La caduta degli Dei catanesi - QdS

La caduta degli Dei catanesi

Antonino Lo Re

La caduta degli Dei catanesi

Giovanni Pizzo  |
martedì 25 Luglio 2023

Catania è in ginocchio, niente Aeroporto, niente luce né acqua

La Hybris, l’orgogliosa conoscenza di se, ha colpito la città più greca per nascita e cultura commerciale. Catania è in ginocchio, niente Aeroporto, niente luce né acqua. Ed il meteo porta un tempo soleggiato con punte di 43° in questo momento. Se uno vuole capire gli effetti del cambiamento climatico deve venire a Catania, dove sotto l’asfalto, o la pietra lavica, bollente i cavi dell’Enel si sono liquefatti.

Una città senza luce, e senza l’acqua che è energivora, diventa una profezia di Greta, la Cassandra finnica del terzo millennio. Ma come ha fatto questa città viva e imprenditoriale a ridursi così? Tra l’altro il nuovo corso meloniano l’aveva premiata oltremodo. Musumeci Ministro del Sud, Urso al Mise, La Russa presidente del Senato, Galvagno dell’Ars, Manlio Messina fra coloro che nel partito ed in parlamento danno le carte. La destra a Catania è sempre stata forte, ma era dai tempi del ventennio che questa sua supremazia non gli veniva riconosciuta.

Oggi, dopo aver governato a Palermo la Regione con Nello Musumeci, oggi ministro del Sud, del Mare e della Protezione Civile, con Pogliese il Comune di Catania, si trova in uno stato di prostrazione mai visto. Sembra una trasfigurazione dal “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati, agli occhi di tutti potentissima, ma fisicamente impotente. Ma cosa è successo per ridursi in questo modo? Catania era la città imprenditoriale, la Milano del Sud, la città dei Cavalieri del lavoro, dei grandi operatori economici, che lavoravano concretamente e davano lavoro a tanti catanesi e non solo. Il grande Rino Nicolosi era fortissimo, come Nino Drago o altri, ma in città comandava il mondo imprenditoriale. Poi negli ultimi trent’anni si è palermitanizzata.

Ha assunto sempre più ruoli a Palermo, la capitale politica della Regione. L’impresa ha sempre avuto meno ruolo sociale e sono avanzati i nuovi ceti dirigenti politici, portatori di consenso ma spesso non di visione. Prima ci si rivolgeva per lavorare ad un imprenditore, cavaliere o meno, poi da un certo punto in avanti ci si rivolse ai politici anche a Catania, come a Palermo. La cultura del lavoro decrebbe ed aumentò quella del favore, dello scambio improduttivo con la politica. Passando da armatoriali greci a languidi arabi, come i palermitani, la dirigenza della città si è infiacchita. Solo che i palermitani hanno in questo modus vivendi un’esperienza millenaria, una serafica calma da oblio ben descritta da Tomasi di Lampedusa, che li fa sempre galleggiare, Catania no. E se metti quel che resta dell’attivismo catanese come benzina, in termini di lavoro, commercio, turismo, in un motore diventato diesel il motore si inceppa, e la città si ferma. Tra l’altro di questo fermo meccanico soffre tutta l’isola, stante il prevalere economico del Sud-Est.

Quando a Catania tornerà una cultura industriale, quella di Pasquale Pistorio, solo per fare un esempio, ed abbandonerà l’imitazione scimmiottante del gattopardismo palermitano, con tanto di ballo a Palazzo Biscari, Catania risorgerà, riprendendosi un ruolo e riequilibrando l’isola. Ma oggi no, oggi come ha sorprendentemente detto Musumeci al vertice prefettizio si cercano “le commistioni e le omissioni” che hanno prodotto tutto questo. Ci sarà un redde rationem a Catania, prima o dopo aver risolto i problemi enormi che ha?

Così è se pare, disse Pirandello, a me questa Catania non pare proprio lei.

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