Costruire in Africa Scuole e Università - QdS

Costruire in Africa Scuole e Università

Carlo Alberto Tregua

Costruire in Africa Scuole e Università

mercoledì 03 Luglio 2019

Portare investimenti e cultura

L’ennesima vicenda sull’immigrazione della Sea Watch mette in evidenza la questione di fondo che riguarda il continente africano e cioè che in quell’immenso territorio vivono 1,5 miliardi di persone, la maggioranza delle quali in condizioni di indigenza. Fra un decennio, forse, diventeranno 2,5 miliardi, il che amplifica di molto la relativa problematica.
Non è pensabile che un qualunque piano che regoli l’immigrazione verso i Paesi più sviluppati, in questo caso l’Europa, possa risolvere il problema. Spesso si dimentica che analoga questione esiste nel Nord America, ove una massa di cittadini indigenti tenta di passare dal Messico agli Usa. In Oriente, altri cittadini indigenti cercano di andare verso Australia e Nuova Zelanda, trovando le frontiere sbarrate.
La situazione è senza soluzioni? Non ci sembra. Certo, le Nazioni che stanno bene hanno difficoltà a diminuire il loro egoismo trasferendo sic et simpliciter ricchezze nei territori poveri del mondo. Però, si tratta di una opposizione miope che vi spieghiamo.


Le Nazioni ricche non dovrebbero trasferire ricchezza sotto forma di elemosine diverse, bensì avviare un processo, lungo e costoso, per combattere l’ignoranza e l’analfabetismo diffusi nei territori arretrati e per conseguenza, l’estesa povertà.
È la cultura economica e sociale la giusta medicina per iniziare il processo di crescita. Dunque, le Nazioni ricche dovrebbero fare accordi con i governi locali per insediare in quei territori Scuole e Università complete di vitto, alloggio, etc.
Ciò perché non basta la parte culturale, occorre anche quella organizzativa ed economica. Infatti, le famiglie povere non sarebbero in condizione di mandare i loro figli nelle Scuole e nelle Università, finanziando le quali si creerebbe un’attrazione, oltre che il lavoro attorno ad esse.
È evidente che una iniziativa di tal genere è estremamente costosa per le Nazioni ricche, però costerebbe sicuramente di meno che fronteggiare una immigrazione irregolare e disordinata ed il mantenimento di questi poveracci che, non avendo né arte né parte, devono essere sostenuti o dalle casse pubbliche oppure dal sistema.

Per esempio, il governo italiano ha speso cinque miliardi per ogni anno, necessari per finanziare onlus, enti morali, istituti ed altri, i quali hanno ricevuto 35 euro al giorno per ogni persona mantenuta con vitto e alloggio, senza alcuna prospettiva.
Se gli stessi cinque miliardi fossero stati spesi per costruire e gestire Scuole e Università in Africa, si sarebbe messo in moto un processo virtuoso perché qualche migliaio di quegli abitanti avrebbe avuto una prospettiva di crescita.
Seminare cultura e professionalità in un territorio arretrato, non solo darebbe sollievo ai giovani, ma finanzierebbe anche un sistema di istruzione con dipendenti amministrativi e professori, che all’inizio dovrebbero arrivare dalle Nazioni ricche. Poi le piante dovrebbero crescere, cioè gli stessi allievi dovrebbero trasformarsi in professori.
Tutto questo seminerebbe nel territorio la cultura della crescita in un processo che moltiplicherebbe le sue potenzialità.


Insieme alla semina, effettuata con Scuole e Università, potrebbero cominciare a latere insediamenti imprenditoriali, per attività industriali e artigianali come già stanno facendo alcuni gruppi italiani in Etiopia.
Una rondine non fa primavera, però tante rondini fanno uno stormo che non può essere disordinato ma funzionale in base a regole organizzative ed economiche per raggiungere obiettivi pianificati in tempi certi e determinati.
La soluzione che prospettiamo non è una forma di altruismo, conseguente a una sorta di bontà d’animo per venire incontro ai bisognosi, ma un meccanismo preciso che frenerebbe la necessità da parte di povera gente di tentare la sorte per un futuro migliore e, soprattutto, inserirebbe dei meccanismi in loco. Il Piano Marshall del 1947 degli Usa verso l’Europa, seppure solo sul versante economico, produsse benefici risultati.
Per l’Africa, la questione è più complessa data l’enorme ignoranza e povertà di quel continente. Ma anche in un tempo più lungo non c’è scelta fra lo status quo e il tentativo di diventare adulti ed autosufficienti.

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