La partitocrazia tutela i propri interessi Referendum di corsa a votare “Sì” - QdS

La partitocrazia tutela i propri interessi Referendum di corsa a votare “Sì”

Carlo Alberto Tregua

La partitocrazia tutela i propri interessi Referendum di corsa a votare “Sì”

venerdì 28 Agosto 2020

Ci sembra la ripetizione dello scenario del 4 dicembre 2016, quando fu sottoposta al Popolo la proposta costituzionale di Matteo Renzi e della sua maggioranza.
Ricordiamo che quella riforma fu bocciata (60 a 40) solamente dal 65% dei votanti. Dal che si deduce: primo, che il restante 35% se ne fregò di una riforma così importante non andando alle urne; secondo, che chi andò a votare “No” non ebbe la coscienza di scegliere tale cambiamento.
Ricordiamo i tre principali elementi della riforma: primo, la riduzione del numero dei senatori a cento; secondo, la differente funzione fra Senato e Camera, con il primo che sarebbe diventato di secondo grado; terzo, finalmente il chiarimento delle funzioni attribuite allo Stato e alle Regioni.
Quest’ultimo era forse il più importante dei tre elementi, perché sarebbe fortemente diminuita la funzione di quella che viene comunemente chiamata Terza Camera, cioè la Conferenza Stato-Regioni-Enti locali, che crea immobilismo.

Negli Stati Uniti, ove abitano ufficialmente 320 milioni di cittadini, quel Senato è composto da soli cento rappresentanti. La Camera dei rappresentanti, da soli 441 elementi. Eppure, quella è oggi la migliore democrazia rappresentativa esistente al mondo. Ed è anche la più stabile, tant’è che fin dal 1789, quando fu eletto il primo presidente della Confederazione (allora si chiamava così), George Washington, tutti i presidenti fino a quello attuale, Donald Trump (il 45°) sono stati eletti il secondo martedì di novembre degli anni pari per insediarsi il 20 gennaio dell’anno successivo.
Ogni quattro anni, inoltre, vengono eletti metà dei deputati e metà dei senatori, cosicché i nuovi hanno il tempo di rodarsi alla scuola dei “vecchi”.
Di quali ciance vanno parlando i cespugli di varia collocazione quando dicono che duecento senatori su sessanta milioni di abitanti (e non 320 milioni come negli Usa) non hanno una sufficiente rappresentanza popolare?
E di quali altre ciance vanno parlando quando quattrocento deputati (su sessanta milioni di cittadini) non ce la farebbero a portare le istanze degli italiani?
Si tratta di argomentazioni false e strumentali, perché sanno che molti deputati e senatori bullonati agli scranni del Parlamento, non vi tornerebbero più e sarebbero costretti a ridiventare disoccupati o tornare al vecchio lavoro che, presumibilmente, darebbe loro emolumenti di gran lunga inferiori.
Si dice che l’argent fait la guerre, il che significa che dietro ogni comportamento ci sono interessi economici prima, personali e della parte cui si appartiene poi, e solo dopo, se ne resta, dei cittadini.
Tutti costoro, fautori del “No”, hanno scomodato intellettuali, giuristi, costituzionalisti perché, come nel caso precedente, sostengono con argomenti più o meno validi la loro tesi.
In Democrazia, vi deve essere libertà di pensiero, purché esso sia fondato su una coscienza etica e morale, a sua volta con seri pilastri sull’interesse generale. Ma non sembra che tutti coloro che esprimono legittimamente tesi a favore del “No” siano in possesso di tali requisiti.

Non c’è dubbio che il taglio di 345 parlamentari comporti certamente un risparmio di 400/500 milioni l’anno, atteso che le due Camere dovrebbero, in tempi ragionevoli, ridurre l’organico, rapportandolo al nuovo numero di eletti.
Non c’è dubbio che un minor numero di senatori e di deputati diminuirebbe il tasso di conflittualità, pur mantenendo una rappresentatività popolare di gran lunga superiore a quella dei colleghi statunitensi.
Non c’è dubbio che le due maggioranze, di Camera e Senato, anche non omogenee, indurrebbero a costituire Governi più solidi e duraturi.
Insomma, ogni cittadino dedichi un certo numero di minuti o di ore alla questione, estremamente importante, perché ne va del futuro delle seguenti generazioni.
Il nostro incondizionato appoggio al “Sì” e l’appello che rivolgiamo ai siciliani di votare di corsa favorevolmente i prossimi 20 e 21 settembre non costituiscono una dichiarazione di schieramento a favore dell’M5s, da cui ci dividono moltissime questioni. Ma su questo punto vi è una concordanza di vedute che la nostra coerenza esprime a prescindere degli interlocutori, come già dimostrato nel 2016 con la riforma di Renzi.

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