Proviene dai frantoi il colore viola che uccide i fiumi. Eppure i sottoprodotti dell'olio sono oro - QdS

Proviene dai frantoi il colore viola che uccide i fiumi. Eppure i sottoprodotti dell’olio sono oro

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Proviene dai frantoi il colore viola che uccide i fiumi. Eppure i sottoprodotti dell’olio sono oro

lunedì 26 Ottobre 2020

L’appello del presidente di MareAmico Lombardo, “l’acqua di vegetazione duecento volte più inquinante di quella fognante, bande di spugna per eliminarla”. L’attenta vigilanza dell’Arpa: Infantino, “fa saltare i depuratori”, Abbate, “fenomeno più esteso in Sicilia occidentale”. Catania (Apo), “l’innovazione tra utilizzo agronomico, pellet e biogas”. Samperi (Afo) e le sanze vergini. Il Frantoio Consoli di Adrano, i mangimi e il miracolo dell’acqua di oliva. Il ruolo della Regione e dell'Università. La Bionap e la nutriceutica. L’olivicoltura Siciliana in cifre

“L’acqua di vegetazione sta uccidendo i fiumi tingendoli di un malsano colore viola”.

La
denuncia dell’associazione ambientalista MareAmico di Agrigento riguarda un
segmento, quello dei frantoi, del sistema di produzione dell’olio d’oliva,
vanto dell’Italia e perno della Dieta mediterranea Patrimonio Unesco ma anche
emblema dell’agricoltura “green”.

“Alcuni imprenditori disonesti – spiega Claudio Lombardo, presidente dell’Associazione ambientalista – sversano nei corsi d’acqua le acque derivanti dalla lavorazione delle olive, che sono duecento volte più inquinanti di quelle fognanti”.

Il fiume Naro tinto di viola dalle acque di vegetazione delle olive, duecento volte più inquinanti di quelle fognanti

Innovative
bande di spugna nei fiumi

“Da anni – aggiunge – monitoriamo i fiumi dell’Agrigentino che, nei mesi di ottobre e novembre, si tingono di viola. Ma in tutta la Sicilia Occidentale l’immissione criminale di queste acque, gravemente inquinanti, nei corsi d’acqua, sottrae loro ossigeno e distrugge l’intero ecosistema. Nei prossimi giorni proveremo a eliminarla con delle bande di spugna di nuova tecnologia”.

Claudio Lombardo, presidente di MareAmico Agrigento

MareAmico invita dunque a far squadra frantoiani onesti, Regione, Città Metropolitane e Liberi consorzi, Comuni e naturalmente Arpa, Asp e Forze dell’Ordine, per evitare che a ogni campagna olivicola i fiumi si tingano di quell’inquietante colore viola.

L’olivicoltura Siciliana in cifre

Quello olivicolo
è un comparto molto importante per l’agricoltura siciliana. Nella passata
stagione sono state prodotte trentaduemila tonnellate di olive e in quella
precedente diciassettemila. La previsione per la campagna 2020/21 è di
ventisettemila tonnellate.

In Sicilia, che è la terza regione
italiana dopo Puglia e Calabria, ci sono ventuno milioni di piante di
cinquantaquattro tipi di cultivar autoctone.

Nell’Isola si producono sei oli Dop (Monte
Etna, Monti Iblei, Val di Mazara, Valdemone, Valle del Belice, Valli trapanesi),
un Dop olive da tavola e un Igp.

Del comparto, che fattura duecento
quaranta milioni di euro all’anno, fanno parte ben 138.750 aziende produttrici
e la superficie della Sicilia coltivata a olive è piuttosto estesa: quasi
centosessantamila ettari (cinquemila dedicati alle olive da tavola), con il
venti per cento di biologico.

I frantoi, in tutta la Sicilia, sono seicento, dei quali soltanto quattrocentoquarantuno in attività nella campagna 2018/19.

L’olio di prima molitura

Inquinamento
concentrato in Sicilia occidentale

Lombardo sottolinea come il fenomeno
dei “fiumi viola” sia concentrato prevalentemente nella Sicilia occidentale,
mentre nell’altra parte dell’Isola l’inquinamento sarebbe decisamente meno
marcato. Il presidente di MareAmico, però, pur puntando il dito contro i
gestori di taluni frantoi che, “senza scrupoli, continuano indisturbati a
inquinare”, spiega che anche nell’Agrigentino ci sono esempi virtuosi.

Ma purtroppo ci sono anche coloro i
quali sversano i sottoprodotti della lavorazione addirittura nelle fogne.

L’Arpa
e le acque di vegetazione

Con il termine acque di vegetazione vengono definite le acque reflue che derivano dalla lavorazione delle olive e sono costituite dai liquidi contenuta nella drupa, dalle acque di lavaggio e da quelle del processo di molitura. Nei frantoi tradizionali si formano tra i quaranta e centoventi litri di acqua di vegetazione per quintale di olive.

