Energia nucleare, oltre la paura. Meno rischi con nuove tecnologie - QdS
30 Marzo 2025

Energia nucleare, oltre ogni paura irrazionale. “Nuove tecnologie riducono nettamente i rischi”

Energia nucleare, oltre ogni paura irrazionale. “Nuove tecnologie riducono nettamente i rischi”

Hermes Carbone  |
giovedì 31 Ottobre 2024

Parla il prof. Pietro Alessandro Di Maio, ordinario all’Unipa, che fa parte del gruppo di lavoro incaricato dal Ministero dell’Ambiente

PALERMO – Il tema dell’energia nucleare è tornato al centro del dibattito pubblico in Italia in relazione alla necessità di trovare soluzioni energetiche sostenibili e a basso impatto ambientale. Un’idea, quella del Governo, che ha preso forma nel settembre dello scorso anno con l’inizio dei lavori della Piattaforma per il “nucleare sostenibile”. Una volontà politica espressa in seguito agli aumenti sui mercati energetici verificatisi come conseguenza del Covid-19 ed esplosi con l’invasione russa in Ucraina. Già alla fine del 2021 si registrava un aumento delle bollette di luce e gas intorno al 40% rispetto ai prezzi del 2019. Durante il picco della crisi energetica (2022), le bollette del gas sono aumentate di un altro 70%-80% rispetto all’anno precedente; quelle dell’elettricità del 50-60%.

Le nuove forme di nucleare

Lo sviluppo delle nuove tecnologie – insieme all’esigenza di rispettare gli obiettivi comunitari di sostenibilità ambientale fissati dal Green Deal – ha spinto la grande industria e il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin a volgere la propria attenzione verso le nuove forme di nucleare nei confronti delle quali stanno già investendo altri Paesi. Il governo intende investire in direzione di piccoli reattori di III generazione avanzata (EPR, SMR), a oggi quelli più promettenti. In prospettiva, si mira ai reattori modulari avanzati di piccola taglia di IV generazione (AMR), in alcuni casi talmente ridotti da essere considerati micro-reattori. Per poterlo fare è necessario passare attraverso un aggiornamento normativo e strategico per il quale sono stati incaricati i sette gruppi di lavoro della Piattaforma.

Componente del Gruppo di Lavoro 3 “Tecnologie di fusione” è anche Pietro Alessandro Di Maio, ordinario di Impianti nucleari presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Palermo. Di Maio è al contempo delegato del Rettore per le attività propedeutiche alla dismissione del reattore nucleare di ricerca Agn 201 “Costanza” e responsabile Scientifico per l’Ateneo del progetto Eurofusion (Horizon-Europe) che rappresenta il più rilevante programma di ricerca comunitario nell’ambito dell’ingegneria dei reattori a fusione nucleare.

Energia nucleare, maggiore sicurezza con le nuove tecnologie

Raggiunto in esclusiva dal Quotidiano di Sicilia, il Prof. Di Maio preferisce non entrare nel merito dei lavori della Piattaforma per via di una clausola di riservatezza firmata dagli appartenenti ai vari gruppi. Con lui però abbiamo affrontato gli aspetti connessi con lo sviluppo delle nuove tecnologie per il “nucleare sostenibile”, i costi e le eventuali tempistiche di realizzazione di nuove centrali. “L’Unione Europea ha ufficialmente riconosciuto, nel febbraio del 2022, che il nucleare può essere considerato una fonte di energia sostenibile, annoverandolo nella Tassonomia Europea della Finanza Sostenibile”, spiega Di Maio. “Per molti anni, il nucleare è stato visto come una fonte problematica, soprattutto a causa dei rischi legati alla sicurezza e alla gestione delle scorie. Oggi i nuovi impianti e le tecnologie di IV generazione a venire stanno cambiando le carte in tavola, offrendo soluzioni impiantistiche a maggiore sicurezza intrinseca e passiva che minimizzano i costi e riducono notevolmente i rischi”.
L’inclusione dell’energia nucleare nella lista delle fonti ammesse nel quadro degli obiettivi europei per la neutralità climatica, dimostra la consapevolezza che, nonostante i casi ad elevato impatto sull’opinione pubblica come Chernobyl e Fukushima, il nucleare può contribuire a ridurre le emissioni di CO2. “Il tasso di emissioni di CO2 equivalente per kilowattora tipico di un impianto nucleare – aggiunge Di Maio – è tra i più bassi in assoluto. In alcuni studi recenti, si stima che le emissioni siano intorno ai 5-10 grammi per chilowattora, un livello molto inferiore rispetto, per esempio, agli 800-820 grammi del carbone”.

