La vita si accorcia, l’orizzonte si allunga - QdS

La vita si accorcia, l’orizzonte si allunga

Carlo Alberto Tregua

La vita si accorcia, l’orizzonte si allunga

mercoledì 12 Gennaio 2022

Chi arriva a una certa età, come chi scrive, sa che la più parte della vita è passata e gli resta davanti un’altra piccola parte. Constata perciò che la vita si accorcia e si augura che la parte finale non sia tormentata dentro il tunnel della malattia, ma che si fermi con la cosiddetta “bella morte”. Tuttavia, non è vero che la vita si ferma, almeno secondo me, ma cessa il funzionamento del corpo. Mentre la vita continua, si allunga e non ha alcun orizzonte perché non si sa fino a dove arriva.

Rispetto coloro che ritengono che con la morte del corpo vi sia anche quella dello spirito e che dopo vi sia il vuoto assoluto, ma ho una visione opposta. Essa è basata anche su un ragionamento concreto e cioè che i meccanismi dell’esistente sono perfetti, quasi matematici. Come è possibile che tutto ciò sia accaduto senza qualcuno che abbia progettato e realizzato tutto quanto è sotto i nostri occhi?
Mi sbaglierò, ma ho l’impressione che la situazione sia chiara e incontrovertibile.


Se ci viene meno la paura del momento della cessazione del corpo, viviamo molto meglio perché non ragioniamo in termini finiti, bensì infiniti: così l’orizzonte si allunga. Sappiamo che le cose che noi facciamo restano a futura memoria; potranno essere utilizzate o meno, ma la storia dei secoli è fatta anche di azioni minime prolungate nel tempo, secondo la regola che ogni goccia è importante perché “fa il mare”.

La cognizione della vita infinita (materiale e immateriale) ci consente di vivere con normalità e con semplicità, non cercando soddisfazioni materiali, effetto di una bulimia incontenibile, come accade a moltissime persone, ma nutrendo il proprio spirito di conoscenze, di saperi che si acquisiscono attraverso le letture continue delle fonti e di ciò che è stato scritto in tutti questi secoli.

Attenzione, però, non ci riferiamo solo alla cultura occidentale, di cui abbiamo notizia forse da quattromila anni, cioè dai tempi degli assiro-babilonesi in avanti; ci riferiamo anche alle culture orientali, di cui forse la più antica è quella cinese, che risale a cinquemila anni, o a quella giapponese, che risale a tremila anni.

Quanto più leggiamo, apprendiamo e impariamo, tanto più ci accorgiamo della nostra immensa ignoranza. Averne consapevolezza è essenziale, perché questa carenza ci crea un forte appetito di cose da apprendere, per cercare di colmare – seppure in minima misura – i nostri enormi vuoti di sapere.

Qualcuno dice con spocchia che chi ragiona così è un intellettuale, come se esso appartenesse a una casta di sapientoni che disdegnano gli ignoranti. Non è così.
L’intellettuale è puramente e semplicemente colui o colei che fa funzionare l’intelletto e, siccome ognuno di noi ne è dotato, la questione non è materiale – di averlo o non averlo – bensì di usarlo, attività che non fanno tutti perché la pigrizia mentale è una brutta malattia.
Chi usa l’intelletto riesce ad avere una visione panoramica di ciò che accade, può percepire gli sviluppi di eventi e intuire circostanze che si verificheranno. Tuttavia, nessuno ha la palla di vetro, anche se ognuno di noi ha il dovere di sforzarsi per mettere insieme il passato ed il futuro, vivendo il presente con la massima serenità, anche nei periodi difficili.


La conoscenza ci porta a scoprire i bugiardi, coloro che diffondono menzogne per il proprio tornaconto. La conoscenza ci consente di scoprire gli egoisti, cioè tutti coloro che non hanno il senso della Comunità e che non vedono al di là del proprio naso.

Non tutti la pensano in questo modo, il che è grave perché se ciascuno di noi pensasse di rinunciare a una parte del proprio tempo e delle proprie cose in favore di altri, si innesterebbe un circuito virtuoso che farebbe stare tutti meglio.

La produzione di ricchezza è un fatto positivo, checché ne possano dire falsi ideologi, a condizione che essa sia regolarmente tassata, il che significa che una parte va a favore della Collettività. Però vi sono eccessi che disturbano. Per esempio, è notizia di questi giorni che il Capo della Apple, Tim Cook, percepisce un assegno annuale per compensare il suo lavoro di ben cento milioni l’anno.

Non commentiamo tale fatto e lasciamo alla vostra valutazione tale esempio, che certo non è un modello di equità.

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