Perché la differenziata “da sola” non risolve il problema dei rifiuti - QdS

Perché la differenziata “da sola” non risolve il problema dei rifiuti

Perché la differenziata “da sola” non risolve il problema dei rifiuti

Chicco Testa  |
venerdì 03 Novembre 2023

Non tutta la differenziata diventa riciclo effettivo: circa il 20 per cento non può essere recuperato

Qualcuno pensa che l’economia circolare sia fatta solo da tanta raccolta differenziata. Basta farne una percentuale molto alta e il problema rifiuti è risolto magicamente. Non è così, vediamo perché.

Primo: non tutta la raccolta differenziata diventa riciclo effettivo

Una parte (circa il 20 %) di ciò che i cittadini buttano nei contenitori della differenziata (o nel porta a porta) non può essere riciclato. Si chiamano scarti e dentro ci sono materiali conferiti impropriamente dagli utenti, oppure residui del processo di selezione e cernita, oppure materiali troppo fini. In Italia nel 2021 si sono raccolte in forma differenziata 18,9 milioni di tonnellate di rifiuti (64% del totale dei rifiuti urbani), ma gli scarti sono stati circa 3,5 milioni di tonnellate, come dichiara il Politecnico di Milano in una sua ricerca. Che fine fanno questi scarti? Per circa 1 milione di tonnellate sono avviati a recupero energetico, ma per oltre 2,5 milioni di tonnellate vanno in discarica, pur avendo nel 90% dei casi (lo dice sempre il Politecnico di Milano) elevato potere calorifico. Vanno in discarica perché non ci sono impianti di termovalorizzazione in Italia sufficienti ad accogliere questo flusso. Ecco quindi il primo problema: buttiamo 2,5 milioni di tonnellate di scarti in discarica, non cogliendo l’occasione per un loro utile utilizzo energetico. Mancano impianti di incenerimento almeno per 2,5 milioni di tonnellate. Un flusso destinato ad aumentare da qui al 2035, quando raggiungeremo il 65% di riciclo e il 75/77% di raccolta differenziata. Il deficit di impianti di incenerimento a quella data sarà quindi di 3 milioni di tonnellate.

Secondo: non tutti i rifiuti vengono raccolti in forma differenziata,

Una parte finisce nell’indifferenziato perché non riciclabile. Grazie agli impianti di trattamento meccanico biologico e agli inceneritori esistenti questo flusso viene recuperato in parte come fonte di energia. Ma circa 3 milioni di tonnellate (0,5 come rifiuti tal quali e 2,5 come output degli impianti di selezione) vanno a discarica anche se potrebbero andare a recupero energetico, in quanto caratterizzati da potere calorifico elevato. Anche in questo caso non si va ad incenerimento per mancanza di impianti in Italia (per questo esportiamo all’estero 400mila tonnellate di rifiuti in uscita dai TMB). Al 2035 questo flusso si ridurrà un po’ ma sarà sempre intorno ai 2/2,5 milioni di tonnellate. A quella data il deficit impiantistico per il recupero energetico sarà pari a questa cifra, dovremo quindi costruire impianti Waste to energy per oltre 2 milioni di tonnellate, evitando di chiudere quelli esistenti (come si sta discutendo a Livorno). Buone notizie arrivano da Roma (nuovo impianto per 600mila tonnellate) ed in parte dalla Sicilia, dove si ipotizzano due nuovi impianti, ma ne serviranno altri, specie nel centro sud.

Portiamo in discarica o esportiamo oltre 5 milioni di tonnellate

In sintesi portiamo in discarica o esportiamo oltre 5 milioni di tonnellate che potremmo tenere in Italia e usare per produrre energia, uno spreco ingiustificato. L’Italia è abituata a reggere l’impatto degli scarti del riciclo e dei rifiuti non riciclabili con le discariche e l’export, per un valore di circa il 25% del totale. Una via di fuga che non sarà più consentita, la direttiva europea prevede un massimo di conferimento in discarica del 10% al 2035. E anche l’export sarà sempre più costoso. Servono impianti di recupero di energia nuovi, capaci di assorbire circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti non riciclabili, ne abbiamo per 5,5 milioni, ne servono di nuovi per 2,5 milioni di tonnellate. Così facendo aggiungeremmo 2 milioni di MWh elettrici all’attuale sistema di produzione di energia da rifiuti, pari a 4,5 Mwh elettrici. Un contributo seppur parziale alla decarbonizzazione e comunque alla riduzione del conferimento in discarica.

Le infrastrutture nazionali di “back up” per la gestione degli scarti del riciclo e dei rifiuti indifferenziati non riciclabili rappresentano una rete indispensabile per la strategia di economia circolare, esattamente il contrario di quanto affermano coloro che pensano che con le raccolte differenziate ed il riciclo tutti i rifiuti evaporino e non ci sia più bisogno di impianti. Un corretto funzionamento degli impianti di back up è condizione fondamentale per un ordinato funzionamento dei mercati del riciclo, che altrimenti rischia di saltare. Servono nei momenti di mercato delle materie prime seconde stabile per gestire gli scarti, ma servono nei momenti di oscillazione dei prezzi e della domanda di materiali riciclabili, per gestire le fasi di crisi, fenomeno che abbiamo più volte sperimentato in questi ultimi anni.

Chicco Testa
Presidente AssoAmbiente

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