Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani - QdS

Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani

Michele Giuliano

Mense scolastiche, in Sicilia menù decisamente poco sani

martedì 24 Novembre 2020

La fotografia dei “piatti degli studenti” scattata dall’Osservatorio Foodinsider con Slow Food Italia. Su 52 città campione analizzate nel nostro Paese, Palermo è 30^, Siracusa addirittura ultima

PALERMO – La cucina delle mense siciliane non è delle migliori in termini di salute. Almeno è così nella classifica presentata da Foodinsider, Osservatorio delle mense scolastiche, in collaborazione con Slow Food Italia, durante la conferenza stampa di presentazione del 5° Rating dei menù scolastici e dell’indagine sulla mensa post lockdown.

A causa del lockdown l’indagine ha fotografato la situazione fino a febbraio scorso, valutando l’equilibrio e l’impatto sull’ambiente di 52 menù scolastici italiani, rappresentativi del 28% circa del panorama della ristorazione scolastica a livello nazionale. La Sicilia non ha fatto una bella figura: Palermo si trova solo al trentesimo posto, e Siracusa addirittura all’ultimo posto. In generale, comunque, il giudizio sulla mensa italiana è negativo: complessivamente troppe proteine, tanti prosciutti e carboidrati. Il rischio è che sia la mensa a contribuire all’obesità infantile.

Il Rating ha comunque registrato un moderato sforzo verso proposte più sane e sostenibili: più legumi e meno carne rossa e alcune iniziative degne di nota contro lo spreco. Tra i migliori spicca ancora Cremona, con due opzioni di scelta e ricette sane e sfiziose, seguita da Fano, Jesi, Trento, Rimini, Bergamo e Mantova, che si posizionano nella fascia dell’eccellenza all’interno del Rating.

Il nuovo anno scolastico e le nuove condizioni di sicurezza legate alle necessità di protezione da contagio da Covid 19 hanno cambiato tutto per le mense scolastiche italiane. Si semplificano i menù e le ricette si appiattiscono su paste in bianco, al pomodoro o al pesto e pizze, scompaiono minestre e brodi e le polpette diventano bocconcini.

Sono soprattutto le stoviglie monouso a far crescere gli oneri economici per i Comuni e i costi ambientali, di cui non si tiene conto. La soluzione più green è quella di Venezia, dove i bambini sono abituati da anni a portare le stoviglie da casa, a cui si sono aggiunte la borraccia e la tovaglietta lavabile fornite dal Comune.

“In epoca di pandemia le cucine e i cuochi stanno alla mensa scolastica come gli ospedali e i bravi medici stanno al Covid – sostiene Claudia Paltrinieri, direttrice di Foodsinder -. La nostra indagine dimostra che più sono diffuse le cucine sul territorio, più i cuochi sono formati e più è facile ‘curare’ l’alimentazione dei bambini che, in attesa di vaccini, è tra le migliori armi che abbiamo per proteggere la salute dei nostri figli”.

Si allarga, insomma, la forbice tra chi dà un valore sociale ed educativo alla mensa e chi la considera una commodity. Tra chi ritiene il mangiare a scuola sia uno strumento di ‘cura’ dei bambini e continua a cucinare, investendo sulle risorse umane, seppur con più difficoltà e maggiori costi, e chi privilegia i cibi ‘scarta e servi’ puntando all’efficienza del servizio. Durante l’estate poi c’è stata una forte pressione verso l’adozione del lunchbox. La società civile si è mossa compatta con campagne d’informazione (petizione #salvalamensa su Change.org, appelli alle istituzioni, campagne stampa) per contrastare la fake news diffusa attraverso i media secondo la quale le monoporzioni sono la soluzione più sicura. Con solide basi scientifiche (Report Agenzia europea per il controllo delle malattie Ecdc su Covid e scuola; i documenti dell’Oms e dell’Iss sul tema Covid-19 e sicurezza alimentare) si è smontata un’informazione falsa e si è fatta luce sui maggiori rischi di questa opzione: aumento esponenziale di rifiuti (plastica e cibo), perdita di fragranza dei cibi, impoverimento del potere nutrizionale e protettivo del pasto e reazione conflittuale delle famiglie.

Insomma, l’organizzazione della mensa non è una semplice questione nutrizionale: “È una scelta strategica, una scelta che definirei politica e che dipende dalla cultura e dalla visione degli organi decisionali – commenta la vice presidente della Commissione Ambiente della Camera, Rossella Muroni -. Il cibo che portiamo a scuola è infatti un potente strumento di politica sociale, economica e ambientale con il quale si possono proteggere i bambini dalla povertà nutrizionale, dall’obesità e dalle malattie, rilanciando un’economia pulita sul territorio”.

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Un commento

  1. giuseppe ha detto:

    MI chiedo : dove sono gli enti, gli autori dei capitolati dei bandi di gara, i relativi rup, non hanno coraggio a controbattere?

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