Il "riconoscimento" di grande boss: la storia di Carmelo Umina

L’amore, l’inglese e il riconoscimento di grande boss: la storia di Carmelo Umina

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L’amore, l’inglese e il riconoscimento di grande boss: la storia di Carmelo Umina

Simone Olivelli  |
martedì 05 Marzo 2024

Ripercorrere la biografia criminale di Carmelo Umina, già condannato in passato in via definitiva per mafia, significa ripercorrere anche l'albero genealogico dell'uomo.

Il riconoscimento di grande boss, la conoscenza della lingua inglese, l’amore che chissà se ci sarebbe comunque stato. La vita di Carmelo Umina, 61enne di Vicari, in provincia di Palermo, tra i 23 arrestati dell’operazione coordinata ieri dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Maurizio De Lucia, poteva essere diversa come quella di tutti. Nel suo caso, però, in modo particolare: dall’altra parte dell’oceano, lontano dalle attenzioni delle forze dell’ordine italiane che ieri sono tornate ad arrestarlo convinti che l’uomo continui a essere punto di riferimento per Cosa nostra nel centro di cui è originario. Nelle carte dell’inchiesta sono finiti anche i racconti che il 61enne fa a Cristiana Piroddi, all’epoca delle indagini compagna di vita e, secondo gli inquirenti, aspirante affiliata. Un’ambizione che però, per il gip Lirio Conti, non basta a sostenere nei suoi confronti l’accusa di associazione mafiosa: “Un’attenta lettura dei dialoghi intercettati – si legge nell’ordinanza – induce a ritenere che quella dell’indagata non sia una vera e propria affectio societatis, connotata dalla necessaria condivisione di scopi e “valori” di fondo, bensì una sorta di affectio maritalis”.

Il passato da vivandiere di Nino Giuffrè

Ripercorrere la biografia criminale di Carmelo Umina, già condannato in passato in via definitiva per mafia, significa ripercorrere anche l’albero genealogico dell’uomo. Figlio di Gioacchino Umina, l’uomo è stato nipote di Turi Umina, l’ex braccio destro dello storico capomafia di Vicari Michelangelo Pravatà. I magistrati della Dda di Palermo gli contestano di avere preso in mano le redini della famiglia mafiosa nel 2009, dopo essere uscito dal carcere e quando le figure di spicco che per tanti anni avevano rappresentato Cosa nostra nel piccolo centro di meno di tremila anime erano deceduti.

Al timone della famiglia, Umina ci è arrivato però non solo per questione di sangue. Nel passato dell’uomo, classe 1962, c’è anche l’essere stato autista di Nino Giuffrè, il boss di Caccamo che, una volta passato a collaborare con la giustizia, contribuirà al suo arresto. Umina e il padre, nell’estate del 2004, finiranno in galera anche per avere fornito sussistenza alla latitanza di Giuffrè. Un aiuto che sarebbe passato anche dalla messa a disposizione del boss di una masseria che era stata trasformata in centro di smistamento dei pizzini e luogo riservata per gli incontri tra Giuffrè e altri due latitanti di primissimo piano: Bernardo Provenzano e Benedetto Spera.

L’aiuto dagli Stati Uniti

Tuttavia, a detta di quanto raccontato da Umina alla compagna, l’uomo a inizio anni Duemila sarebbe potuto volare negli States. Trovando riparo grazie ai familiari di Giuseppe Martorana, boss ultraottantenne che fu il padrino di Umina. Quest’ultimo ne parla a Piroddi nel 2016, dopo un incontro a casa di Martorana: “La vuoi fare una cosa? Fatti il passaporto, vattene in America. Te la fazzu iu a trasuta per là”, sono le parole che a suo tempo il vecchio padrino avrebbe detto a Umina. Specificando che oltreoceano l’uomo avrebbe potuto contare su persone di fiducia: “Parlo con i miei nipoti, te ne vai lì e ti faccio cercare”.

La personale esperienza di sliding doors di Umina, però, farà sì che l’uomo rimarrà in Sicilia e da lì a poco finirà in galera. A distanza di tempo e con un ruolo di vertice a Vicari ormai consolidato, il pensiero sarebbe comunque andato a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato: “Quelli mi venivano a cercare”, dice l’uomo alla compagna. La quale immagina quale sarebbe potuto essere l’epilogo: “Ti mettevano al posto della statua della libertà, ti chiamavano the big boss”, per poi sottolineare che anche in quel caso sarebbe stata disposta a cambiare continente per raggiungerlo. A patto di riuscire ad avere la meglio sulla concorrenza: “Se lo avessi ascoltato, ora avevi una americana seduta a fianco anziché me”, riflette la donna. Umina, dal canto suo, sposta l’attenzione sull’opportunità di ampliare le conoscenze, mostrando al contempo qualche problema con la lingua madre: “Mi insegnavo a parlare inglese”, ragiona. E poi rassicurato dalla donna – “non ci vuole niente” – si spinge in un tentativo: “What’s your name? My name yes”. Svaniti i piani esteri, da ieri Carmelo Umina è tornato a trascorrere le giornate all’interno di un carcere italiano.

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