Barbacetto, “Occorre ricostruire la memoria di questo e altri eventi della storia” - QdS

Barbacetto, “Occorre ricostruire la memoria di questo e altri eventi della storia”

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Barbacetto, “Occorre ricostruire la memoria di questo e altri eventi della storia”

mercoledì 16 Febbraio 2022

“Avendola vista nascere, posso assicurare che Mani pulite non fu frutto di una macchinazione, di un complotto”

“Avendola vista nascere, posso assicurare che Mani pulite non fu frutto di una macchinazione, di un complotto”. Gianni Barbacetto – un passato a Il Mondo e L’Europeo, oggi tra le principali firme del Fatto quotidiano -, è stato uno dei giornalisti che ha seguito con maggior puntualità il “biennio magico” dall’arresto di Mario Chiesa il 17 febbraio del 1992 alle dimissioni di Antonio Di Pietro, il 6 dicembre del 1994, e gli effetti di quel fenomeno, ancor oggi riscontrabili.

“Quella tangentina – spiega Barbacetto – da sette milioni di lire (3.500 euro ndr.) che l’ing. Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, aveva intascato da Luca Magni, titolare di una piccola impresa di pulizie, rappresentava soltanto uno dei numerosi casi di piccola corruzione amministrativa milanese. Un fenomeno già noto a Di Pietro e a magistrati come Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo. Ma l’arresto dell’ex assessore comunale socialista causò un imprevisto effetto domino”.

“Di Pietro – sottolinea il giornalista – da ex poliziotto aveva capito che non si trattava di un ‘mariuolo isolato’ (così Craxi aveva definito Chiesa ndr.), ma che esisteva un sistema di finanziamento dei partiti capace di tassare con percentuali predeterminate ogni lira uscita dalle casse degli enti pubblici. Così il pm interrogò otto imprenditori, ben più grandi di Magni, che al Trivulzio facevano forniture per milioni. Tutti confessarono di aver pagato, facendo i nomi di politici non solo socialisti. E lo scandalo divenne uno tsunami”.

Barbacetto spiega che nell’Italia di quegli anni accadde ciò che era successo in Unione sovietica alla fine del comunismo: il sistema collassò dall’interno. Cosicché “in due anni, di fatto, scomparvero Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli e gli elettori premiarono quanto di nuovo trovarono sul mercato della politica: la Lega, che, dopo la morte dei vecchi, è oggi il più antico partito italiano, e il movimento di Leoluca Orlando, la Rete: nel 1993 era quarto, per dimensioni, nel panorama nazionale”.

Barbacetto, con Peter Gomez e Marco Travaglio, ha scritto due libri fondamentali per comprendere quegli anni: nel 2002 Mani pulite. La vera storia. Da Mario Chiesa a Silvio Berlusconi e cinque anni dopo Mani sporche. 2001-2007: così destra e sinistra si sono mangiate la II Repubblica. Libri in cui “si sfata anche la leggenda secondo cui la Prima Repubblica fu fatta cadere dal pool di Mani pulite”. “I magistrati – spiega – avevano compiuto le loro indagini dando la prova agli italiani che sistema dei partiti si basava sul finanziamento illecito e sulla corruzione, ammessa d’altronde da centinaia di indagati. Ma l’implosione fu causata dal fatto che la politica non aveva saputo rinnovarsi”.

In quegli anni la politica vincente non era più quella paludata, bensì quella forcaiola: l’immagine emblematica è quella del deputato leghista Luca Leoni Orsenigo che, il 16 marzo del 1993, agitava nell’aula della Camera un cappio. Intanto, l’uno dopo l’altro, i segretari di partito si dimettevano. E mentre la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto stentava a mettersi in moto, arrivò Berlusconi.

“Dobbiamo salvare la Repubblica delle banane” fanno dire gli sceneggiatori all’attore che interpreta Marcello Dell’Utri nella battuta che chiude la prima puntata della serie tv “1992”, dedicata al “biennio magico”. Barbacetto giudica quella ricostruzione troppo spettacolarizzata per rispecchiare in maniera fedele ciò che accadde in quegli anni. Ma conviene sul fatto che “fu proprio Dell’Utri a spingere Berlusconi a entrare in politica proponendosi come il nuovo, ossia l’imprenditore lontano dalle logiche della politica”.

“Fininvest – ricorda – finito il periodo espansivo della pubblicità televisiva, era sull’orlo del crack e alla crisi finanziaria si aggiungevano la perdita dei protettori politici (innanzitutto Craxi) e i timori per indagini per corruzione su Berlusconi che si avvicinavano. Dell’Utri capì per primo che bisognava farsi politica perché con il collasso del sistema dei partiti si sarebbe aperto uno spazio. Fu quello il colpo di genio: sostituire quel che era venuto a mancare. Berlusconi non voleva farlo, all’inizio, ma poi…”.

Fin dall’inizio il Cavaliere aveva mostrato di sostenere con le sue tv Mani pulite e Di Pietro. “Tutti ricordano – afferma Barbacetto – Emilio Fede che mandava Paolo Brosio davanti alla Procura di Milano per esaltare le imprese del Pm. Inoltre Berlusconi arrivò a far dedicare a Di Pietro la copertina del suo giornale più popolare, Sorrisi e canzoni tv. E gli lanciò pubblicamente la proposta di diventare ministro della Giustizia nel suo Governo”.

“Poi però – aggiunge – una volta ricompattatasi attorno a Berlusconi, che inizialmente non andava contro, quella Politica ormai ridotta a un pugile suonato, prese a reagire: innanzitutto con un’operazione di dossieraggio nei confronti dei magistrati di Mani pulite, per screditare le indagini. Piano piano si comincia a dire che i giudici vogliono sostituirsi alla politica, si coniano espressioni come toghe rosse, definendole un cancro”.

Nella società dello spettacolo conta più l’immaginario che il reale, e così Antonio Di Pietro “venne ucciso, senza tritolo, dalla macchina del fango: ma, mandato sotto processo per 26 volte, è stato sempre prosciolto”. Inoltre, con il mutare dello storytelling sulla Magistratura, “il Governo Berlusconi potè varare quelle leggi ad personas che consentirono ad autorevoli giornali, come l’Economist, di poter ridicolizzare l’Italia”.

Ma Barbacetto conviene sul fatto che il problema della corruzione non sia soltanto italiano. E come oggi “ad avere il pallino in mano” sia, qui come altrove, il mondo degli affari. “C’è la corruzione come al tempo di Mani pulite – sottolinea – ma non c’è più un sistema centralizzato. Oggi è tutta una trattativa: ciascun politico locale discute con manager, finanziatori, fondazioni. La tangente, poi, spesso non è più quella tradizionale, in denaro: si muta in servizi, beni, viaggi, consulenze, posti di lavoro”.

“La cosa più grave – conclude – è che in questo Paese è stata distrutta la memoria di Mani pulite. L’Italia non ha memoria condivisa sui grandi avvenimenti della sua Storia. Non sul fascismo, non sulla Resistenza. Neppure su Mani pulite: per una parte del Paese è stata un’occasione per rinnovare la politica, per un’altra è stata un complotto della magistratura contro la politica”.

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