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P come Pesantezza

redazione

P come Pesantezza

Fabio Gabrielli  |
giovedì 20 Luglio 2023

Una delle forme perverse di pesantezza è l’accidia

Le parole “peso”, “pesante”, “pesantezza” rinviano al latino pendere, con il significato di “essere sospeso”, “penzolare”, ma anche “dipendere”, quindi essere “incerto, indeciso”. Noi pesiamo in quanto dipendiamo da altri, viviamo in un regime d’essere sempre indeciso, incerto, traballante; i nostri movimenti non sono sciolti, non hanno un’agilità spontanea, un librarsi nell’aria senza resistenze. Insomma, rimbalziamo sempre a terra, in quella fragilità dell’humus cui, per la nostra stessa natura, apparteniamo. In quanto esseri pesanti, dipendiamo da qualcuno o qualcosa che ci sostenga, ci intercetti prima del nostro precipitare.

Ci sono diverse forme di pesantezza, molte delle quali dipendono da noi stessi, che ci interpellano, se vogliamo costituirci come soggetti fieri delle nostre qualità, affinché facciamo opera di indipendenza, di superamento, per quanto sempre esposti all’umana incompiutezza, degli ostacoli del mondo. Una delle forme perverse di pesantezza è l’accidia, parola poco attuale (dal greco akedía, “noncuranza, indifferenza”, con diffusione nel latino medievale). Essa si configura come incapacità di tenere desta la concentrazione, di completare il tragitto che porta dall’idea alla sua realizzazione, poiché per indolenza, per tendenza alla distrazione, per fiacchezza congenita si tende a interrompersi, voltarsi in altre direzioni, crogiolarsi nel torpore.

L’accidia è una profonda debolezza dell’anima, uno dei sette peccati capitali, che più che al non fare niente, rinvia al disinteresse per la vita, a uno strutturale conformismo di pensiero e di azione, a un modo d’essere e di vivere apatico, che prende distanza dai flussi vitali, poiché tutto è ritenuto superfluo, vano, dispersivo. L’accidia incarna la stanchezza del vivere, l’indifferenza verso ogni forma di esistenza, così come si evince da questo breve estratto del Secretum di Francesco Petrarca:
Agostino: […] Dimmi dunque: quale cosa ritieni per te precipuamente molesta?
Francesco: Tutto quanto primamente vedo, odo e intendo.
Agostino: Perbacco, non ti piace nulla di nulla.
Francesco: O nulla o proprio poche cose.

Il paesaggio dell’accidia è multiforme, indifferenza, malinconia, lutto, irrequietezza, struggimento interiore, fino alla depressione vera e propria, come multiformi sono le sue gradazioni, le sue tonalità affettive.

Chi coltiva una vocazione, è consapevole che la sua concentrazione, la barra dritta sul suo progetto di vita, la fedeltà al suo talento, non sono qualità eteree, separate dalla sporcizia del mondo. Proprio in virtù di questa lucidità, egli, con abilità sartoriale, cerca di discernere la distrazione creatrice dalla noncuranza, dalla negligenza.

In altri termini, si è ben radicato nella pesantezza naturale della vita, è consapevole che non c’è nulla di assolutamente, continuativamente puro in essa, quindi si attrezza per non fare della sua vocazione un’ossessione progettuale che rischierebbe di implodere nella disillusione depressiva, ma neppure un momento come gli altri da cui distrarsi con regolare, infecondo disincanto.

di Fabio Gabrielli
Filosofo

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