Prescrizione della pretesa fiscale, competenze del giudice - QdS

Prescrizione della pretesa fiscale, competenze del giudice

Salvatore Forastieri

Prescrizione della pretesa fiscale, competenze del giudice

venerdì 18 Marzo 2022

La Cassazione, con ordinanza 1394/’22, ha provato a dirimere il conflitto di giurisdizione. Fino alla notifica della cartella interviene il primo. Nella fase successiva, invece, il secondo

ROMA – La Cassazione, con l’ordinanza n. 1394 del 18 gennaio 2022, è intervenuta per dirimere il conflitto di giurisdizione tra il Giudice Tributario, il Giudice Ordinario e quello Amministrativo in caso di prescrizione eccepita dal contribuente in relazione ad una pretesa fiscale avanzata dall’Agente della Riscossione.
Secondo i Supremi Giudici, che comunque escludono il Tar, è devoluta alla competenza del Giudice Tributario la composizione delle controversie in presenza di fatti che si sono verificati fino alla notifica della cartella di pagamento ovvero fino al pignoramento in caso di notifica omessa o invalidamente notificata.
La cognizione della controversia è devoluta, invece, alla competenza del Giudice Ordinario, tutte le volte in cui l’eccepita prescrizione è inerente a fatti e circostanze successivi alla notifica della cartella o, comunque, verificatisi dopo che l’esecuzione tributaria è stata avviata.
Questa è la più recente interpretazione della Cassazione.

Volendo disquisire, ora, sulle modalità con cui eccepire la prescrizione, non si può non ammettere che, al riguardo, esistono alcune perplessità interpretative.

Si ricorda, intanto, che ai sensi dell’articolo 2934 del C.C. “ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”.
Si ricorda pure che la prescrizione, ai sensi dell’articolo 2946, è ordinariamente di dieci anni, salvo altri casi, espressamente previsti dalla legge, che prevedono termini inferiori (cinque o tre anni).
La “decadenza”, invece, anch’essa legata al trascorrere del tempo, è un istituto che non trova una definizione esplicita nel codice civile. In virtù di quanto previsto dall’articolo 2966 del medesimo CC, si può affermare, comunque, che la decadenza, ossia l’impossibilità di far valere il proprio credito, si verifica quando il creditore non fa valere il suo diritto compiendo l’atto espressamente previsto dalla legge o dal contratto entro un determinato periodo di tempo.
È fondamentale ricordare, a questo punto, che, ai sensi dell’articolo 2938 dello stesso codice, “Il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non eccepita”.
Da quest’ultima disposizione si ricava che la prescrizione, come causa estintiva del debito, deve necessariamente essere eccepita dal debitore. In mancanza, non può nemmeno essere dichiarata dal Giudice.

Nei rapporti tra soggetti diversi dalla Pubblica Amministrazione, ed in mancanza di contestazioni di altra natura, affinché il creditore ritenga estinto, ex lege, il suo credito non tempestivamente chiesto in pagamento, è sufficiente una semplice “raccomandata con ricevuta di ritorno”.
Il dubbio, nasce, però, in caso di rapporti con la Pubblica Amministrazione. Il caso classico è quello in cui l’Agente della Riscossione non notifica tempestivamente la cartella di pagamento per interrompere i termini di prescrizione.

In questo caso, infatti, alcuni sostengono che, fermo restando l’onere di eccepire la prescrizione da parte del debitore (cosa che rende sempre legittima la notifica di una cartella di pagamento anche dopo dieci anni dall’iscrizione a ruolo), non è sufficiente che l’eccezione di avvenuta prescrizione sia fatta attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, dovendo avvenire esclusivamente attraverso l’intervento del Giudice. In pratica, secondo questa tesi, per far valere la prescrizione è indispensabile “fare ricorso”, eccependo in quella sede il venir meno del debito erariale.

Al riguardo, tuttavia, non si può non osservare che il codice civile non prevede assolutamente una modalità specifica per eccepire la prescrizione del proprio debito. Né nei rapporti tra privati né in quelli con la Pubblica Amministrazione. La Legge, infatti, non richiede particolari formule sacramentali. Occorre solo che la volontà di eccepire la prescrizione risulti da espressioni di significato inequivocabile e chiaro, magari con una lettera di messa in mora oppure con una diffida.

Si potrebbe giungere pertanto alla conclusione che, anche per eccepire la prescrizione di un debito nei confronti dell’Erario, in quanto l’atto di riscossione non è stato notificato tempestivamente, non è necessario adire un giudice (in questo caso quello tributario).

D’altronde, non si comprende quale possa essere il motivo per cui, il creditore inadempiente, pur riconoscendo l’avvenuta ed indiscutibile prescrizione per cause a lui imputabili, debba far sì che si instauri una controversia la quale, se effettivamente basata su una avvenuta prescrizione riconosciuta dallo stesso Ente creditore, non farebbe altro che allungare i tempi della questione e fare spendere all’Erario maggiori somme rispetto a quelle che, per causa del creditore, non potrà più incassare.
È vero che l’articolo 167 c.p.c. prevede tra l’altro che “Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità …. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”.
Ma questo non vuol dire necessariamente che il debitore (in questo caso lo Stato) a seguito dell’eccezione del debitore, se effettivamente ammette l’intervenuta prescrizione, non possa annullare, magari in autotutela, il suo credito, evitando il verificarsi di altri fatti che potrebbero aumentare il danno erariale.

Viste le perplessità esistenti, non sarebbe male un chiarimento ufficiale da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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