguito dell’ennesima ordinanza del Tar.

Purtroppo, la solita burocrazia ha prevalso e il Calendario è stato pubblicato appena due settimane prima del termine ultimo stabilito dalla legge, con tutte le conseguenze negative già sperimentate in passato.

Ad aggravare la situazione, la condizione delle Unità Operative dell’assessorato dell’Agricoltura, che a livello provinciale hanno il compito di attuare sul territorio regionale quanto previsto dalla legge, il cui personale non è mai stato rimpiazzato e quindi non è più in numero sufficiente nemmeno a garantire l’ordinaria amministrazione.

È ormai evidente che, perdurando ancora questa situazione, il numero di appassionati che rinunciano a praticare l’attività venatoria sarà sempre più elevato ed è facile prevedere la scomparsa dell’intero settore entro pochi anni.

Se ad alcuni, dotati di scarsa lungimiranza, la scomparsa dei cacciatori dall’isola potrebbe sembrare cosa assai positiva e garantire la salvezza degli animali selvatici, purtroppo, la realtà è ben diversa.

A parte il danno economico, pari a centinaia di milioni di euro, per tutte le famiglie il cui sostentamento deriva, direttamente o indirettamente, dall’attività venatoria, che trovandosi senza un reddito andranno inevitabilmente a ingrossare le fila dei disoccupati e le minori entrate per l’erario nazionale e regionale, pari a decine di milioni di euro che dovranno essere reperiti altrove, il danno sicuramente maggiore, oggi non quantificabile, sarà a livello ambientale.

Per far comprendere le motivazioni di tale affermazione, dobbiamo sinteticamente ricordare che, da quando si è preso coscienza degli elevati squilibri nell’ambiente creati dalle varie attività umane, sono state istituite sempre più “aree protette”, cioè porzioni di territorio in cui le attività umane sono fortemente limitate o del tutto vietate come la caccia. Questo nel tentativo di impedire ulteriori stravolgimenti del territorio e permettere alla natura di “riposare” ripristinando così l’equilibrio perduto (In Sicilia, per esempio, abbiamo oltre la metà del territorio agro-silvo-pastorale, tra parchi, oasi, riserve, ecc…, “protetto” in varia misura).

Vi è da aggiungere che, contemporaneamente, nella società si è man mano sviluppata una particolare sensibilità per tutto ciò che si identifica con la natura e l’ambiente. Ottima cosa, si potrebbe pensare, che le nuove generazioni abbiano sviluppato una maggiore sensibilità verso l’ambiente e lo è certamente, se non fosse che tale sensibilità scaturisce, quasi sempre, da una conoscenza dei comportamenti degli animali selvatici molto superficiale e assai diversa dalla cruda realtà, con la conseguenza che, nell’immaginario comune, la fauna selvatica è andata a rappresentare un elemento di naturalità da tutelare e difendere ad ogni costo dall’uomo “cattivo”.

Va anche detto che in ambito scientifico si era consapevoli che tale “tutela” era necessaria, ma insufficiente. Gli equilibri in natura si formano in tempi lunghissimi, anche di migliaia di anni. Riequilibrare un’area compromessa in tempi accettabili comporta necessariamente la “gestione” da parte dell’uomo, con azioni spesso “cruente”. Tesi corretta, ma difficile da far accettare.

Nel frattempo, in assenza del “predatore uomo”, nelle aree “protette” gli squilibri, invece di diminuire, sono aumentati a dismisura, con un’espansione incontrollata di alcune specie a danno di altre, fino alla loro estinzione, aggravando ciò che in ambito scientifico viene definita “perdita della biodiversità”, esattamente l’opposto degli obiettivi che si volevano raggiungere.

Chi si è trovato nella scomoda posizione di dover “gestire” l’area, per evitare di adottare decisioni “potenzialmente impopolari” ha preferito o non fare nulla (prassi normalmente seguita) o scegliere i cosiddetti “metodi ecologici”. In altre parole, escludere l’azione dell’uomo e, a parte qualche sistema di contenimento passivo, quali recinzioni, dissuasori e repellenti, per limitare i danni alle colture agricole, affidarsi ai cosiddetti predatori “naturali” per contenere le specie di fauna selvatica in espansione. Da qui anche la decisione, in alcuni casi, di immettere dei predatori, estinti da secoli, nella speranza che riuscissero a riequilibrare le aree in questione.

È quasi inutile aggiungere che tali immissioni, se possono avere una qualche possibilità di successo in habitat molto particolari, dove l’uomo è arrivato in tempi relativamente recenti, come alcune aree degli Stati Uniti, in territori come quello italiano, antropizzato da migliaia di anni, hanno creato solo ulteriori effetti distorsivi, peggiorando, di fatto, la situazione esistente.

