Potere d’acquisto, persi 4.415 euro a nucleo familiare - QdS

Potere d’acquisto, persi 4.415 euro a nucleo familiare

Michele Giuliano

Potere d’acquisto, persi 4.415 euro a nucleo familiare

sabato 27 Gennaio 2024

Depositi bancari, la stima per la Sicilia nel biennio 2022-2023 dell’Ufficio studi Cgia su dati Istat e Bankitalia. “Spesa e bollette, l’inflazione si è abbattuta sui conti correnti degli italiani con la forza di una patrimoniale”

PALERMO – L’inflazione galoppante degli ultimi due anni ha causato non pochi problemi alla gestione finanziaria delle famiglie siciliane. Se, da una parte, moltissimi nuclei familiari hanno avuto e continuano ad avere serie difficoltà ad arrivare a fine mese, anche solo per fare la spesa e pagare le bollette, anche quelle che hanno in qualche modo cercato di risparmiare qualcosa hanno subito non poche perdite.

Le famiglie siciliane hanno perso potere d’acquisto

Secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia e dall’Istat e poi elaborati dall’Ufficio studi Cgia, si stima che le famiglie siciliane abbiano perso, in termini di potere d’acquisto, tra il 2022 e il 2023, 4.415 euro a nucleo familiare, con una inflazione che in due anni ha subito una variazione verso l’alto del 16,1%. Nello specifico, è stata calcolata la perdita del potere d’acquisto dei depositi delle famiglie sulla base della variazione dell’indice generale dei prezzi per l’intera collettività, il cosiddetto Nic. Il valore registrato nell’Isola è il secondo in Italia, che vede la media nazionale fermarsi al 14,2%. Peggio della Sicilia, solo la Liguria, che vede un aumento del Nic del 16,4%, e una perdita in termini monetari di 7.107 euro. Se si allarga lo sguardo, al 31 dicembre 2021 i depositi delle famiglie siciliane avevano una consistenza di 56 milioni 700 mila euro, ed è stato stimato che è stato perso, in appena 24 mesi, un potere d’acquisto di oltre 9 milioni di euro.

Per macroarea territoriale, è proprio il Mezzogiorno a segnalare i risultati peggiori in termini percentuali, con una inflazione in aumento del 15,1%, mentre rivela una minore perdita in termini di potere d’acquisto, che si ferma ai 5 mila euro in famiglia, che salgono a oltre 6 mila nel Centro, e a oltre 7 mila nel Nord Est e nel Nord Ovest. Al contrario, se si restringe lo sguardo alla situazione provinciale, è Messina a registrare il picco regionale, con una stima di perdita d’acquisto di 4955 euro per singola famiglia; a seguire, Agrigento, Palermo, Catania, e Enna, che si trovano tutte al di sopra della media regionale. Si scende a Catania, che si ferma a 4.431 euro per nucleo familiare, quindi Ragusa, Caltanissetta, Catania, Siracusa e Trapani, che segnala il valore minimo di 3.305 euro per famiglia. Trapani si trova in fondo alla classifica nazionale; meglio fa soltanto Crotone, che si ferma a 3.302 euro.

“Negli ultimi due anni – scrivono dalla Cgia – l’inflazione si è abbattuta sui conti correnti degli italiani con la forza di una patrimoniale. Al netto dei nuclei che hanno trasferito una parte dei propri risparmi nell’acquisto di titoli di Stato, la stragrande maggioranza ha subito gli effetti negativi della perdita di potere d’acquisto indotta dal fortissimo aumento dei prezzi registrato nel 2022 e nel 2023”.
L’introduzione di nuovi balzelli, come proposto nelle ultime settimane, secondo la Cgia, non andrebbe in alcun modo a migliorare la situazione della fiscalità italiana.

La pressione fiscale in Italia ha ormai superato la soglia del 43%

“Dall’analisi dell’andamento della finanza pubblica tra il 2010 e il 2019 – scrivono ancora dall’associazione artigiani e piccole imprese – possiamo notare con buona approssimazione che le entrate fiscali sono cresciute al pari della spesa pubblica totale. Insomma, per non far saltare la tenuta dei conti pubblici, le prime hanno inseguito la seconda, con il risultato che la pressione fiscale in Italia ha ormai superato la soglia del 43%. È chiaro che fino a quando non ridurremo la spesa, sarà difficile ipotizzare sia una diminuzione strutturale delle imposte sia una contrazione del debito pubblico. Certo per abbassare il rapporto debito/Pil potremmo aumentare ulteriormente le entrate, ma questo comporterebbe un ulteriore aumento del carico fiscale: cosa che, obbiettivamente, nessuno ne sente il bisogno”.

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