Nozze d'argento del boss Lo Presti in chiesa a Palermo, il caso

Le nozze d’argento del boss Lo Presti a due passi dalle lapidi di Falcone e Borsellino, il legame tra Chiesa e mafia resiste

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Le nozze d’argento del boss Lo Presti a due passi dalle lapidi di Falcone e Borsellino, il legame tra Chiesa e mafia resiste

Roberto Greco  |
sabato 27 Aprile 2024

"Un'offesa a Palermo e a mio fratello": la delusione di Maria Falcone per il caso del boss "devoto" che ha potuto festeggiare tranquillamente le nozze d'argento nella chiesa di San Domenico.

Il boss Tommaso Lo Presti è tornato libero dopo anni trascorsi in carcere e, lo scorso 10 aprile, ha deciso di festeggiare le sue nozze d’argento in chiesa. Non in una chiesa qualsiasi ma nella chiesa Basilica Pantheon di San Domenico, il secondo edificio religioso più importante di Palermo dopo la Cattedrale. Al Pantheon è riconosciuto il ruolo di luogo vivo della memoria e dell’identità dei siciliani, un luogo in cui a essere commemorati siano uomini che con il loro impegno hanno contribuito al riscatto della nostra terra.

Dalla metà del XIX° secolo, nella chiesa di san Domenico è accolto il Pantheon degli Illustri di Sicilia, uomini e donne distinti per meriti più variegati: letterati, giuristi, artisti e poeti. In chiesa si possono ammirare lapidi, tombe, cenotafi e targhe che ne commemorano il ricordo. Tra questi Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Pietro Novelli, Giovanni Meli, Giuseppe Pitrè, Giacomo Serpotta e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Dal 3 giugno 2015, giorno in cui è avvenuta è avvenuta la traslazione della salma, anche le spoglie mortali di Giovanni Falcone dimorano nella chiesa di San Domenico. Sempre nel Pantheon ci sono le due lapidi commemorative delle vittime delle stragi di Capaci e di via d’Amelio.

Le nozze d’argento del boss Lo Presti in chiesa

La chiesa di San Domenico si trova nel cuore del mandamento mafioso di cui Tommaso Lo Presti, detto “u’ pacchiuni”, era al vertice ed è proprio lì che si è presentato in abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, accompagnato dalla moglie Teresa Marino in abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse, con quell’enfasi barocca di certi matrimoni che esibiscono soldi e potere. Lo Presti e consorte sono stati accolti dai Padri Domenicani, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Tra un bacio, una lacrima di emozione, una damigella, il rettore della chiesa non si è accorto che i due sposi erano due pezzi grossi di Cosa Nostra: lui, scarcerato a fine anno, attualmente sorvegliato speciale che deve rientrare a casa presto la sera, lei condannata a sua volta per avere seguito gli affari della famiglia mafiosa di Porta Nuova mentre il marito era in cella. Secondo le indicazioni della Chiesa si tratta di due scomunicati, proprio perché condannati in via definitiva per mafia invece, a pochi metri dalla tomba del martire di Capaci hanno ripetuto le promesse nuziali, davanti a quella lapide dove l’epitaffio recita “eroe della lotta alla mafia” e i parenti hanno applaudito.

D’altronde, le cronache sono piena di mafiosi “devoti” a patroni e santi, piene di una religiosità antica e devozionale, ricche di battesimi, cresime e matrimoni celebrati con grande ostentazione di potere e ricchezza. Nessuna autorità avrebbe potuto bloccare le nozze d’argento in chiesa e, l’unica limitazione alla quale i due sposi hanno dovuto soggiacere è stata quella riguardante l’orario della cerimonia perché a Lo Presti è stato negato il permesso serale dal Tribunale per le misure di prevenzione e, anziché a cena, si è festeggiato a pranzo, con due cantanti neomelodici ad allietare gli ospiti, come da copione.