Energia nucleare, elevata intensità energetica

Un altro aspetto chiave del nucleare è la sua elevata intensità energetica. “Se confrontiamo l’energia che possiamo ottenere da 1 kg di uranio rispetto a quella di 1 kg di carbone, la differenza è abissale. Con l’uranio, attraverso la fissione nucleare, possiamo ottenere fino a 100.000 volte più energia rispetto al carbone. Questo significa che, a parità di energia prodotta, il nucleare richiede una quantità di massa molto inferiore e ha un impatto ambientale altrettanto ridotto”. Questa caratteristica rende il nucleare interessante anche dal punto di vista dell’occupazione del suolo. Gli impianti nucleari richiedono meno spazio rispetto ad altre fonti energetiche rinnovabili come l’eolico o il fotovoltaico, che necessitano di grandi superfici per essere operative.

Energia nucleare, la gestione delle scorie radioattive

Il problema del nucleare resta quello della gestione delle scorie radioattive. “Ma anche qui la tecnologia sta facendo grandi progressi, e si stanno sviluppando soluzioni per minimizzare la produzione di scorie e per renderne la gestione più sicura. In Europa è in via di ultimazione il deposito geologico di Onkalo in Finlandia, che diverrà operativo già nel 2025”. Mentre gran parte degli impianti nucleari attualmente in funzione nel mondo si basa sulla fissione nucleare, ovvero la reazione di scissione del nucleo atomico ad opera di neutroni per liberare energia, la prossima frontiera è rappresentata dalla fusione nucleare. A differenza della fissione, la fusione comporta l’unione di nuclei leggeri, come quelli di deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno, per formare nuclei più pesanti, liberando enormi quantità di energia. “La fusione nucleare rappresenta il sogno di molti scienziati e ingegneri. Non solo ha un’intensità energetica più elevata della fissione, ma è anche più sicura e pulita. In pratica, la fusione genera pochissime scorie radioattive e non comporta i rischi di meltdown (fusione del nocciolo) tipici della fissione”.
Attualmente, però, la fusione nucleare non è ancora pronta per un uso industriale. “Siamo in una fase di ricerca e sviluppo. Il progetto Iter, in Francia, rappresenta una delle sperimentazioni più rilevanti a livello mondiale, e il progetto Dtt, in Italia, mette il nostro paese al centro delle sperimentazioni in ambito europeo, ma ci vorranno ancora diversi anni prima di vedere impianti a fusione operativi su scala industriale”.

L’Italia, pur avendo una storia di impianti nucleari risalente agli anni ‘60, ha interrotto il suo programma nucleare dopo i Referendum abrogativi del 1987 e del 2011. Per questa ragione, “il revamping dei vecchi impianti non è possibile. Bisognerebbe realizzarne di nuovi”. Uno degli ostacoli principali è rappresentato dalla riattivazione di una filiera pronta a supportare la costruzione e la gestione di nuovi impianti, per quanto proprio Confindustria ha di recente confermato la propria disponibilità a far fronte comune con il governo. “Negli anni, abbiamo perso gran parte delle nostre ‘energie’ in ambito nucleare. Ricostruire una filiera richiede tempo, investimenti e formazione di personale qualificato. Con una pianificazione adeguata e investimenti strategici, sarebbe possibile rimettersi in gioco”.

Energia nucleare, costi e tempi di realizzo

Al netto degli aspetti burocratici e di eventuali piani espropri, un tema cruciale riguarda infatti i costi e i tempi di realizzazione di nuovi impianti. “Costruire un nuovo impianto nucleare richiede ingenti investimenti. A seconda della tecnologia scelta e della localizzazione, i costi possono variare dai 2 ai 7 miliardi di dollari. In Cina, per esempio, si riescono a costruire impianti a costi relativamente contenuti, intorno ai 2,5 miliardi di dollari per un gigawatt di potenza elettrica. In Europa, invece, i costi sono più alti: tra i 6-7 miliardi di dollari per gigawatt”. A fronte di un simile investimento, il raggio d’azione risulta però essere ancora troppo ridotto: “La realizzazione di una centrale di grandi dimensioni (1GWe), con costi tra i 3 e i 5 miliardi di euro, sarebbe sufficiente a servire una popolazione di circa un milione e 200 mila persone”. Neppure sufficiente per una città come Milano. “Per questo occorre considerare il nucleare come una energia da integrare con quelle già esistenti, e in particolare con le rinnovabili, per colmare il fabbisogno degli italiani tramite il ricorso ad un efficace mix energetico”.

I tempi di costruzione di un singolo impianto rappresentano un’altra sfida. “Mentre in alcuni paesi come la Cina, il Giappone e gli Emirati Arabi si riescono a costruire impianti in meno di cinque anni, in Europa i tempi sono mediamente più lunghi (arrivando anche a superare 10-15 anni, ndr). Questo dipende da vari fattori, tra cui la complessità delle normative la natura consolidata o innovativa dell’impianto, l’inerzia della supply chian e la disponibilità di manodopera specializzata”.

Quanto possano incidere queste variabili lo dimostra la centrale nucleare di Flamanville, nella Bassa Normandia. La centrale possiede due reattori PWR francesi costruiti dalla Areva da 1330 MW ciascuno. Nel sito è in costruzione anche un terzo reattore da 1600 MW di potenza. Si tratta della seconda unità EPR in costruzione al mondo e del primo reattore francese di generazione III+. La fine dei lavori era prevista nel 2014, con un costo stimato di 5 miliardi di euro. A dieci anni di distanza, i fondi spesi sono lievitati addirittura a oltre 13 miliardi (fonte Edf).

