I creatori del “bene comune” - QdS

I creatori del “bene comune”

Marco Vitale

I creatori del “bene comune”

mercoledì 19 Aprile 2023

I grandi imprenditori italiani

«Dio e guadagno», «Dio e ventura», «Col nome di Dio e di buona ventura e di guadagno», «Al nome di Dio e di guadagno che Dio ci dia»: sono i motti dei grandi imprenditori italiani che armano flotte, hanno filiali in tutta Europa; finanziano principi e governi; costruiscono Firenze, Siena, Venezia, Genova; che lasciano grandi patrimoni in beneficenza, come il mercante pratese Francesco Datini che lasciò a un istituto di beneficenza, da lui stesso fondato, 600.000 fiorini d’oro, pari a 247 kg di oro fino a 18 carati; che dopo secoli di chiusura riaprono le antiche rotte del Mediterraneo penetrando in luoghi dove le truppe romane non erano mai arrivate.

Essi sono, quasi sempre, sinceramente religiosi ma credono anche alla possibilità, anzi al dovere del «bene e beato vivere» anche su questa Terra; conoscono e condividono la maledizione di sant’Agostino contro gli accaparratori dell’annona, conoscono e condividono il «chi versa il sangue e chi froda la mercede sono fratelli» dell’Ecclesiaste: ma essi si sentono creatori di bene comune, di bene anche per gli altri e non accaparratori; e sentono che questa loro ansia e capacità di creare non può offendere il massimo creatore. «Questo mondo – insegnerà Leon Battista Alberti – parte celeste e parte mortale, non è per atristirsi in ozio, ma per adoperarsi in cose magnifiche e ampie, colle quali e’ possa piacere e onorare Iddio in prima, e per avere in se stessi come uso di perfetta virtù, così frutto di felicità».

Essi sono orgogliosi delle proprie realizzazioni e non temono più gli anatemi dei Pier Damiani. Il grandissimo imprenditore Benedetto Zaccaria (nato nel 1248, dunque con Federico ii e Albertano ancora in vita), che operava a Genova, Focea, Costantinopoli, in tutto il mar Nero, in Ucraina, in Armenia, a Cipro, in Corsica, in Bulgaria, estraendo l’allume da sue miniere, trasportandolo sulle sue navi e gestendolo per tutto il ciclo sino all’utilizzatore finale, oltre a commerciare in pelli, armi, pesci, grano, tele, sale, denominò la sua nave ammiraglia «Dovizia», una parola ritenuta blasfema nella cultura dominante. Essi sono consapevoli del proprio ruolo e vengono profondamente rispettati.
Gregorio Dati, mercante e scrittore, esprime l’opinione corrente quando afferma: «Chi non è mercante e che non abbia cercato il mondo e veduto l’estranie nazioni delle genti e tornato alla patria con avere, non è reputato di niente».

E questi uomini d’affari italiani che per abilità tecnica e spirito d’intraprendenza non hanno uguali in Occidente, donde si espandono in ogni direzione per animare l’economia […] sono tutti cristiani. […] Nessun ebreo si è dedicato né in Italia né in Occidente ai grandi affari commerciali o ad operazioni finanziarie internazionali; gli iniziatori ed i capi di tali attività del secolo xiii e xiv sono stati esclusivamente cristiani.

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