La Chiesa e la mafia

I mafiosi hanno ricominciato a frequentare le chiese incuranti dell’anatema di Papa Wojtyla nella Valle dei templi, che ai boss deve sembrare lontano, nonostante proprio quell’anatema sia stato ribadito più volte a croce alta dai vescovi siciliani, in prima fila l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. Ma sembra che la timeline si sia riavvolta e ci riporti agli anni bui del rapporto tra Chiesa e Mafia, a quel giugno 1963, alla prima strage mafiosa, quella di Ciaculli, dopo la quale il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini negò l’esistenza della mafia, definendola invenzione dei giornali e dei partiti di sinistra. O all’indifferenza della Chiesa che lasciò passare senza alcun commento la morte di Gaetano Costa, Cesare Terranova e Piersanti Mattarella o a quando il cardinale Pappalardo, celebrando i funerali del prefetto Dalla Chiesa, chiese che lo Stato si manifestasse nella “povera Palermo”, abbandonata nelle mani mafiose.

Ma è solo nel ‘93, a un anno dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che Papa Wojtyla condanna i mafiosi durante un discorso tenuto nella Valle dei Templi; ma la risposta della mafia fu rapida perché, dopo solo due mesi, colpì Milano, Firenze e Roma e, nella Capitale, furono proprio due chiese l’obiettivo delle bombe stragiste.

Le reazioni

Come facevo a saperlo? Non posso certo chiedere il certificato antimafia a chi entra qui”, ha detto a caldo padre Sergio Catalano, rettore della chiesa “i controlli spettano ad altre istituzioni”. Il rettore ha detto di aver appreso la vera identità della coppia – il boss Lo Presti e la moglie – solo qualche giorno dopo, avendolo letto online.

Sembra inoltre che la coppia sia stata munifica nell’offerta data alla chiesa per la cerimonia, offrendo 400 euro. A tal proposito padre Catalano ha dichiarato “Non la restituisco, quei soldi sono destinati a fare del bene ai bisognosi”, richiamando, ahimè, il celebre detto “pecunia non olet”, anche quando il denaro proviene da guadagni illeciti o, in alcuni casi, dal sangue versato di vittime innocenti.

Maria Falcone, Presidente della Fondazione Falcone e sorella del magistrato assassinato dalla mafia il 23 maggio del 1992, ha dichiarato: “Per concludere le polemiche sui fatti della cerimonia a San Domenico, per la quale sono molto addolorata, penso che le nozze d’argento del boss Lo Presti con la consorte celebrate davanti alla tomba di mio fratello siano state un’offesa nei confronti sia di mio fratello Giovanni che dell’intera città di Palermo: San Domenico è due volte sacra, per la chiesa e per la comunità perché qui riposano i palermitani più illustri e che sono d’esempio per tutti. I mafiosi sono assassini e spietati criminali e se i boss tentano con l’arroganza e il cattivo gusto di accreditarsi agli occhi della comunità noi risponderemo chiaramente con la cultura e con l’impegno. I religiosi di San Domenico non si sono resi conto dell’errore che stavano per compiere. Tuttavia, credo sempre nella buona fede dei Domenicani, molto colti e attenti al valore della memoria. Questa pagina molto brutta si chiuderà il 23 maggio prossimo con un’affollatissima, bella e sentita funzione religiosa a San Domenico per ricordare le vittime della strage di Capaci e idealmente tutte le vittime di mafia”.

Il boss Lo Presti e le nozze d’argento in chiesa, la nota dei Padri Domenicani

Il 26 aprile è arrivato, finalmente, un comunicato ufficiale dei Padri Domenicani sulla questione. “Lo scorso 10 aprile – si legge nel comunicato – presso la chiesa di San Domenico di Palermo è stata celebrata una messa per il 25° anniversario di matrimonio di Tommaso Lo Presti e Teresa Mannino, entrambi condannati per mafia. La notizia, ampiamente diffusa dai media, ha giustamente destato clamore e sdegno sia per la scomunica che la Chiesa ha comminato ai mafiosi, sia per la presenza in San Domenico delle spoglie del giudice Giovanni Falcone, eroe della lotta alla mafia”.

