Gli intoccabili abusi edilizi della Sicilia: oltre 32 mila - QdS

Gli intoccabili abusi edilizi della Sicilia: oltre 32 mila

redazione

Gli intoccabili abusi edilizi della Sicilia: oltre 32 mila

Gabriele D'Amico  |
venerdì 16 Dicembre 2022

Siab-Assessorato Ambiente: “Dati pressocché uguali a un anno fa”. Ma intanto crescono i reati legati al cemento: 841 solo nel 2021 (Legambiente). Abbattuto appena un immobile ogni cinque

Ville in spiaggia, maneggi su corsi di acqua, capannoni aziendali in aree a rischio idraulico classificato come “molto elevato”. Sono le svariate facce dell’abusivismo edilizio in Sicilia. Fenomeno che non accenna a diminuire. Anche perché chi lo combatte, lo combatte con le armi spuntate e spesso con poca voglia di intraprendere campagne di abbattimento altamente impopolari agli occhi dei cittadini elettori. Così l’illegalità nel ciclo del cemento continua a proliferare in Sicilia, come confermato anche dal report “Ecomafie” pubblicato ieri da Legambiente. Questo giro d’affari che in tutta Italia fattura 1,8 miliardi di euro l’anno, concentra l’8,9% dei reati in Sicilia. Nel 2021, precisamente, l’associazione del cigno ne conta 841 che hanno portato alla denuncia di 785 persone e a 94 sequestri. Numeri a cui si devono aggiungere gli illeciti amministravi: 2.981. Non si può dire che la maggior parte dei reati connessi al ciclo del cemento avvengono nell’Isola, in quanto ci sono regioni come la Campania in cui sono stati rilevati oltre 1.300 crimini, ma la Sicilia si piazza comunque al quarto posto tra tutte le regioni.

Abusi come 16 volte il Duomo di Milano

Gli abusi edilizi in Sicilia sono rimasti gli stessi di un anno fa. A confermalo al Quotidiano di Sicilia è il Siab (Sistema informativo abusivismo) dell’Assessorato Territorio e Ambiente. “Rispetto ad un anno fa – dichiara il dirigente del servizio, Alfredo Scaffidi – i dati sono rimasti pressoché uguali. Le variazioni sono realmente insignificanti”. E così in Sicilia, da oltre un anno sono presenti 32 mila abusi con una volumetria pari a 7,3 milioni di metri cubi. Una quantità di cemento illegale imponente, pari a oltre 16 volte il volume del duomo di Milano. A primeggiare su tutte le province siciliane è Catania con 7.258 abusi rilevati dal Siab e oltre 1,5 milioni di metri cubi di costruzioni illegali. Al secondo posto della classifica dell’abusivismo siculo si trova la provincia di Palermo con 6.301 abusi con una volumetria di 1,7 milioni di metri cubi. Chiude il podio la provincia di Messina con 5.272 abusi per un totale di quasi 757 mila metri cubi illegali.

Un podio che rappresenta da solo l’enorme vastità del fenomeno sul suolo siciliano e che, tuttavia, fa riferimento a dati che non tengono conto dell’abusivismo “sommerso”, ovvero quello che ancora non è stato scoperto dalle forze dell’ordine o dagli Enti locali. Secondo il Siab questi dati sono rimasti praticamente gli stessi da oltre un anno a causa della crisi economica: nuovi abusi non sono stati fatti (così come poche costruzioni legali sono state realizzate) e gli abbattimenti non sono stati eseguiti a causa della scarsa quantità di denaro di cittadini e pubbliche amministrazioni. “Adesso stiamo lavorando ad un monitoraggio più certosino – continua Scaffidi – volto ad individuare il numero preciso di abitazioni abusive, togliendo dai dati tutte le volumetrie che comprendono le piccole verande non dichiarate e i piccoli abusi. Chiaramente anche questi sono fuori legge e li condanniamo ma il nostro intento è individuare i grossi abusi: i pesci grossi dell’abusivismo siciliano”. Questo nuovo monitoraggio sarà pronto per metà gennaio, ci confermano dal Siab.

Abbattimenti a rilento

Il contrasto a questo enorme fenomeno illegale che deturpa i territori italiani sia dal punto di vista visivo che strutturale è affidato nella sua interezza ai Comuni che si devono sbracciare tra bilanci risicati e poco personale. In Sicilia, questo contrasto è estremamente debole e poco trasparente. Almeno questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto “Abbatti l’abuso” di Legambiente risalente a giugno del 2021. A fornire i dati necessari per la stesura del report è stato infatti appena il 13,6% dei Comuni siciliani.

