Capitale umano cercasi, Catania in coda in Italia - QdS

Capitale umano cercasi, Catania in coda in Italia

Dario Raffaele

Capitale umano cercasi, Catania in coda in Italia

giovedì 14 Novembre 2019

Ricerca realizzata dal Centro studi Confindustria Catania. La provincia etnea 102esima su 106 province del Belpaese. Calcolato un indice di correlazione tra gli investimenti in formazione e il benessere economico

CATANIA – L’analisi del legame esistente tra capitale umano e benessere economico ha come motivazione iniziale la carenza di dati congiunturali relativi ai territori, in particolare, la mancanza di dati recenti su un indicatore sintetico come il Pil relativo alle Province.

A quest’esigenza contingente si unisce l’interesse specifico verso lo studio di un tematica come il capitale umano di cui non si considera mai abbastanza la forza propulsiva che, al pari di altri fattori come l’export, la produttività, l’analisi delle scorte, ha una refluenza diretta sulla formazione della ricchezza del Paese e nel nostro caso di un territorio.

In particolare, calcolando un indice di correlazione tra capitale umano e benessere economico è possibile comprovare come esista tra i due fattori uno stretto legame e come questo possa condizionare altre variabili come la capacita di innovazione, l’occupazione, la produttività delle imprese, il clima di fiducia, tutti fattori che caratterizzano il Pil.

È quanto è stato fatto da Simona Caltabiano del Centro Studi Confindustria Catania, con il supporto di Francesca G. M. Sica, economista applicato del Centro Studi Confindustria.

Minori investimenti in capitale umano contribuiscono, inevitabilmente, a determinare un Pil con il segno meno. Da queste premesse, prendendo in esame, in particolare, l’area catanese, che ha delle peculiarità industriali specifiche rispetto al resto del Mezzogiorno, ma che nello stesso tempo rappresenta tutte le contraddizioni di un’area in ritardo di sviluppo, è possibile concludere che, incidere su questo fattore quantitativamente attraverso investimenti dedicati e qualitativamente attraverso percorsi formativi definiti e adeguati alle esigenze delle imprese come in “un effetto domino” incide sulle altre variabili cruciali per determinare la crescita del nostro Pil.

Il territorio di Catania ha sempre avuto delle peculiarità produttive specifiche con la presenza di eccellenze nell’Hi & Tech oltre che nel comparto farmaceutico e nell’agroalimentare. La capacità di concentrarsi su più vocazioni produttive ha sempre contraddistinto questo territorio ed ha mitigato gli effetti della crisi rispetto ad altre province che dipendono quasi completamente da un unico comparto. Questa varietà e presenza di poli produttivi ad alto contenuto tecnologico e innovativo ha sempre creato un rapporto privilegiato delle imprese con l’Università ed i Centri di ricerca per la richiesta continua di personale competente e preparato.

Sicuramente la crisi che ha depauperato il tessuto imprenditoriale e la mancanza di politiche formative mirate alle richieste delle aziende, ha aggravato il cortocircuito tra impresa e mondo della formazione.

Mettendo a confronto la Sicilia con una regione come la Lombardia che rappresenta un modello di efficienza anche in questo ambito, si evidenzia ancora meglio come l’Italia vada a due velocità anche sulla formazione.

L’ultimo rapporto Bes dell’Istat ha certificato la distanza tra competenze richieste e acquisite, soprattutto nella provincia di Catania. Tra i diplomati che si attestano al 50% della popolazione studentesca arrivano a laurearsi solo il 18,1%. Il dato indica non solo una dispersione tra scuola superiore e Università, ma in questo dato si annida anche l’aumento del fenomeno della “fuga dall’università” che si anticipa temporalmente già nel momento della scelta della sede universitaria.

Il dato che preoccupa più degli altri è sicuramente quello relativo ai Neet che si attesta a Catania al 40% tra i più alti d’Italia. Solo il 5,9 a Catania partecipa alla formazione continua che rappresenta, invece un passaggio fondamentale nella formazione delle competenze. Un altro dato preoccupante è la mobilità post laurea che in Sicilia risulta al 28% e a Catania al 22%. Catania, in particolare, risulta anche al di sotto dei livelli di investimenti in capitale umano e di benessere rispetto ad altre province siciliane.

Utilizzando i punteggi provinciali dei due indicatori sintetici ottenuti attraverso l’applicazione dell’analisi in componenti principali, i ricercatori hanno redatto due classifiche provinciali relative al benessere e al capitale umano.

Su un totale di 106 province (incluse Trento e Bolzano) Catania con un punteggio negativo pari a -4.1 occupa la 102° posizione per dotazione di capitale umano sia in termini quantitativi che qualitativi con il valore massimo registrato da Bologna (+4,5) e il minimo da Crotone con (-5,2); quanto all’indicatore sintetico di benessere economico la posizione è 92 con Milano al primo posto con uno score di +5,3 e Crotone in fondo alla classifica con -4,4.

Catania è tra le ultime province siciliane per capitale umano seguita da Palermo, Enna e Caltanissetta. Risultati ancora peggiori per il benessere economico che la fanno posizionare rispetto alle altre province siciliane dopo Messina, Palermo e Siracusa.

Altrettanto significativo è il confronto tra i laureati in materie umanistiche e in materie tecnico scientifiche dell’Università di Catania che effettuiamo attraverso i dati Almalaurea. Mettendo a confronto, in particolare, i laureati dei vari indirizzi di Ingegneria risultano pari nel 2018 a 458, nettamente inferiori ai laureati in materie umanistiche che sono quasi 900. Anche questo aspetto indica un disalliniamento tra le richieste del mercato del lavoro che sta cambiando anche in funzione della rivoluzione digitale e i profili dei nostri laureati. Ma, soprattutto, questi numeri dimostrano un lento e progressivo impoverimento culturale e formativo del territorio, una perdita di fiducia nelle istituzioni scolastiche, che si riversa poi nella formazione di competenze ed inevitabilmente sul benessere generale e sull’andamento del Pil.

Per una realtà industriale importante per la tenuta economica siciliana e del Mezzogiorno come l’area catanese constatare questo depauperamento delle competenze e un disallineamento importante tra domanda e offerta formativa rappresenta un campanello d’allarme da prendere subito in considerazione.

Investire, creare nuovi modelli formativi, indirizzare gli studenti fin dalla scelta delle scuole superiori, puntare su uno strumento poco utilizzato come l’apprendistato e la formazione continua, sono la ricetta, perché si crei un interfaccia costante e positivo con il mondo produttivo. Di fronte alle nuove sfide della digitalizzazione che richiede un alta specializzazione della forza lavoro, le politiche occupazionali non devono essere indirizzate solo all’innalzamento del numero degli occupati, ma si deve puntare all’innalzamento delle competenze e allinearli agli standard europei.

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