Oltre agli aspetti tecnologici ed economici, il ritorno al nucleare in Italia solleva anche una serie di questioni politiche e sociali che lo Stato è chiamato a dirimere per consentirne una nuova applicazione. I referendum passati hanno dimostrato che l’opinione pubblica italiana è storicamente contraria al nucleare per ragioni di sicurezza. Al netto delle volontà politiche e delle considerazioni tecnologiche, non sarà facile farle cambiare idea.

La corsa per definire un quadro normativo entro i primi mesi del 2025

Entro la fine dell’anno l’Italia avrà a disposizione una bozza di testo per la legge-delega per la produzione di nucleare sostenibile. A riferirlo lo scorso 9 ottobre è stato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in audizione davanti alle Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive. Tema di quell’incontro, l’indagine conoscitiva sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione. Per il ministero l’obiettivo è quello di sottoporre il testo alle Camere nei primi mesi del 2025. Potrebbe trattarsi dello sprint decisivo per abilitare la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie sostenibili. Tra queste gli Smr, Amr e microreattori. Per questa ragione, nel settembre 2023 sono cominciati i lavori della Piattaforma per un “nucleare sostenibile” in Italia.

Una riabilitazione di questo tipo di energia, bandita dal Paese per tramite di ben due Referendum abrogativi (1987, 2011, ndr,) prevede “un quadro legislativo e normativo chiaramente definito”. Compito proprio della Piattaforma e di esperti, istituzioni e ricercatori, con il Ministero dell’Ambiente, l’Enea e l’Rse alla guida. “Serve un riordino della normativa del settore, integrandola in un quadro unificato. A questo scopo, ho dato mandato al Prof. Guzzetta, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università Tor Vergata di Roma, di coordinare un gruppo di lavoro con l’obiettivo di riordinare la legislazione di settore, definire le proposte legislative e un quadro delle azioni da intraprendere, che tengano conto dello sviluppo delle tecnologie nucleari innovative a livello globale e delle indicazioni delle agenzie internazionali”, ha detto il ministro.

Un tema neppure troppo posto in second’ordine da parte del Governo è connesso con l’emancipazione dal punto di vista energetico rispetto alla Francia e agli altri paesi presenti in Europa dai quali l’Italia acquista energia a caro prezzo. Per poter pensare di strutturare un nuovo percorso nucleare, insieme a garanzie legislative, da Roma intendono cautelarsi anche per ciò che concerne le evoluzioni tecnologiche. Da qui la suddivisione, interna alla Piattaforma, di aree di interesse e studio affidate a specialisti di ogni singolo dipartimento: sette i gruppi di lavoro individuati.
“Nel quadro del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine, abbiamo inserito un’apposita delega che prevede l’abilitazione della produzione di energia da fonte nucleare, le necessarie infrastrutture, il potenziamento delle risorse umane, la promozione di partenariati pubblico-privati nell’ambito dell’intero sistema nucleare, l’incentivazione di accordi internazionali e la creazione di un quadro finanziario stabile e sostenibile che sia in grado di promuovere investimenti privati nel settore nucleare”.

Dovrebbero concludersi in questo mese i lavori della Piattaforma, con 120 giorni di ritardo sulla tabella di marcia. “I risultati del lavoro della Piattaforma, attesi per la fine di ottobre, rappresenteranno una base oggettiva di dati e valutazioni tecniche, non politiche”, ha aggiunto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Si tratta di valutazioni che conterranno anche delle “linee-guida e la relativa roadmap temporale per l’abilitazione della fonte nucleare in Italia tramite le nuove tecnologie sostenibili, sottolineando che stiamo puntando su tecnologie molto diverse da quelle del passato nucleare italiano”. Al centro degli studi la volontà di valutare progetti che possano sfociare nella realizzazione sia di “piccoli reattori di III generazione avanzata (gli Smr propriamente detti), sia di piccoli reattori di IV generazione (nel qual caso sono anche definiti Amr, reattori modulari avanzati), in alcuni casi talmente ridotti da essere chiamati micro-reattori”.

Un processo che punterà sul “medio termine nel campo dei piccoli reattori modulari” e “nel lungo termine sulla fusione”. Il ritorno del nucleare in Italia rimane però in controtendenza rispetto agli obiettivi del Green Deal europeo. Così come resta il problema dello smaltimento delle scorie radioattive: una questione spinosa che non ha ancora trovato una soluzione definitiva. Lo scorso dicembre il Mase ha pubblicato l’elenco delle 51 aree individuate nella Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) per la realizzazione del deposito dei rifiuti radioattivi e del parco tecnologico, mirati a consentire lo stoccaggio delle scorie di bassa e media attività. Le province di Trapani ed Enna hanno già comunicato la loro indisponibilità all’eventuale stoccaggio di scorie a Segesta o nelle cave abbandonate dell’entroterra siciliano.

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