Nonostante la scarsa adesione, il quadro che ne esce è impietoso: su 4.537 ordinanze di demolizioni emesse, solamente 950 sono state eseguite (circa il 21%). Le altre sono rimaste chiuse nei cassetti. Ma perché il fenomeno viene combattuto solo sulla carta e non concretamente? “Per abbattere gli immobili ci vogliono soldi”, risponde Biagio Bisignani il dirigente del servizio sanatoria e antiabusivismo del Comune con più abusi di tutta la Sicilia: Catania. “Rispetto all’anno scorso – spiega – abbiamo chiuso 20-25 procedure amministrative anche se demolizioni non ne abbiamo fatte. Questo perché il Comune di Catania è in dissesto ed è riuscito a chiudere il bilancio per un pelo. Abbiamo solo 50mila euro in cassa per effettuare delle demolizioni urgenti che ci chiedono. Non possiamo nemmeno accedere ai fondi in quanto dobbiamo comunque mettere un cofinanziamento: per ogni fondo che attiviamo anche con cassa depositi e prestiti abbiamo la necessità di attivare in parallelo un cofinanziamento di almeno in alcuni casi il 50%. Quindi a fronte di attività che non sono un investimento economico, significherebbe impegnare somme che in questo momento non possono essere impegnate”. Di fronte a questo immobilismo forzato, anche se poi così forzato non è, le nuove procedure aumentano sempre di più.

Le pratiche (non) passate alle prefetture

Con la legge 120/2020 è stata data un’opportunità ai Comuni di liberarsi delle pratiche che non riescono ad evadere. Questa legge stabilisce che le pratiche che gli Enti locali non riescono ad evadere in 180 giorni devono essere trasferite alle prefetture. Dal legislatore, quindi, è stato dato il modo ai dipartimenti urbanistica dei Comuni di levarsi l’onere delle demolizioni. Onere che negli ultimi anni hanno dimostrato di non saper portare. Eppure, i trasferimenti in Sicilia sembrerebbero completamente inesistenti. La Prefettura di Palermo e quella di Siracusa hanno confermato al Quotidiano di Sicilia che in due anni non sono pervenute pratiche. “Continuiamo a non passare le pratiche inevase entro i 180 giorni alla prefettura – dichiara Biagio Bisignani – perché metteremmo in difficoltà le prefetture. Sarebbe come passargli una palla avvelenata e non faremmo un servizio pubblico utile, diventerebbe solo un passaggio di responsabilità fine a se stesso”.

Condoni a rilento

Le istituzioni siciliane vanno a rilento anche quanto decidono di chiudere un occhio sugli abusi edilizi. Parliamo ovviamente dei condoni edilizi, il primo dei quali risale al 1985. In riferimento a quest’ultimo, infatti, sono state esitate, negli ultimi dieci anni, solamente 38mila domande su un totale di 505mila: nel 2012 le domande esaminate erano 280 mila, nel 2022 le domande ammontano a 318 mila. E ne mancano ancora 187mila. È quanto emerge dai dati del Siab resi noti dall’ex deputato Ars in quota Cinque stelle ed esperto in diritto ambientale Giampiero Trizzino durante un recente convegno sul tema che si è tenuto a Bagheria, comune in provincia di Palermo martoriato dal fenomeno che conta 592 abusi da 117.501 metri cubi.

“Di questo passo ci vorrebbero altri 50 anni per esitare tutte le domande esistenti”, commenta l’ex deputato Ars. “I dati – continua – dimostrano che a distanza di venti anni il problema ancora non si è chiuso, dimostrano che quella possibile soluzione è sbagliata. C’è gente che nell’85’ non era ancora nata e ora si trova proprietaria di un immobile abusivo. La soluzione all’abusivismo edilizio non sono i condoni. Ma se proprio si volessero fare dovrebbero essere chiusi in massimo cinque anni. Adesso si deve accelerare tutte le procedure magari dando più responsabilità al tecnico che firma le dichiarazioni per il condono levando lavoro agli uffici pubblici”.

