Occorre misurare i servizi pubblici - QdS

Occorre misurare i servizi pubblici

Carlo Alberto Tregua

Occorre misurare i servizi pubblici

mercoledì 03 Novembre 2021

Confrontare obiettivi e risultati veri

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ripete più volte il concetto che bisogna accettare il rischio, mettendosi in gioco, per autoformarsi la coscienza e guardare avanti, progredendo. Condizione essenziale è capire di più ciò che è accaduto nei millenni, ciò che accade nel presente e, ragionevolmente, ciò che può accadere nel futuro.

Ma quanta gente è disposta a seguire i saggi consigli del Presidente? Riteniamo pochi o comunque una minoranza, perché la diseducazione e l’ignoranza che si estendono a macchia d’olio fra i cittadini, inducono a cercare comodità, a non correre rischi e, quindi, a non mettersi in gioco: esattamente il contrario delle indicazioni prima elencate.

Quanto precede riguarda non solo i cittadini, ma soprattutto coloro che sono chiamati a dirigere le istituzioni, ed altri che sono chiamati a gestirle, cioè i burocrati pubblici.
Facciamo fatica a trovare al loro interno senso di responsabilità e voglia di servire con disciplina e onore.

Quando la Pubblica amministrazione non funziona, è tutto il Paese che non funziona perché l’economia passa inesorabilmente per un rapporto con i servizi pubblici, che controllano – anche in modo asfissiante – che decidono, che rilasciano (o no) autorizzazioni e concessioni, che danno pareri obbligatori e via enumerando.

Vi è quindi metà della mela, quella pubblica, che dovrebbe funzionare bene per consentire all’altra metà, quella privata, un altrettanto buon funzionamento. Ma questo non accade perché i servizi pubblici non funzionano in quanto al loro interno non vi è il Piano organizzativo dei servizi (Pos) con i tre valori fondamentali: produttività, merito e responsabilità.

Conseguenza di quanto scriviamo è che vi è un livellamento al basso di tutti coloro che lavorano nella Pa – dipendenti, funzionari e dirigenti – e non invece una giusta graduatoria meritocratica che dovrebbe distinguere chi lavora bene e chi lavora male.

Per far questo sarebbe necessario misurare i servizi pubblici in termini di qualità e quantità, ragguagliando gli obiettivi veri dell’attività con i risultati che si dovrebbero conseguire.
Ma nella Pubblica amministrazione il metro per misurare non si usa, cosicché i dipendenti sono tutti uguali.

Ad alcuni è nota la famosa legge economica di Gresham, secondo la quale “la moneta cattiva scaccia quella buona”.
Tale legge potrebbe pari pari essere riportata nella Pubblica amministrazione, sostituendo alla moneta le abitudini e le attività; per cui le cattive abitudini e le cattive attività scacciano le buone abitudini e le buone attività.

Ora, qualcuno potrebbe obiettare che i servizi pubblici non si possono misurare né in termini di qualità né in termini di quantità. Invece esistono molteplici sistemi di misurazione di tali servizi in termini quantitativi e qualitativi.
Per cui, chi afferma quella panzana dimostra ignoranza di organizzazione e di come dovrebbero funzionare tali servizi. Però, vedi caso, gli ignoranti vengono messi al vertice di strutture pubbliche, cosicché esse non funzionano, né poco né tanto.

La questione che poniamo è vecchia come il cucco. L’abbiamo ripetuta tante volte e saremo costretti a ritornarci ancora molteplici volte, perché non si vede una netta inversione di rotta, cioé l’inserimento del predetto Pos nel sistema pubblico.

L’attuale ministro della Pa, Renato Brunetta – che ha avuto lo stesso incarico nel 2009, senza aver prodotto risultati apprezzabili – ha promesso mari e monti. Ma a distanza di sette mesi non ha partorito alcuna riforma, per cui ci troviamo una Pubblica amministrazione asfittica, inefficiente ed incapace di compilare a norma Ue i progetti che dovrebbero attingere alle risorse del Pnrr.

Per cui, lo stesso ministro e il presidente del Consiglio sono stati costretti ad attivare rapporti di lavoro autonomo con migliaia di consulenti esperti per redigere tali progetti, che debbono essere inviati alla Commissione europea per ottenere i relativi finanziamenti.

Non c’è altro da dimostrare, se non prendere atto con amarezza di uno stallo infinito da cui attualmente non si riparte.

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