La situazione si è aggravata ulteriormente quando “il problema” ha valicato i confini delle aree protette e si è diffuso alle aree limitrofe, passando dall’essere esclusivo oggetto di studio degli specialisti, alle pagine di cronaca dei quotidiani.

Solo recentemente il legislatore nazionale ha preso atto di questa realtà e, con una scelta tecnicamente necessaria, del resto non più rinviabile, ma politicamente coraggiosa, ha autorizzato le regioni, “qualora i metodi di controllo impiegati si rivelino inefficaci”, non solo ad attuare piani di controllo mediante abbattimento, ma avvalendosi dei cacciatori iscritti negli ambiti territoriali di caccia. Confermando che tali piani di controllo possono essere effettuati in modo efficace, non da personale improvvisato, ma solo da persone dotate della necessaria esperienza.

Ci sentiamo in dovere di dire che l’amministrazione regionale, probabilmente perché pressata dalla gravità della situazione in cui versa l’ecosistema siciliano, ha già fatto i primi timidi tentativi per selezionare i cacciatori necessari ad attuare i futuri piani di controllo, riscontrando però numeri inferiori alle previsioni. Segnale inequivocabile che lo stato di abbandono, in cui si trova da anni il settore venatorio nell’isola, ha provocato un vero e proprio crollo nel numero dei cacciatori che, solo alcuni anni fa, erano assai numerosi. Crollo che, perdurando l’attuale situazione, non potrà che assumere dimensioni sempre maggiori.

In conclusione, dato che anche l’amministrazione regionale ha preso atto della necessità di dover utilizzare la “risorsa” rappresentata dai cacciatori, rinnoviamo il nostro appello all’attuale assessore regionale di non ripetere quanto fatto dai suoi predecessori che hanno preferito ignorare il problema e dedicarsi ad altro, ma di attivarsi immediatamente in modo serio ed efficace, non solo per garantire il legittimo diritto di ognuno di praticare, nel rispetto della legge, la propria passione in tranquillità, ma, soprattutto, per “preservare” la risorsa rappresentata dai cacciatori che, com’è ormai evidente, non ha alternative praticabili nell’immediato.

Le criticità di cui soffre il settore venatorio in Sicilia sono ampiamente conosciute, insieme alle opportune soluzioni che elenchiamo sinteticamente:

1) Assegnare il personale necessario a coprire i posti rimasti vacanti presso le Unità Operative dell’assessorato, che sono, appunto, le unità che a livello provinciale dovrebbero attuare sul territorio regionale quanto previsto dalla legge e che non sono più in grado di assicurare neanche l’ordinaria amministrazione per mancanza di personale;

2) Far programmare alle Unità Operative delle varie province una pluriennale e coordinata serie di censimenti delle principali specie selvatiche, avvalendosi dei cacciatori, in qualità di volontari a titolo gratuito, e quindi con costi estremamente ridotti. La consapevolezza dello stato di conservazione delle varie popolazioni di fauna permetterà l’emanazione di un valido calendario venatorio che non sia facile oggetto di critiche da parte dell’interessato di turno;

3) Far avviare alle Unità Operative, sempre con la collaborazione degli stessi cacciatori e, quindi, a titolo gratuito, la cosiddetta “gestione faunistica” per le specie stanziali, prima fra tutte la Coturnice siciliana “Alectoris graeca whitakeri”, presente solo in Sicilia e, quindi, di elevato interesse faunistico. Ci permettiamo ricordare che Caccia Sport e Natura, per il tramite del suo presidente Domenico Portale, ha già proposto, da tempo, all’assessorato un articolato progetto pluriennale di monitoraggio e reintroduzione della specie nelle aree depauperate;

4) Pubblicare il Calendario venatorio in tempo utile per soddisfare la legittima richiesta dei cacciatori di dover conoscere, prima dell’inizio della stagione venatoria, le prescrizioni da seguire, senza rischiare pesanti sanzioni penali per non aver letto un decreto di modifica a stagione inoltrata;

5) Permettere il regolare ricambio generazionale dei cacciatori, ostacolato oggi dalle obsolete modalità di svolgimento degli esami, che impediscono di poter convocare i candidati in tempi accettabili. Tanto per essere chiari, in questi giorni, a Catania viene esaminato chi ha presentato domanda all’inizio del 2021, con la conseguenza di avere tanti candidati che rinunciano nell’attesa o non presentano neppure la domanda, non tollerando di dover attendere anni per sostenere un esame.

Noi crediamo che tali soluzioni, attuabili rapidamente a costi nulli o, comunque, molto ridotti, sono sicuramente alla portata della Pa, in quanto ci rifiutiamo di credere a chi afferma che l’Amministrazione regionale ha già dimostrato di non riuscire a svolgere efficacemente questo ruolo e debba riconoscere la propria incapacità, assegnandolo ad altra amministrazione, come avviene in altre regioni.

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