Mafia, l'influenza dei Santapaola nel quartiere Picanello di Catania

Affari di cuore, controversie di lavoro e onori di famiglia: l’influenza dei Santapaola a Picanello

Antonino Lo Re

Affari di cuore, controversie di lavoro e onori di famiglia: l’influenza dei Santapaola a Picanello

Simone Olivelli  |
martedì 23 Gennaio 2024

La scelta di fare ricorso alla criminalità organizzata per dirimere le controversie del quotidiano. Tutti i retroscena

Una presenza tangibile, capace di scivolare tra la vita delle persone anche quando queste non sono trafficanti di droga con cui discutere costose forniture, imprenditori a cui imporre il pizzo, politici da avvicinare. Per quanto si possa ragionare delle nuove strategie adottate dalla criminalità organizzata, sempre più propensa a spostare verso l’alto l’asticella dei propri interessi, la presenza dei clan sul territorio resta elemento essenziale per la perpetuazione del potere. A confermarlo è una serie di vicende narrate nelle carte della recente inchiesta Oleandro della Dda di Catania, in cui i protagonisti sono piccoli delinquenti e persone comuni, unite dalla scelta di fare ricorso alla mafia per dirimere le controversie del quotidiano. I boss e i loro accoliti si trasformano così, di volta in volta, in giudici di pace, avvocati del lavoro, sensali per rapporti sentimentali avversati. Interventi tra loro diversi ma legati dal sottile filo rosso della violenza. Attuata o soltanto minacciata.

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L’amore trionfa

Qualche anno fa, il Covid doveva ancora irrompere sulla scena mondiale, a Picanello un uomo veniva avvicinato e minacciato di morte. Il messaggio era stato chiaro: se non l’avesse finita di frequentare la donna con cui aveva iniziato una relazione, avrebbe passato i guai. A confermare il pericolo al diretto interessato sono Giuseppe Gambadoro e Carmelo Salemi, cugini ai vertici del gruppo che nel quartiere fa riferimento alla famiglia Santapaola-Ercolano. I due spiegano all’uomo innamorato che la donna è figlia di un personaggio di spicco. “Stai toccando la figlia di uno che è malandrino, forse non hai capito. È la stessa cosa che stai toccando la figlia di Giovanni Comis”, afferma Salemi, tirando in ballo il boss per rendere il paragone più immediato.

Gambadoro, dal canto proprio, pensa a un modo per mettere a posto le cose. “Ci andiamo noialtri. Ci vado io con quegli amici miei – ragiona – Ci dico: ‘Hai ragione, lui ha sbagliato. Ci siamo noialtri nel mezzo. Non fategli niente a quel ragazzo, chiudiamo il discorso’”. Il malcapitato, dal canto suo, racconta che un altro uomo, conoscente di entrambe le parti in causa, nell’immediatezza aveva fatto in modo che le cose non precipitassero: “Mi ha detto: ‘Ti dovrei scassare di botte, ti dovrei sparare nella testa. Mio zio già la mattina era venuto alla porta di casa mia accavallato (armato, ndr), ché ti doveva venire a sparare”. Nell’ordinanza non viene chiarito quale sia stato nel dettaglio il contributo di Salemi e Gambadoro, ma dai social si direbbe che le criticità siano state superate: la coppia, infatti, pare continuare a vivere insieme.

Bisticci tra bambini

A scuola due ragazzine litigano tra loro, il genitore di una delle due interviene e rimprovera in maniera aspra l’altra. Non sa, però, che quest’ultima è figlia della compagna di Nunzio Comis, il cui padre Giovanni è ritenuto boss di Picanello. È la disavventura capitata quattro anni fa a un uomo che lavora a Piano Tavola, ritrovatosi al cospetto di un gruppo di persone radunate appositamente da Comis – tra gli arrestati del blitz del Gico, con l’accusa di gestire un giro di usura – per ripristinare l’onore della minorenne. Stando a quanto trapela dalle intercettazioni non sarebbe poi accaduto granché, alla domanda di Giuseppe Gambadoro se la ragazzina fosse stata maltrattata, Comis risponde: “No, poco”. Per poi spiegare che l’uomo “dopo ha chiamato, voleva sistemare la cosa perché si è informato. Un amico nostro gli ha detto chi ero”. Alla fine l’incontro chiarificatore si sarebbe tenuto, ma con l’accortezza di presentarsi in compagnia di altri esponenti del clan. “Al fine evidente – scrive la gip Giuseppina Montuori – di intimorire ulteriormente e costringerlo a scusarsi per quanto accaduto”.

