“Il sabato del villaggio” o il piacere dell’attesa - QdS

“Il sabato del villaggio” o il piacere dell’attesa

Carlo Alberto Tregua

“Il sabato del villaggio” o il piacere dell’attesa

mercoledì 14 Febbraio 2024

Non è la rapidità o la velocità con cui si consumano fatti ed eventi a soddisfarci

La donzelletta vien dalla campagna, in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba; e reca in mano un mazzolin di rose e di viole.
L’incipit della famosa poesia di Giacomo Leopardi, “Il sabato del villaggio”, è una sintesi estremamente efficace che vuole valorizzare l’attesa di un bell’evento o di un bel fatto, che, secondo il poeta, è più bella dell’evento o del fatto stesso.
C’è quasi una forma di pregustazione di ciò che accadrà e quindi il relativo godimento intrinseco che consente di anticipare il piacere.

In fondo, che cos’è “Il sabato del villaggio”? È la valorizzazione dell’attesa di ciò che accadrà dopo.
Ovviamente questo modo di pensare è l’opposto dell’attuale consumismo, per cui, anziché programmare e quindi pregustare un evento futuro – un viaggio, una cena con gli/le amici/che più cari/e, una passeggiata sulla spiaggia col cielo pieno di stelle, l’ammirazione di un quadro o di una fotografia ed altre forme – si vuole vivere tout court e rapidamente, consumandolo in un ‘fiat’.

L’ansia del divertimento, dello svago, del vivere il tempo libero riempendolo di cose, di fatti, di azioni e di circostanze è deleteria perché non consente al nostro spirito, alla nostra mente e al nostro corpo di godere di quegli eventi ricreativi, culturali o di altra natura, che invece hanno bisogno di essere pregustati.

È in questo punto che si sviluppa la nostra immaginazione: pensare cosa accadrà e come l’evento desiderato possa soddisfarci mentalmente o fisicamente o entrambi.
Ovviamente, per porsi in questa condizione mentale, cioè il piacere dell’attesa di un bell’evento, bisogna possedere una certa dose di cultura, che deriva da una lettura estesa di libri, cartacei o digitali, in tutte le materie, che ci possono trasferire sapienza; ma anche attraverso esperienze, corsi, dibattiti o altro.

La Sapienza è la madre della Pazienza, la quale deve farci pensare che non è la rapidità o la velocità con cui si consumano fatti ed eventi a soddisfarci, ma appunto la lentezza.
Esistono tanti testi che celebrano la lentezza, ma non quella del fare in campo professionale, imprenditoriale od organizzativo, bensì quella del gustare gli eventi piacevoli.

La questione che poniamo non sembri secondaria perché chi fin da giovane ha un progetto di vita costruttivo, cioè che costruisca il proprio futuro, sa che deve fissarsi delle tappe negli anni con obiettivi parziali da raggiungere in ognuna di esse.

Purtroppo non è la maggioranza dei/delle giovani a pensarla in questa maniera perché la società, i media sociali e in genere l’informazione breve, del tutto incompleta, li/le abitua a tutt’altro che ad un programma di vita. Invece, se volessero, dovrebbero costruirsi tale programma e poi attuarlo con determinazione, con forza e con spirito di sacrificio, momento dopo momento.

È ovvio che non intendiamo generalizzare poiché vi è una gran parte di giovani brillantissimi, vogliosi di conseguire risultati professionali, dotati di una grande capacità di apprendere e, quindi, in condizione di utilizzare tutti gli strumenti di cui dispongono per realizzare il proprio programma e raggiungere i propri obiettivi.

Come sempre, la natura distingue fra i/le bravi/e, quelli/e meno bravi/e e gli/le insufficienti; quindi il livellamento che tanti/e cercano di fare fra tutti i membri di una Comunità, nella difesa dei più deboli, porta a un abbassamento generale delle capacità realizzative, soprattutto dei giovani.
Intendiamoci, non diciamo che i/le bisognosi/e, i/le malati/e, gli/le anziani/e non debbano essere assistiti/e; tutt’altro. Ma chi è in buona forma fisica e mentale deve aggiungere quel requisito fondamentale che è la propria volontà, per fare e fare bene.

Sappiamo che ciò che scriviamo è in controtendenza rispetto a quanto avviene, ma la nostra età e la nostra lunga carriera professionale ci obbligano a continuare a dire la verità, anche se fortemente impopolare, non perché pretendiamo di avere ragione, ma perché dobbiamo evidenziare i fatti che portano a certi risultati, positivi o negativi.
Si tratta di un nostro dovere al quale non abbiamo mai inteso mancare e finché ci sarà la salute, intendiamo portarlo avanti senza tentennamenti. Nessuno potrà mai accusarci: “Perché non ce l’avete detto?”

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