Coronavirus, la quantità di rifiuti urbani tornata a vent'anni fa - QdS

Coronavirus, la quantità di rifiuti urbani tornata a vent’anni fa

redazione web

Coronavirus, la quantità di rifiuti urbani tornata a vent’anni fa

lunedì 13 Luglio 2020

Durante il lockdown è stata registrata una diminuzione della produzione del dieci per cento. Raddoppiano però i rifuti sanitari: alla fine del 2020, ci saranno trecentomila tonnellate di mascherine monouso da smaltire

Una riduzione della produzione dei rifiuti urbani che, in linea con le previsioni sul Pil, potrebbe portare la quantità totale a fine anno al livello di venti anni fa e cioè a 28,7 milioni di tonnellate. Bisogna però calcolare anche il raddoppio dei rifiuti sanitari.

La fotografia dell’impatto del coronavirus sulla filiera del settore l’ha scattata la Commissione Ecomafie ed è contenuta nella relazione, da poco approvata, ‘Emergenza epidemiologica Covid-19 e ciclo dei rifiuti”.

In base all’analisi “dei dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) “i rifiuti urbani nel bimestre marzo e aprile 2020 sono diminuiti di circa il 10%”, pari a “meno 500mila tonnellate”. E, seguendo la linea del segno discendente del Pil, “la produzione dei rifiuti urbani alla fine del 2020 potrebbe ammontare a circa 28,7 milioni di tonnellate, dato confrontabile con quello del 2000”.

Mentre sono aumentati “i rifiuti sanitari a rischio infettivo”; e anche se ancora non è possibile fare una valutazione corretta, “i dati mostrano una capacità degli impianti pari a 340mila tonnellate, a fronte delle 144mila trattate nel 2018”.

I rifiuti derivanti “dall’uso quotidiano e diffuso di dispositivi di protezione come mascherine e guanti” potrebbero essere alla fine del 2020 compresi tra le 160mila e le 440mila tonnellate, con un valore medio di 300mila tonnellate. La commissione auspica che questi “rifiuti si riducano”, per esempio facendo presente che “la funzione delle mascherine può essere assolta” da quelle “chirurgiche utilizzate in forma alternata o protratta per un totale di 6 ore e da mascherine di comunità riutilizzabili”; e che “l’uso dei guanti non reca vantaggio per il contenimento dei contagi ed è utile solo in particolari situazioni lavorative”, così come “nella ristorazione non è indispensabile l’uso di contenitori e stoviglie usa e getta”.

Inoltre è “una criticità l’abbandono incontrollato” di questi dispositivi di protezione “dismessi”; è per questo che “sarebbe opportuno organizzare adeguati punti di raccolta”. Secondo la relazione della commissione questi volumi sono “gestibili dal sistema impiantistico italiano senza squilibri”.

Soltanto sul fronte del ciclo dei rifiuti, durante le settimane di lockdown, sono state “riscontrate difficoltà nella gestione di alcuni flussi destinati al recupero di materia”, al riciclo, a causa della “forte riduzione degli acquisiti”, della raccolta, e per “la sospensione delle attività”.

Ed è per questo che avverte sui rischi portati dall’introduzione di misure “derogatorie adottate sui rifiuti”, dal momento che “non sono state sempre giustificate da reali esigenze operative e gestionali, considerando che l’emergenza epidemiologica ha comportato in generale una riduzione della produzione di rifiuti”.

Si tratta, osserva la Commissione, di deroghe che – contenute in norme messe a punto per fronteggiare il coronavirus e in indicazioni del ministero dell’Ambiente alle Regioni – “possono portare a un aumento delle quantità presenti negli impianti con possibili conseguenti irregolarità”; la deroga e la modifica alle autorizzazioni e la Scia come disciplina derogatoria generale e non limitata ad alcune categorie di rifiuti, sono un “combinato disposto” che potrebbe “favorire fenomeni di gestione illegale”, tenendo anche presente le “aziende del settore in situazioni di difficoltà”.

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