Un’altra via

Oltre all’abbattimento, la legge italiana offre ai sindaci un’altra strada per contrastare l’abusivismo e allo stesso tempo andare incontro alle famiglie meno abbienti che spesso abitano in queste case abusive. Un edificio abusivo, infatti, può anche essere acquisito dal Comune se è di pubblico interesse. “Se un sindaco ha la possibilità di dimostrare che un immobile ha un interesse pubblico all’acquisizione – spiega Giampiero Trizzino – perché non lo deve fare? In Sicilia una legge dà la possibilità di riconoscere il diritto di abitazione come interesse pubblico: se una famiglia abita in una casa abusiva e non ha nessun modo di spostarsi perché quella è la sua unica casa, il Comune può non abbattere ma acquisire l’edificio e far pagare un affitto sociale alla famiglia. Come se diventasse una casa popolare”.

Un’opportunità che alleggerirebbe gli uffici comunali di tutti i piccoli abusi e che permetterebbe di concentrare le forze sull’edilizia illegale che arreca un danno concreto al territorio, consentendo, allo stesso tempo, di avere delle entrate. “L’intervento da fare – continua Trizzino – sarebbe un decreto assessoriale dove vengono spiegate le modalità con cui i sindaci possono utilizzare questa norma per regolarizzare le acquisizioni ed evitare di restituire le ville abusive ai proprietari”.

Angelo Cambiano, vice presidente Commissione Affari istituzionali dell’Ars

Per anni alla guida di un Comune siciliano, quello di Licata, che si è distinto dagli altri per capacità di contrastare l’abusivismo edilizio, Angelo Cambiano (M5s) è oggi vice presidente della Commissione Affari istituzionali dell’Ars e conta di portare dentro le sale di palazzo d’Orleans il suo background da sindaco che svolge il proprio dovere effettuando concretamente, e non solo sulla carta, le demolizioni.

Onorevole Cambiano, quali sono le maggiori criticità nel contrasto all’abusivismo edilizio?
“Tra le maggiori criticità sicuramente non posso non citare la complessità connaturata ad un fenomeno che coinvolge un bene della vita molto particolare qual è quello della casa. Di certo non aiutano le migliaia di pratiche di sanatoria che intasano da decenni gli uffici comunali, né l’elevato tecnicismo di una normativa frammentata ricostruibile attraverso il combinato disposto di almeno tre leggi susseguitesi dall’ 85 al 2003. Non posso non citare l’isolamento dei pochi sindaci che hanno tentato di porre un freno al dilagare del fenomeno, la carenza di fondi in capo agli Enti locali e persino l’azione a macchia di leopardo avviata dalle procure che sembrano essersi concentrate su alcune zone dimenticandone altre. Questo non aiuta il cittadino medio che fa fatica a comprendete la ratio delle poche azioni repressive intraprese sino ad oggi nei confronti del fenomeno”.

Secondo gli ultimi dati disponibili del Siab, risalenti a marzo 2021, ci sarebbero quasi 32mila abusi edilizi in Sicilia. Numeri che non avrebbero subito grosse variazioni durante l’ultimo anno. Come si è potuto arrivare a queste cifre astronomiche? Di chi sono le responsabilità?
“Alla base della crescita esponenziale del fenomeno dell’abusivismo si pongono una serie di responsabilità condivise che coinvolgono la politica, le istituzioni, gli organi deputati al controllo del territorio e coloro i quali hanno costruito in spregio alle vigenti norme edilizie. Un fenomeno complesso e culturalmente radicato nei nostri territori”.

Visto il suo passato di contrasto concreto all’abusivismo edilizio, intende continuare la sua battaglia anche in Ars?
“Il M5s è all’opposizione. Solo la maggioranza oggi al governo della Regione ha i numeri per approvare una eventuale legge sul tema. Valuteremo con estrema attenzione ogni proposta, consapevoli dell’importanza che per il Movimento hanno tanto la tutela dell’ambiente e del paesaggio, quanto la mitigazione del rischio idrogeologico”.

Quali sarebbero le azioni parlamentari più opportune per dare un cambio di rotta al fenomeno?
“Sicuramente si dovrebbero alleggerire le responsabilità che gravano sui sindaci che oggi non hanno gli strumenti per affrontare il tema. Fatto ciò, occorrerebbe valutare in maniera organica il fenomeno, senza pregiudizi, ma con una forte attenzione nei confronti di ciò che potrebbe derivare da un affievolimento dei limiti di inedificabilità oggi vigenti anche in termini di rischi per la collettività”.

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