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Affidamento familiare dei minori ed “effetto Covid”, cosa è cambiato

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Affidamento familiare dei minori ed “effetto Covid”, cosa è cambiato

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mercoledì 02 Febbraio 2022

La dottoressa Marianna Lena, socia dell'AFAP, racconta a QdS.it come l'affidamento familiare è cambiato con la pandemia e come migliorarlo.

L’affidamento familiare, un servizio di rilevanza evolutiva per il minore e per l’intera comunità, che dà la possibilità di supportare e far crescere in un clima familiare e accogliente il bambino portatore di disagio, allo stesso tempo dando alla famiglia di origine la possibilità di rafforzare e recuperare le proprie capacità genitoriali. 

L’affidamento familiare dopo il Covid

Questo il senso forte dell’affidamento familiare, istituto giuridico che, al pari di altri istituti classici come l’adozione, ha sofferto delle restrizioni dovute alla pandemia, in un incontro umano e affettivo obiettivamente complesso da gestire. Delle problematiche e delle trasformazioni di tale istituto abbiamo parlato con Marianna Lena, socio A.F.A.P., Associazione Famiglie Affidatarie Palermo, al fine di segnare lo status quo della situazione e le possibilità di miglioramento. 

Dottoressa Lena, quali sono i problemi attuali per le famiglie affidatarie, a distanza di circa due anni dall’inizio della pandemia in Italia?

“È evidente che i disagi causati da questa pandemia e dalle relative misure di confinamento hanno colpito i bambini, le famiglie e l’ambiente in generale. Le misure di risposta all’emergenza hanno portato alla chiusura di molti servizi pubblici, all’isolamento sociale con conseguente disagio emotivo soprattutto dei minori che già vivevano un disagio sociale e oggi, ancor di più, si sono ritrovati a vedersi privati del loro già difficile vivere quotidiano.

Da canto loro, i servizi sociali hanno dovuto fare i conti con la paralisi delle loro attività, dovendo riorganizzare i tempi e le modalità che permettono l’avvio di un progetto di affido. Fortunatamente i servizi sociali, seppur con mille difficoltà, sono riusciti a far ripartire questa realtà, non interrompendo i progetti di affidamento avviati e creandone di nuovi. Sicuramente oggi, a distanza di due anni dall’inizio dell’epidemia, rispetto alla fase iniziale, è ravvisabile stata una maggiore apertura finalizzata a favorire gli incontri con il minore e la famiglia naturale, anche in presenza. Indubbiamente gli incontri devono rispettare tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente anti-covid, tra cui l’igienizzazione delle mani e il possesso del green pass”.

Quali sono i vostri progetti in atto per facilitare l’iter di affidamento familiare in questo periodo di restrizioni? 

“L’AFAP, associazione di cui faccio parte, con grande impegno ha dato un grosso contributo alla ripartenza: sono stati per esempio creati dei salotti virtuali, incontri che, nonostante il periodo critico, si sono rivelati molto utili e che continuano a costituire un sostegno importante per tutte le famiglie affidatarie. Si tratta di incontri dedicati alla formazione e sensibilizzazione alla cultura dell’affido familiare, rivolti a tutte quelle persone che, anche solo incuriositi, vogliono affacciarsi a questa realtà, ma anche di incontri finalizzati a creare una rete di sostegno e solidarietà per le famiglie già affidatarie.

Sottolineo inoltre l’esperienza dei salotti virtuali come momento di ascolto di testimonianze toccanti e molto forti dal punto di vista umano da parte di ragazzi in affido che hanno avuto la possibilità di crescere con il grande privilegio di avere due famiglie, come essi stessi indicano. La tecnologia e la modalità dell’incontro da remoto non hanno tolto qualcosa, come si temeva, ma al contrario hanno aggiunto, rendendo più celere l’iter dei servizi sociali, lo dimostrano i numeri dei nuovi progetti, sempre in crescita”.  

Alla luce dell’importanza da voi rilevata per l’istituto dell’affidamento familiare, resistente ai disagi delle restrizioni, quale messaggio dare in sintesi per stimolare le famiglie all’affidamento?

“Credo sia fondamentale sensibilizzare l’intera comunità, per far conoscere questo istituto che spesso è mal compreso e poco considerato – chiude Lena –. Operatori e famiglie devono dar voce ai minori che sono stati un po’ più sfortunati di altri, segnati da profondi traumi, poiché essi non chiedono altro che avere un punto di riferimento, una famiglia da cui ricevere amore, anche se, mentre ricevono amore e cura da noi, riescono a dare altrettanto amore.

I bambini sono il nostro futuro, ora più che mai, stretti nella sofferenza di un isolamento innaturale: sta a noi aiutarli a costruire una vita migliore, a trovare dei punti di riferimento affettivi fissi e la risposta, a mio avviso, non può che essere l’affido familiare”. 

Angela Ganci

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