Vincenzo Infantino, direttore tecnico regionale di Arpa Sicilia

“Uno dei fenomeni più eclatanti – ci
spiega Vincenzo Infantino, direttore tecnico regionale di Arpa Sicilia –
causato dal fatto che l’acqua di vegetazione venga immessa nella rete fognante
è quello del blocco degli impianti di depurazione dei Comuni. Per dare un’idea
delle dimensioni di quest’impatto, basta dire questi impianti reggono un
ingresso massimo di 900 Cod. L’acronimo significa Chemical Oxigen Demand, ossia
domanda chimica di ossigeno. Nel caso di acqua di vegetazione da frantoi il
livello sale di dieci volte e questo fa letteralmente saltare i depuratori
bloccando la loro funzionalità per quattro-sei giorni. Con le conseguenze, in
termini di disservizi e di costi, che si possono immaginare”.

Fenomeno
più esteso nella Sicilia occidentale

Giovanni Abbate, responsabile dell’Unità
operativa complessa Attività produttive Area Centrale dell’Arpa, conferma come
il fenomeno dell’inquinamento da acque di vegetazione da frantoi sia più esteso
nella parte occidentale dell’Isola, “ma solo per il fatto – spiega – che qui,
soprattutto nel Trapanese ma anche nella zona delle Madonie, c’è una maggiore
estensione di coltivazioni olivicole e il maggior numero di frantoi”.

“Il problema comunque – sottolinea – non è di facile soluzione, ma per fortuna c’è la possibilità di ricorrere all’utilizzo agronomico”.

In pratica l’acqua di vegetazione, dopo un trattamento di sei mesi in vasche aperte all’aria, non solo perde quasi tutto il proprio potere inquinante, ma addirittura diventa uno straordinario fertilizzante naturale.

Giovanni Abbate, responsabile dell’Unità operativa complessa Attività produttive Area Centrale dell’Arpa

“L’impatto – spiega Abbate – dell’acqua
di vegetazione da frantoio su torrenti e fiumi è terribile. Pensate che,
riguardo agli inquinanti, riescono a rigenerarsi con un Cod al massimo di
centosessanta milligrammi per litro, quando quello delle acque di vegetazione è
di ventimila milligrammi per litro. E il nostro costante monitoraggio sui
maggiori corsi d’acqua ci rivela quanto la situazione sia grave”.

L’utilizzo
agronomico delle acque

“Però – aggiunge – quella stessa acqua che subito dopo la molitura causerebbe la morte di flora e fauna nei fiumi, dopo un trattamento semestrale i cui parametri sono fissati da un decreto nazionale e uno regionale sulle acque, lo spandimento sui terreni agricoli non solo non è dannoso, ma riesce ad arricchirli di sostanze come fosforo e tannini. L’utilizzo agronomico delle acque, insomma, gestito correttamente, può dare ottimi risultati. Certo, bisogna avere l’accortezza di effettuare l’operazione nel periodo estivo”.

Un procedimento questo ben conosciuto nella zona orientale dell’Isola, dove Giosuè Catania, presidente della Società Cooperativa Apo (Agricola produttori olivicoli), sottolinea come l’acqua di vegetazione trattata consenta anche “di regolare la reazione acidica del terreno”.

Giosuè Catania, presidente dell’Apo

L’innovazione
nei frantoi della Sicilia orientale

“Le vasche di decantazione – sottolinea Catania – devono avere una precisa volumetria rispetto al quantitativo di acqua di vegetazione. Questa, dopo il trattamento, viene sversata con autobotti autorizzate negli appezzamenti individuati dai frantoiani e autorizzati dai sindaci, in una quantità attorno ai sessanta metri cubi per ettaro. Va detto poi che non tutti i terreni sono adatti: devono infatti avere precise caratteristiche come essere distanti da centri abitati e corsi d’acqua”.

Giosuè Catania, con la sua società, da
anni compie un’opera di educazione ambientale puntando sull’innovazione, con
risultati considerevoli.

Stupido
inquinare, i sottoprodotti sono ricchezza

“Abbandonare in natura – spiega il presidente dell’Apo – i sottoprodotti del ciclo delle olive, non solo è una pratica illegale, ma stupida, perché essi possono rappresentare una ricchezza. E soprattutto, ragionando in termini di filiera, consentire agli imprenditori di perseguire una diversa prospettiva economica. Un frantoio che macini le olive punto e basta lavora per quindi giorni all’anno. Se invece diventa una struttura multifunzionale, oltre che della trasformazione dell’olio, può occuparsi della conservazione del prodotto in silos, della confezione, e soprattutto dello sfruttamento dei sottoprodotti, come la sansa”.

