Mafia, i "moderni" clan dei Nebrodi colpiti dall'inchiesta - QdS

Mafia, i “moderni” clan dei Nebrodi colpiti dall’inchiesta

redazione web

Mafia, i “moderni” clan dei Nebrodi colpiti dall’inchiesta

mercoledì 15 Gennaio 2020

Bontempo Scavo e Batanesi infiltrati nei gangli economici di una società "rassegnata", secondo il Gip Mastroeni, che afferma: ""La mafia è una specie di classe sociale, contrastabile ma non eliminabile come categoria"

Sono due i clan coinvolti nella maxi- inchiesta dei pm di Messina che oggi ha portato all’arresto di 94 persone: quello dei Bontempo Scavo e quello dei Batanesi, entrambi storici e radicati nella zona di Tortorici, sui Nebrodi.

Tutte e due le cosche hanno base familiare: l’inchiesta “colpisce” infatti interi nuclei familiari. Secondo gli inquirenti i Batanesi e i Bontempo Scavo avrebbero scelto di non farsi la guerra ma di spartirsi gli affari: come quello delle truffe all’Ue attraverso false intestazioni di decine di terreni da utilizzare per avere i contributi per l’agricoltura.

Le due famiglie sarebbero dunque in una fase di tregua armata, “anche se sotto la cenere cova sempre la voglia di fare piazza pulita del concorrente”, scrivono i magistrati. I personaggi di spicco dell’indagine sono, per i batanesi, Sebastiano Bontempo detto il guappo, Giordano Galati detto Lupin, Sebastiano Bontempo, “il biondino” e Sebastiano Mica Conti. Tutti hanno scontato condanne pesantissime per mafia, Mica Conti anche per omicidio.

Dopo aver espiato le pene, sono stati scarcerati e sono tornati al vertice del clan. I vertici della “famiglia” dei Bontempo Scavo coinvolti sono: Aurelio Salvatore Faranda e i fratelli Massimo Giuseppe e Gaetano.
Nell’inchiesta sono finiti anche imprenditori e alcuni insospettabili: come il notaio, Antonino Pecoraro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, che avrebbe fatto falsi atti per far risultare acquisiti per usucapione una serie di terreni la cui titolarità serviva alle “famiglie” per chiedere i contributi Ue, e i titolari di una serie di Centri Commerciali Agricoli della zona.

Il gip Mastroeni, società rassegnata, mafia ineliminabile

Molto forte quanto il gip di Messina Salvatore Mastroeni (nella foto) ha scritto nel suo provvedimento, di oltre settecento pagine: “La mafia è una specie di classe sociale, contrastabile ma non eliminabile come categoria, nonostante decine e decine di operazioni e processi. Un riscatto completo, la liberazione del territorio, difficilmente sarà ottenuta solo con l’intervento giudiziario. Le misure non arrestano un mondo rassegnato alla deriva mafiosa, una sventura per mafiosi e famiglie”.

L’inchiesta, che ha svelato la nuova frontiera del business mafioso – le truffe all’Ue – ha ricostruito gli organigrammi delle cosche e rivelato una fitta rete di complicità di professionisti insospettabili.

“Il riscatto di intere popolazioni – aggiunge il giudice nella ordinanza di custodia cautelare – richiederà di più. Quando la mafia si incunea, altera il mercato, depreda risorse, il contrasto penale si impone. Ma il dato penale diventa insufficiente quando non si trovano strutture che portano ricchezza alla gente e al territorio e anzi arriva la sensazione tragica di ulteriore impoverimento”.

Il gip parla di una “criminalità che ingurgita profitti milionari. Profitti che spariscono e niente lasciano alla gente”.

Infiltrazioni nei gangli economici della società

È una mafia moderna quella messinese così come emerge dal ritratto del gip Mastroeni.

Storicamente ritenuta “minore” rispetto a Cosa nostra palermitana e catanese, tanto da far meritare alla provincia di Messina l’appellativo di “babba”, ingenua. Una visione assolutamente in contrasto con quello che emerge dall’indagine della Procura di Messina che ha disarticolato i clan mafiosi dei Nebrodi.

La mafia è tornata alla terra, ma non è più la “mafia dei pascoli”: siamo di fronte piuttosto a una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi che sfrutta le potenzialità offerte dall’Ue all’agricoltura e riesce a intascare fiumi di denaro. Le cosche tortoriciane dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, disarticolate dall’inchiesta, avevano rapporti anche con Cosa nostra palermitana, con le “famiglie” catanesi e con esponenti mafiosi di Enna e Catenanuova.

Attività tradizionali sostituite da business a basso rischi

Dall’indagine viene fuori che i boss non hanno dismesso le tradizionali attività illecite – estorsioni, traffici di droga -, ma i taglieggiamenti spesso sono finalizzati all’accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; “settore, questo, – scrive il gip che ha disposto gli arresti – che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose, unitamente ad un’attività di narcotraffico organizzato grazie ad una rete di contatti in ambito regionale, e nel cui settore venivano reimpiegate, con ogni probabilità, le ingenti somme depredate attraverso le truffe”.

Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, “rientrate in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce”.

“Le organizzazioni mafiose in questione, – conclude il giudice – grazie all’apporto di professionisti, presentano una fisionomia dinamica, muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa (e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia), mirano all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari, praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico, presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti”.

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