Il profitto non è l'obiettivo primario - QdS

Il profitto non è l’obiettivo primario

Marco Vitale

Il profitto non è l’obiettivo primario

mercoledì 17 Novembre 2021

Il profitto rimane una misura indispensabile e un vincolo inderogabile, ma non è l’obiettivo primario dell’impresa

Un’altra grande lezione che non vuole entrare nella testa di molti che continuano a predicare che l’unico ed esclusivo obiettivo dell’impresa sia di fare il massimo profitto e creare valore per gli azionisti, a prescindere.

Si tratta di una teoria talebana che ha dominato negli ultimi trent’anni e che ora sta franando ridando spazio ad una concezione antica ed umanistica del lavoro umano, dell’impresa e dell’economia.

La lezione l’ho sintetizzata in uno schema che mostra che nell’impresa si verificano tre processi di accumulazione e che l’accumulazione del capitale è positivo solo quando è fatto e concatenato con gli altri due processi di accumulazione.

E quando i tre processi si realizzano con un continuo scambio reciproco di esperienze con la comunità e il mondo esterno.
In questa concezione il profitto rimane una misura indispensabile e un vincolo inderogabile, ma non è l’obiettivo primario dell’impresa.

L’obiettivo primario dell’impresa è lo sviluppo, realizzato anche attraverso il profitto. Senza profitto non c’è sviluppo né in un’economia capitalista, né in un’economia collettivizzata. Ma il profitto non è sufficiente per lo sviluppo.

Perché c’è il profitto senza sviluppo, c’è il profitto senza qualità, c’è il profitto monopolistico, c’è il profitto senza progresso dell’accumulazione tecnologica e della conoscenza organizzativa, c’è il profitto che deriva solo da connivenze di chi gestisce le casse pubbliche, c’è il profitto che devasta la terra, c’è il profitto che degrada le città, c’è il profitto che è solo apparente perché parte dei suoi costi di produzione si scaricano in bilanci diversi da quelli dell’impresa, c’è il profitto che miete solo e ha smesso di seminare; c’è il profitto sterile che non svolge più la sua funzione fecondatrice; c’è il profitto che, in realtà, è ormai solo consumo di quanto altri hanno accumulato nell’impresa; perché ci sono i profitti di guerra; perché ci sono i profitti di regime; perché c’è il profitto che deriva da spericolate speculazioni finanziarie; perché c’è il profitto tesaurizzato e non distribuito con equilibrio tra i fattori della produzione.

Se il profitto è sterile o fertile, non lo può stabilire solo la proprietà o il management. Questi ha e deve avere la responsabilità di elaborare il progetto e di condurlo in porto.

Ma la sua azione è sottoposta a rendiconto non solo davanti agli azionisti, ma davanti al lavoro, ai risparmiatori, alla cultura, all’opinione pubblica.

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