Inculcare
direttive per il rispetto della legge

Della stessa opinione Salvatore
Samperi, presidente dell’Associazione frantoiani oleari (Afo), che conta una
sessantina di iscritti in Sicilia orientale.

“In effetti – afferma – in questa parte dell’Isola siamo decisamente più ligi alle regole. Noi inculchiamo le direttive per il rispetto della legge, ci battiamo per l’ecocompatibilità. Anche perché dai sottoprodotti si possono ricavare piccoli benefici economici. Dalla sansa di olive vergini, per esempio, la pasta che resta dopo la molitura, composta da buccette, residui di polpa e i frammenti di nocciolino, si estrae con solventi un olio alimentare. Le sanze vergini vanno dunque indirizzate ai sanzifici, ossie le imprese estrattrici, che in Sicilia sono sei o sette: a Caltagirone e Vittoria nella parte orientale dell’Isola e nell’Agrigentino e a Termini dall’altra parte. Dopo l’estrazione dell’olio di sanza, resta la cosiddetta sanza esausta, che è un ottimo combustibile, utilizzato per le fornaci in cui vengono cotti i laterizi”.

Dal nocciolino di olive combustibile per le stufe a pellet

Biogas
e combustibile per stufe a pellet

“Nella nostra cooperativa – rivela poi Catania – cerchiamo sempre di essere innovativi. Per esempio nella zona industriale di Enna esiste una società che produce biogas dalle biomasse, compresa l’acqua di vegetazione e la sanza. Poi c’è chi trae dal nocciolino un combustibile per le stufe a pellet. C’è poi stato chi, come i Fratelli Consoli, dei bravi produttori che gestiscono anche un frantoio ad Adrano, sull’Etna, facendo squadra con gli studiosi delle Università di Catania e Messina, hanno messo a punto alcuni progetti davvero brillanti”.

Dalla
sansa appetitosi mangimi

“La sansa – spiega Alfio Consoli, 38 anni, che rappresenta la seconda generazione dell’impresa – contiene proteine, grassi, fibra grezza e molto altro. Grazie alla collaborazione con il prof. Vincenzo Chiofalo, preside della Facoltà di Veterinaria dell’Università di Messina, ne abbiamo tratto un ‘semilavorato di oliva’, come lo chiamiamo, che vendiamo come appetitoso mangime per animali da carne e da latte. Ed è molto richiesto perché gli antiossidanti che contiene danno ottimi risultati sotto il profilo della produttività. Poi produciamo pellet da nocciolino e altro”.

Due generazioni alla guida dell’Azienda olearia dei Fratelli Consoli ad Adrano. Da sinistra Giuseppe, Melissa, Pasquale, Alfio, Roberto e Valentina

Il
miracolo, brevettato, dell’acqua di oliva

Un’altra idea brillante è quella della cosiddetta “acqua di oliva”, elaborata appunto dopo una collaborazione con il prof. Francesco Bonina ordinario nel Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’ateneo di Catania, che ha consentito di mettere a punto una tecnica di estrazione di sostanze attive contenute nell’acqua di vegetazione.

“Dall’acqua di vegetazione – spiega
Consoli – otteniamo un prodotto stabile nel tempo e ricchissimo di
idrossitirosolo, un composto fitochimico con fortissime proprietà antiossidanti,
dieci volte maggiore rispetto al the verde. L’acqua di oliva viene stoccata in
cisterne per la decantazione e commercializzata in taniche da mille litri. Ad
acquistarla sono aziende italiane ed estere che estraggono il principio attivo
destinandolo al settore cosmetico”.

Anche
nel nutriceutico

“Ma anche nutriceutico – aggiunge Bonina, che è anche il cofondatore della Bionap, l’azienda che si occupa dell’acquisto dei sottoprodotti e della loro trasformazione – visto che idrossitirosolo e verbascoside, quest’ultimo anch’esso ottenuto dalla lavorazione delle acque di vegetazione, possono essere utilizzati nella produzione di integratori alimentari utili per aumentare le difese dell’organismo, e di prodotti cosmetici antinvecchiamento. Sui principi attivi sono stati effettuati studi di valutazione clinica che dimostrano i loro effetti benefici”.

Il prof. Francesco Bonina e l’acqua di olive, dai benefici effetti

Bonina ricorda come a queste tecniche si sia giunti dopo un bando della Regione siciliana concesso a un gruppo di aziende impegnate nella valorizzazione dei sottoprodotti nel settore agroalimentare protrattosi dal 2007 al 2013 anticipando quell’esigenza di sostenibilità ambientale oggi diventata una necessità per uno sviluppo sano del territorio.

“Rinnovare questo impegno per la
ricerca – conclude – sarebbe molto utile”.

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