“Come Rettore della chiesa di San Domenico desidero precisare alcuni aspetti di questa vicenda al fine di fare definitiva chiarezza premettendo di essere – insieme con la comunità dei frati domenicani di Palermo – profondamente scosso e addolorato per l’accaduto. Appare evidente come da parte della nostra comunità non ci sia stata nessuna scelta di acquiescenza verso la realtà della mafia o – peggio – di connivenza con essa: non abbiamo avuto contezza delle persone che si sono presentate per chiedere di celebrare il rito religioso nella nostra chiesa, se avessimo saputo per tempo quale realtà essi rappresentavano, non avremmo mai dato seguito alla loro richiesta. La mafia cerca ogni occasione per infiltrarsi nella società civile e nella Chiesa: da parte nostra vigileremo con rigore e con regole nuove e più stringenti per evitare che simili episodi possano ripetersi in futuro”.

“I Padri Domenicani sono uniti e fermi nella condanna della mafia: proprio dall’iniziativa dei Domenicani di Palermo nel 2015, quando ero priore della nostra comunità conventuale, venne presa la decisione di traslare in San Domenico le spoglie di Giovanni Falcone. Quel gesto voleva essere il riconoscimento simbolico del ruolo del magistrato per il riscatto della Sicilia e, dal punto di vista della Chiesa, dell’altissimo valore evangelico del suo operato e del suo sacrificio. Noi siamo la Chiesa del Beato Pino Puglisi e di papa Francesco e per noi non c’è un’altra Chiesa. (…) Il denaro ricevuto, ammontante a 400 euro, verrà messo a disposizione, così come avviene per tutte le altre offerte che riceviamo, per finalità sociali. Ritengo che questa sia l’unica ‘restituzione’ possibile, in analogia con quanto avviene per i beni sequestrati alla mafia e destinati alla società civile. In tal senso, per dare un’ulteriore forza simbolica a questa ‘restituzione’, coordinandoci con le Autorità, destineremo la somma in questione ad iniziative a sostegno della lotta alla mafia”.

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Tommaso Lo Presti e signora

Tommaso Lo Presti ha 48 anni. È finito in carcere nell’operazione “Iago” del 2014 e considerato al vertice del mandamento palermitano di Porta Nuova. Un provvedimento eseguito dai carabinieri del nucleo investigativo di Palermo cui è seguito il sequestro, ordinato nel luglio del 2017, dalla Sezione di misure di prevenzione. Lo Presti era stato detenuto nel carcere di Voghera, dopo che la Corte d’appello aveva confermato la sua condanna a 12 anni. Secondo le indagini dei carabinieri avrebbe diretto nel mandamento più importante di Palermo le attività estorsive, il traffico di droga, la gestione illegale di giochi e scommesse.

Il suo nome è stato inoltre indicato dalla Procura come presunto mandante dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, il nuovo reggente del mandamento di Zisa-Porta Nuova. L’agguato avvenne il 12 marzo 2014, sotto gli occhi del figlio di 8 anni della vittima, in via Eugenio l’Emiro. Ma, al tempo, il gip Filippo Serio non diede seguito alla richiesta di emissione di un ordine di custodia cautelare nei suoi confronti.

Figura chiave della vita del boss Lo Presti è sempre stata la moglie, quella Teresa Marino che con lui il 15 aprile è entrata nella chiesa di san Domenico per festeggiare le nozze d’argento, madre dei suoi cinque figli e nonna.

Nel corso delle indagini, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che, si legge nella sentenza, “durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”. Teresa Marino è una donna di mafia dal piglio manageriale e dallo sguardo intenso.

Era lei a gestire la cassa della famiglia più influente di Cosa nostra, quella di Porta Nuova, il cuore della città. Le disposizioni generali le forniva il marito ma era Donna Teresa a gestire le finanze e soprattutto la cassa assistenza dell’organizzazione per le famiglie dei detenuti. Il suo potere decisionale, da questo punto di vista, era totale tant’è che, nel momento in cui le risorse cominciavano a scarseggiare, da brava manager di Cosa nostra aveva anche avviato una rigida spending review nella cosca. Così i tagli erano scattati su tutto, ma non sull’assistenza alle mogli dei carcerati. Donna Teresa è inoltre cugina di un altro boss di Porta Nuova, Tommaso Di Giovanni e, prima che anche lui finisse in carcere, assieme discutevano del bilancio di Cosa nostra.

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