Medici stranieri Sicilia, intervista al presidente Gimbe Cartabellotta

Gimbe, Cartabellotta al QdS: “Medici stranieri in Sicilia? Via i nostri, inaccettabile paradosso”

Antonino Lo Re

Gimbe, Cartabellotta al QdS: “Medici stranieri in Sicilia? Via i nostri, inaccettabile paradosso”

Mauro Seminara  |
mercoledì 13 Dicembre 2023

Il Quotidiano di Sicilia ha intervistato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe

La Sicilia cerca medici all’estero disposti a trasferirsi per colmare la carenza di organico e salvare strutture ospedaliere altrimenti destinate alla chiusura. La difficoltà nel reperire medici riguarda però l’intero stivale, e per questa competizione nella ricerca di figure professionali la Regione Siciliana ha aperto anche ai camici bianchi extra Unione europea. Dal forzista governatore della Sicilia Renato Schifani al collega dem campano Vincenzo De Luca, il limitato numero di accessi alle facoltà di medicina delle università italiane deve essere superato, ma secondo il presidente della Fondazione Gimbe, il palermitano Nino Cartabellotta, l’Italia è poco competitiva in un sistema globalizzato in cui il personale sanitario migliore segue le offerte di lavoro migliori.

Questa crisi strutturale del Servizio Sanitario Nazionale esplode appena due anni dopo la pandemia da SARS COV 2 e mette adesso a rischio l’intero paese nel caso di una nuova epidemia pandemica. Il Quotidiano di Sicilia ha intervistato il dottor Nino Cartabellotta sul contesto del SSN e sui rischi che anche o soprattutto la Sicilia corre qualora una emergenza sanitaria dovesse investire la nostra come altre regioni vulnerabili sul piano sanitario che, secondo il presidente della Fondazione Gimbe, vedrebbero aumentare le diseguaglianze in caso di attuazione di una autonomia differenziata.

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe

Dalla necessità veneta di 3.500 medici a quella siciliana con il bando per 1.500 medici stranieri, l’Italia ha il SSN in ginocchio ad appena due anni dalla pandemia. Anche se trovassimo tutti i medici necessari per l’Italia all’estero, quale sarebbe poi il livello di assistenza e quali le criticità con soluzioni come appunto quella siciliana?

“Stiamo vivendo un inaccettabile paradosso: facciamo scappare dal SSN medici e infermieri formati in Italia e poi li andiamo a cercare all’estero. D’altronde in un sistema globalizzato i professionisti sanitari non fanno eccezione: scelgono di andare a lavorare dove sono pagati meglio, hanno prospettive di carriera, non sono costretti a turni massacranti, se non addirittura a subire aggressioni. D’altronde se nel 2022 la spesa sanitaria pubblica in Italia è stata inferiore di oltre € 48 miliardi alla media dei paesi europei, come si poteva non arrivare a questa crisi motivazionale del personale sanitario? Sulla qualità dell’assistenza garantita da medici e infermieri provenienti dall’estero impossibile fare qualsiasi previsione”.

A proposito di pandemia, tra SARS e SARS COV 2 sono passati pochi anni; nella attuale condizione del SSN come potremmo affrontare una eventuale nuova pandemia come quella del 2020?

“Auguriamoci di non dover rivivere mai più una pandemia come quella del 2020. La resilienza dei servizi sanitari, e soprattutto l’abnegazione e lo spirito di servizio con cui i professionisti sanitari l’affrontarono nel 2020-2021 non esiste più e non sarà ricostruibile a breve. Quello che allora è stato uno tsunami, oggi sarebbe un’ecatombe”.

Il comparto del personale sanitario ha appena manifestato il proprio dissenso verso la manovra finanziaria in materia di sanità, da nord a sud; dobbiamo intendere tutti gli aderenti alla manifestazione quali potenziali figure specializzate pronte a lasciare il paese per migliori offerte all’estero?

“Assolutamente no. Anzi ritengo che la maggior parte di medici e infermieri che hanno promosso e partecipato allo sciopero credono nel valore del SSN, di cui si riconoscono colonna portante e vogliono continuare a svolgere questo ruolo. Ma con il rispetto e la dignità che meritano: sia in termini economici, sia di condizioni organizzative e di sicurezza sul lavoro”.

Esiste un periodo, un anno o una specifica riforma che ha determinato l’inizio del disfacimento del SSN, ed in che modo?

“No, non abbiamo mai sentito il fragore di una valanga, ma assistito al lento e inesorabile scivolamento di un ghiacciaio. Di fatto, Governi di “tutti i colori” negli ultimi 15 anni hanno tagliato o non hanno investito adeguatamente in sanità e hanno considerato la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento, ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL. Governi che hanno scelto di usare la spesa sanitaria come un bancomat per ottenere consensi, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Una politica miope che, limitandosi alla “manutenzione ordinaria” del SSN, ha portato allo sgretolamento dei princìpi di universalismo, equità e uguaglianza, sino a compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute”. 

Dal 6° rapporto Gimbe si confermano enormi diseguaglianze regionali, ma anche criticità comuni. In questo scenario quali potrebbero essere gli effetti negativi dell’autonomia differenziata?

“Come riportato nell’audizione GIMBE in Commissione Affari Costituzionali, le maggiori autonomie in sanità finiranno per legittimare normativamente le diseguaglianze regionali e, soprattutto, la “frattura strutturale” Nord-Sud. Per tale ragione abbiamo chiesto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono chiedere maggiori autonomie. Perché finirebbe per assestare il definitivo colpo di grazia al SSN”.

Health in All Policies, nel piano per il rilancio del SSN proposto dalla Fondazione Gimbe spicca la proposta di mettere la salute ed il benessere delle persone al centro di tutte le decisioni politiche; cosa significa?

“Significa, come suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ogni Governo deve mettere la salute e il benessere delle persone al centro di tutte le politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali, oltre che di istruzione, formazione e ricerca. In altre parole, quando viene promulgata qualsiasi legge bisogna valutare l’impatto sulla salute pubblica a breve, medio e lungo termine. Gli esempi di scelte scellerate continuano a moltiplicarsi, proprio perché questo principio non viene quasi mai seguito dalla politica”.

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