Problemi di competenze territoriali

Il coinvolgimento dei clan tiene conto anche dei luoghi in cui gli attriti si verificano. Per esempio nel caso della lite tra il titolare di un bar di viale Libertà, zona sotto il controllo del clan della Stazione, e di un macellaio di via Duca degli Abruzzi, a Picanello, a confrontarsi sono Gambadoro e l’uomo che è ritenuto controllare il primo gruppo criminale. Tra i due contendenti erano volate parole grosse e relative minacce, in seguito all’intervento del primo in difesa di una ragazza infastidita dal secondo. A richiamare all’ordine il macellaio è Gambadoro, che precedentemente aveva tranquillizzato il barista: “Ci possiamo andare, lo spunto lo abbiamo. Ci diamo botte, tranquillo”. Alla fine, però, è lo stesso Gambadoro a essere perplesso su come siano andate realmente le cose. “Mi ha raccontato tutto un altro tipo di discorso”, racconta al referente del gruppo della Stazione. E i due stabiliscono che la cosa migliore da fare è quella di organizzare un incontro tra i due commercianti. Alla presenza, chiaramente, degli esponenti dei relativi clan.

Una situazione meno diplomatica è toccata invece a un ragazzo residente in una delle vie che si trovano nel cuore di Picanello. Dopo avere rivolto attenzioni a una ragazza, già impegnata, era stato schiaffeggiato dal fidanzato della giovane con l’autorizzazione del responsabile del gruppo della Stazione e alla presenza di Gambadoro. La vicenda, tuttavia, non era piaciuta a Carmelo Salemi: il boss di Picanello, arrestato nel blitz Oleandro con l’accusa anche di avere riciclato soldi sporchi nell’edilizia, aveva ritenuto eccessivamente umiliante la reazione. Più che per il destinatario, per la propria cosca. Dopo avere rifiutato di incontrare il capogruppo della Stazione, Salemi spiega a Gambadoro: “Mi devi fare il favore: ci devi dire che a Melo, di questa situazione, non interessa. Tu lo sgarbo lo hai fatto a me, Giuseppe (Gambadoro). Perché io ti ho mandato un ragazzo e gli hai fatto dare botte”.

La conciliazione dopo il licenziamento

Tra i servizi che gli uomini del clan di Picanello sarebbero stati pronti a offrire ci sono anche quelli paralegali. Nel caso del licenziamento di una donna da un esercizio commerciale specializzato nella ristorazione, il boss Salemi decide di muoversi incaricando un proprio sodale per trovare un punto di equilibrio tra le pretese della donna e le presunte ragioni del titolare. Accade così che a fronte di un credito di 2600 euro vantato dalla lavoratrice, l’accordo che viene raggiunto è per la metà. “Ci sto scendendo e gli dico: ‘Senti, sono due e sei, tagliamo, facciamo mille e tre e vediamo come te li faccio dare”, propone l’uomo chiamato a calarsi nei panni di avvocato del lavoro. La donna accetta e il titolare pure. Anche se quest’ultimo non lesina qualche lamentela all’emissario del clan, criticando la scelta della propria ex dipendente di adire contemporaneamente le vie legali e quelle mafiose.

Impossibile stare un passo indietro

Capita infine che l’organizzazione criminale decida di non intervenire, anche se in ballo ci sono questioni che toccano direttamente persone a sé vicine. Tuttavia, il proposito non sempre va in porto. Come quando Peppe Russo, in quel momento responsabile del clan di Picanello, dopo essere stato contattato da un affiliato che temeva di subire rappresaglie dalla famiglia di una donna con cui aveva avuto una relazione, faccia presente di non voler mettere il becco in questioni di natura sentimentale. Lo stesso Russo ritiene che il modo migliore per risolvere tutto sia quello di un confronto tra i padri dei due giovani. Tale ipotesi, però, non viene vista di buon occhio dal ragazzo che, temendo di incorrere in situazioni violente, decide di coinvolgere esponenti dei Santapaola che orbitano in zone diverse: dal Cibali alla Stazione. Una decisione che ha causato qualche imbarazzo a Russo, che sentitosi superato non ha mancato di rimproverare il giovane: “Te lo metto per iscritto: appena quelli parlavano male o vi alzavano un dito, io gli sdirrubava (gli facevo arrivare, ndr) cento cristiani”.

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