Covid 19, la difficile prova della sanità messinese - QdS

Covid 19, la difficile prova della sanità messinese

Lina Bruno

Covid 19, la difficile prova della sanità messinese

sabato 18 Aprile 2020

Il Coronavirus ha costretto tutto il territorio a fare i conti con una crisi senza precedenti. I sindacati hanno sottolineato alcune questioni per la sicurezza di pazienti e operatori

MESSINA – Lacune organizzative, confusione e incertezza su ulteriori centri Covid da attrezzare, sperando nel frattempo di essere graziati da un arresto dei contagi. Le strutture sanitarie messinesi lentamente si sono attrezzate per affrontare il Coronavirus, ma in questo impegno sembra siano rimaste marginali tutte le altre prestazioni, come se da un certo momento in poi ci si potesse ammalare solo di Covid 19.

Così anche i Pronto soccorso in alcuni momenti sono risultati poco propensi ad accogliere le normali emergenze, tanto da costringere gli utenti a peregrinare da un ospedale all’altro, prima di essere accettati e visitati. Tutto questo a vantaggio o a scapito, non si sa bene, di studi diagnostici privati che potrebbero però accogliere solo pazienti con richieste dove il medico di base certifica l’urgenza ma che alla fine accettano tutti quelli che possono permettersi di pagare per intero la prestazione.

Una situazione che però comincia a non essere tollerata da chi lavora in questi ambulatori: lunghe file, personale ridotto, pressione dell’utenza che non si sente più tutelata dalla sanità pubblica e usa questi presidi come fossero punti di emergenza. “Non siamo un Pronto soccorso”, dice qualche operatore, facciamo prestazioni che non potremmo ma c’è chi viene sballottato da un ospedale all’altro perché c’è l’emergenza Coronavirus.

Policlinico e Papardo hanno attrezzato dei percorsi Covid con padiglioni dedicati e l’Asp ha firmato dei protocolli di intesa con alcune cliniche private che si sono dette disponibili ad attivare posti per malati di Coronavirus. Non è invece chiaro se l’Irccs-Piemonte sia un Covid hospital, decisione contro cui si erano scagliati i rappresentanti della Fp Cgil, i quali ritengono il presidio di viale Europa non adeguato. “Non ha nessuna delle caratteristiche tecnico strutturali – ha detto Antonio Trino segretario provinciale della Fp Cgil e presidente ordine degli infermieri – necessarie a poterla definire tale. Nessun percorso Covid-19 attivato, una sola infermiera in servizio, assenza nella stanza dei requisiti minimi di sicurezza, mancanza della distanza di 3mt prevista”.

L’Irccs-Piemonte è stato al centro di denunce da parte del sindacato che ritiene non siano state messe in campo, da parte dell’azienda, tutte quelle azioni di tutela della salute e della sicurezza del personale e dell’utenza in seguito ai casi di positività riscontrati all’interno del nosocomio, gli ultimi due la scorsa settimana. “Emblematica dell’incapacità gestionale – ha aggiunto Trino – è il caso del paziente trasferito dal Policlinico verso il Piemonte, dato per ex Covid-19 perché con due tamponi negativi. Viene trasferito in ambulanza, è transitato dal Pronto soccorso e successivamente è stato ricoverato in Neurologia. Lì, però, si è scoperto che il secondo tampone era positivo. Due giorni prima a una persona transitata dal Pronto soccorso e ricoverata in ortopedia è stata diagnosticata positività e da quel momento il paziente è stato trasferito al Policlinico Universitario. Ma nessuna procedura è stata formalizzata e posta in essere per la sicurezza di operatori e pazienti”.

Secondo quanto ha detto Trino paradossalmente gli operatori sono più sicuri in un reparto Covid, dove le procedure sono molto rigide.

In ogni caso le criticità registrate si sono presentate un po’ ovunque. I tamponi andrebbero fatti regolarmente a tutto il personale e comunque quando si effettuano i risultati dovrebbero arrivare entro poche ore, invece in alcuni casi passano anche due settimane e a quel punto il test perde di significato. Mancano risorse, personale e la capacità di processare tamponi rispetto ai test che si effettuano è limitata.

Per Trino anche l’idea di aprire un Covid hospital all’interno dell’ospedale di Sant’Agata Militello, dove gli operatori non hanno neppure Dpi sufficienti, pone dubbi e preoccupazioni, aggravati dai recenti contagi di tre sanitari del reparto di cardiologia, chiuso poi per la sanificazione.

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