Dopo la pandemia, la guerra e l’inflazione. La corsa a ostacoli per le Pmi non è finita - QdS

Dopo la pandemia, la guerra e l’inflazione. La corsa a ostacoli per le Pmi non è finita

Dopo la pandemia, la guerra e l’inflazione. La corsa a ostacoli per le Pmi non è finita

venerdì 18 Agosto 2023

Le stime per il futuro nel rapporto regionale elaborato dall’area coesione territoriale di Confindustria e dal Cerved. Per la Sicilia, nello scenario peggiore, si prevede una perdita di fatturato

Dopo l’emergenza sanitaria da Covid 19, neanche un attimo di respiro per le imprese siciliane, che hanno immediatamente dovuto affrontare tutti le difficoltà scatenate dalla guerra in Ucraina e il conseguente caro energia. E per il futuro, le aspettative non sono rosee. Il rapporto regionale Pmi 2022, curato dall’area coesione territoriale e infrastrutture di Confindustria e da Cerved, presenta dati che non sono per nulla confortanti per le piccole e medie imprese isolane.

Il rapporto analizza le performance economico-finanziarie delle circa 160 mila società di capitale italiane che rientrano nella definizione europea di Pmi. Nel rapporto, a partire dagli ultimi dati pre-Covid, del 2019, si propone una previsione per il 2023, basandosi su due possibili scenari. In quello “base”, si esclude un’escalation del conflitto russo-ucraino e si ipotizza un lento riassorbimento delle tensioni sulle materie prime a partire dal 2023.

Sul fronte della politica monetaria, viene assunta una transizione graduale da parte della Bce verso un regime meno espansivo, senza che questa produca shock sulla domanda aggregata mentre, in termini di politica economica, si prevedono rapidi effetti di stimolo sulla domanda e sull’offerta garantiti dall’impiego efficiente delle risorse del Pnrr. Nello scenario definito “worst”, peggiore, si ipotizza l’inasprimento delle tensioni tra Russia e paesi Nato e una destabilizzazione più marcata del quadro geopolitico, con un incremento delle sanzioni e delle ritorsioni economiche, tra cui l’interruzione dei flussi di gas dalla Russia.

Di pari passo, si considerano un regime di politica monetaria più restrittiva orientato al contenimento dell’inflazione e una scarsa efficienza nell’implementazione dei progetti di investimento del Pnrr. Nello scenario “base” ci si aspetta che la Sicilia riesca a recuperare fatturato del +3,4%, un valore medio, considerato che il range in cui si muovono le regioni italiane va dall’1% al 4,8%. In questo caso, si delinea una maggiore crescita soprattutto nel Mezzogiorno, considerato che si tratta anche della zona che ha maggiormente perso negli ultimi anni.

Al contrario, nello scenario peggiore, le Pmi isolane andranno a perdere ulteriormente miliardi di fatturato per una percentuale del -1,4%. Anche in questo caso la Sicilia si pone vicina alla media nazionale, all’interno di un range che va da zero a -4,2%. Insomma, è lungo il percorso perché si riesca a recuperare il danno fatto dalla pandemia alle imprese siciliane.

La diffusione della pandemia nella parte iniziale del 2020, infatti, ha interrotto la lenta ripresa delle Pmi isolane e italiane che, dopo un decennio di bassa crescita: soltanto nel 2019, infatti, avevano raggiunto in termini reali i livelli di fatturato del 2007, anno dell’ultima importante crisi finanziaria. Lo shock provocato dall’emergenza sanitaria ha comunque avuto effetti profondamente asimmetrici sul piano settoriale dettati dalla natura peculiare di questa crisi, che ha portato al lockdown e alle riaperture selettive. A livello nazionale, la macroarea più colpita è stata il Centro Italia (-10,3% di fatturato), penalizzata dalla specializzazione in settori fortemente impattati dalle restrizioni sanitarie, fermi o con forti perdite nel corso dell’anno (turismo, alberghi, ristorazione, sistema moda, concessionari autoveicoli).

Forti impatti sui conti economici si registrano anche nelle regioni del Nord-Ovest (-8,8% e -10,1%) e del Nord-Est (-8,5% e -9,0%), dove a pesare sono stati i cali nel settore manifatturiero e nei servizi, mentre il Mezzogiorno ha mostrato impatti di minore intensità (-6,1% e -5,7%) per la maggiore incidenza dei comparti agroalimentare e costruzioni, meno colpiti dalla crisi, e per il maggiore peso dei servizi definiti come “essenziali” nel corso della pandemia.

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