“Ferragosto, moglie mia non ti conosco” - QdS

“Ferragosto, moglie mia non ti conosco”

Carlo Alberto Tregua

“Ferragosto, moglie mia non ti conosco”

sabato 15 Agosto 2020

I bisogni generano nelle persone due tipi di spinte: una consistente nel reclamare diritti, partendo dal punto di vista che ci dev’essere qualche soggetto, pubblico o privato, che deve soddisfarli. Si tratta di una mentalità da accattoni perché indirettamente conferma una posizione di sudditanza agli altri, in quanto non si è capaci di fare quanto necessario per liberarsi dal giogo.
L’altra spinta, quella positiva, induce chi la possiede a fare quanto necessario per provvedere a se stesso/a, passando dalla via obbligatoria dell’acquisizione di saperi e competenze.
L’argomento non è nuovo su queste colonne, ma non ci stanchiamo di ripeterlo, tenuto conto dell’ignoranza sempre più diffusa nella popolazione, la quale ritiene che possa avere tutto quello che vuole senza fare, come corrispettivo, tutto quello che deve.
Ci rendiamo conto che queste argomentazioni il giorno di Ferragosto possano annoiare o addirittura infastidire, però il nostro mestiere di divulgatori ci impone sempre di far pensare, ovviamente chi vuol pensare. Chi tiene la lampada del cervello spenta è escluso da quanto precede.

E allora scriviamo di cose amene. Ricordate quando le famiglie erano spedite al mare o in montagna e il capofamiglia, che di solito restava a lavoro, pensava di potersi godere una libertà compressa dalla routine familiare? Ecco che si soleva dire: “Agosto, moglie mia non ti conosco”.
La realtà era diversa da quella speranzuola perché poi chi restava in città magari si prendeva qualche birra con gli amici, restava un po’ più tardi, ma alla fine non faceva quello che aveva sognato nei mesi precedenti.
Certo, erano altri tempi, non migliori o peggiori di quelli presenti, ma un fatto era inoppugnabile: era molto diffusa la voglia di lavorare, la voglia di crescere, la voglia di rendersi autonomi e quindi di approdare a quella spiaggia meravigliosa che è la libertà.
Si pagava la rata di mutuo, la rata dell’auto e la vacanza della famiglia, cui poi si ricongiungeva il fortunato (o sfortunato) capofamiglia, percettore del reddito.
Oggi è Ferragosto: il culmine delle vacanze degli italiani; meno degli stranieri, che però quest’anno stanno disertando in buona misura il Belpaese, il che è drammatico dal punto di vista economico, sociale e occupazionale. Tuttavia, bisogna prenderla come viene, perché ogni tanto sulla testa delle persone capita qualche sciagura: fa parte dell’equilibrio della vita, formato dall’alternanza di eventi positivi e negativi.
Guai a chi non ha la forza d’animo ed il carattere per affrontare la carestia dopo periodi di prosperità. Del resto è a tutti nota la favoletta della formica e della cicala: quest’ultima risparmiava per l’inverno, la prima dilapidava ciò che raccoglieva e poi durante l’inverno moriva di fame e di freddo.
Quanto precede ci ricorda i governi italiani, che negli ultimi trenta o quarant’anni si sono comportati come la cicala, con la conseguenza di avere indebitato l’intera popolazione per i prossimi trent’anni, ma senza avere creato il necessario sviluppo che doveva essere la base per dare una prospettiva migliore alle future generazioni.

Qualche volta mi assale il dubbio che proporre argomenti su cui riflettere annoi fortemente chi dovrebbe leggerli. Infondato, mi dicono i lettori che sono di parere contrario. Fondato perché alla gente non piace sentire la verità e non piace affrontare le questioni che comportano l’impegno.
Piace di più sentire le cose amene. Per esempio, la mortadella dice al coltello: “Cosa provi per me?”. Risposta: “Affetto”. Ecco, si tratta di quell’affetto che, fuori dalla metafora, dovrebbe essere un sentimento diffuso fra la gente, unitamente al rispetto.
C’è necessità di divertirsi, di svagarsi, di non pensare costantemente ai problemi. Insomma, di uscire dallo standard. Ma quando si è in vacanza non è necessario stoppare il funzionamento del cervello, perché esso non ha bisogno di riposo, bensì di occuparsi di altre cose, anche di svago, in quanto la mente che lo comanda vive di sensazioni. E queste sono insopprimibili.

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