La solitudine delle famiglie con bambini disabili - QdS

La solitudine delle famiglie con bambini disabili

Ivana Zimbone

La solitudine delle famiglie con bambini disabili

mercoledì 24 Giugno 2020

A Catania l’associazione “Il Faro” accende i riflettori sulle scarse opportunità pubbliche e sui costi insostenibili per molti genitori. L’Amministrazione etnea ha in progetto di realizzare un centro diurno con un investimento di 500 mila euro

CATANIA – Dopo il lockdown esistono bambini che continuano a rimanere isolati. Sono i diversamente abili ai quali già in tempi “pre-Covid” non era garantito il diritto al gioco, alla socializzazione, all’inclusione. Claudia Condorelli, presidente dell’associazione di volontari “Il Faro – Famiglie oltre la disabilità Odv”, nata lo scorso 5 marzo con lo scopo di aiutare a Catania le famiglie dei disabili e incrementare la loro inclusione, spiega come l’amministrazione potrebbe superare il problema.

Sono 54 gli articoli della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e vertono su quattro principi fondamentali: non discriminazione (art. 2); superiore interesse del minore in ogni legge o iniziativa pubblica (art. 3); diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6); ascolto delle opinioni (art. 12). Ma quanto questi principi, senza alcuna distinzione, vengono rispettati all’interno del Comune etneo?
“Oltre alle grandi difficoltà quotidiane delle famiglie con bambini disabili, legati principalmente alla salute, si aggiunge l’enorme problema della loro inclusione. È un guaio che esiste 12 mesi l’anno e che si aggrava nel periodo estivo, perché non esiste centro pubblico o privato che li accolga in maniera inclusiva in un contesto di normalità. Chi li accetta, lo fa solo previo accompagnamento da parte di un tutor. Ma come si fa a pagare la retta di un servizio per bambini e in aggiunta uno stipendio al personale specializzato? La pensione di accompagnamento non basta nemmeno per le costose terapie che questi bimbi devono seguire ogni giorno. Questo aspetto è molto discriminante, perché consente il diritto alla socializzazione soltanto a chi ha una famiglia con un reddito molto elevato – ha chiosato Condorelli-. I genitori hanno difficoltà a lasciare i figli cosiddetti ‘normodotati’ per andare a lavorare, figuriamoci quelli diversamente abili. Il bonus babysitter? Non aiuta, perché viene erogato per un massimo di 600 euro e soltanto se entrambi i genitori lavorano (cosa molto difficile, quando in famiglia c’è un disabile). E chi il lavoro deve avere tempo e modo di trovarlo? E chi non ha la possibilità di lavorare, deve destinare all’isolamento forzato il proprio figlio? E chi, invece, deve assentarsi tutto il giorno, come dovrebbe fare a pagare l’assistenza per i propri figli con poche centinaia di euro?”.

Le possibili soluzioni proposte da “Il Faro”
Individuate le problematiche, occorre però trovare delle possibili soluzioni. “Perché il Comune, anziché tenere aperte le scuole fino a giugno, non le tiene aperte tutto l’anno, organizzando dei centri estivi in loco con i tutor già impiegati normalmente durante l’inverno? Questo prolungamento potrebbe essere una grande opportunità anche per le scuole stesse, che potrebbero incrementare i loro introiti e impiegare pure i tirocinanti, i neolaureati, gli specializzandi che sono in grado di affiancare il personale specializzato – ha continuato il presidente -. Negli istituti scolastici possono essere fatte diverse cose, sono strutture che già esistono e che possono essere trasformate come fanno quelle private. Tra l’altro hanno solitamente locali più adeguati, penso ai cortili esterni, ai laboratori, alle palestre, ai campi sportivi. Lo stesso potrebbe dirsi dei centri sportivi e degli oratori. Come se ciò non bastasse, potrebbero essere forniti dei tutor a spese del Comune presso i centri privati, oppure degli incentivi a questi ultimi affinché possano riuscire ad assumere personale specializzato”.

IL PIANO DEL COMUNE
“Il Comune di Catania mette a disposizione nel merito soltanto i centri di aggregazione giovanili, che possono ospitare soltanto disabili dai sette anni in su. In cantiere c’è il progetto di un centro diurno per diversamente abili – con un investimento di 500mila euro – che rimarrà aperto 24 mesi l’anno. Tuttavia, la gara d’appalto prevista a marzo è stata sospesa a causa dell’emergenza sanitaria ed è stata riproposta a giugno. Non so ancora con certezza quando aprirà, ma svolgerà attività d’integrazione ricreative e socio-culturali. A poterne beneficiare, probabilmente una cinquantina di diversamente abili dai 3 anni in su”, ha chiosato l’assessore comunale ai Servizi Sociali e alle Politiche per la Famiglia, Giuseppe Lombardo.

Ma secondo la presidente dell’associazione il Faro, 50 posti non sono sufficienti. “C’è un’infinità di disabili di ogni categoria (autistici di tutti i livelli, tetraplegici, soggetti con disturbi comportamentali, etc) – ha aggiunto – che attendono di vedere finalmente rispettati i loro diritti (nei parchi inclusivi, nei lidi attrezzati, nei grest, nelle attività socio-culturali, sui marciapiedi delle strade) ed è assurdo pensare che le istituzioni non si prendano cura di questi cittadini che pagano le tasse come tutti, se non in misura maggiore. È anche folle pensare di ghettizzarli, prevedendo dei centri accessibili solo ai diversamente abili, perché altrimenti finirebbero soltanto per imitarsi a vicenda e tornare indietro rispetto ai loro progressi. I bimbi ‘normodotati’ sono uno stimolo necessario e, dal canto loro, hanno il diritto e il dovere di conoscere il mondo per quello che è, variegato in tutte le sue differenze e sfumature. Se così si facesse, nessuno più guarderebbe in maniera strana i nostri figli al parco, come spesso avviene”.

“L’inclusione deve partire dagli adulti, che invece spesso consigliano ai propri figli di guardare soltanto dall’altra parte, di ignorarli o di commiserarli – ha concluso Claudia Condorelli -. Sarebbe invece bellissimo se il Comune e la Regione potessero mettere in rete gratuitamente le associazioni del terzo settore per una collaborazione. Così, tanti volontari potrebbero costruttivamente collaborare con la classe dirigente, al fine di recuperare progetti d’inclusione validi, magari finanziabili interamente con i fondi europei”.

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