La reazione violenta a un' aggressione non è legittima difesa - QdS

La reazione violenta a un’ aggressione non è legittima difesa

Antonino Lo Re

La reazione violenta a un’ aggressione non è legittima difesa

mercoledì 15 Maggio 2019

A pronunciarsi è stata la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 17787 del 2019. Al centro della vicenda un uomo che ha colpito il rivale perché animato da proposito di vendetta

ROMA – Reagire con violenza all’aggressione subita non può configurarsi come legittima difesa. Per poter essere considerata tale, la reazione non deve essere di un’identica intenzione violenta.

A definire ciò è la Cassazione con la sentenza 17787 della quinta sezione penale. Un giudizio che arriva a pochi giorni dalla promulgazione della nuova legge sulla legittima difesa portata avanti dalla Lega. Provvedimento che ha apportato modifiche in materia di legittima difesa domiciliare e di eccesso colposo e su alcuni reati contro il patrimonio (furto in abitazione e rapina) e sul delitto di violazione di domicilio.

La pronuncia della Suprema Corte prende spunto da una vicenda che ha visto “protagonisti” un cittadino italiano e un cittadino extracomunitario. Quest’ultimo era stato condannato per percosse, il primo era chiamato a pagare una multa per lesioni personali. Da qui il ricorso in Cassazione nel quale il cittadino italiano si duole della mancata applicazione della scriminante della legittima difesa e dove contesta che lui era stato aggredito dall’altro, dando così inizio alla colluttazione. Secondo la difesa la condotta andava sanzionata come semplice reazione ad un’aggressione.

Versione che la Suprema Corte non ha considerato fondata. Non a caso il ricorso del cittadino italiano è stato respinto. La Cassazione mettendo in evidenza la ricostruzione dei fatti del giudice di pace afferma “che la zuffa è stata iniziata dal cittadino extracomunitario, ma si evidenzia pure che il cittadino italiano dopo essere stato aggredito e caduto a terra, allo scopo di vendicarsi abbia a sua volta attaccato ripetutamente e con grande aggressività il rivale, riuscendo a colpirlo e cagionandogli lesioni personali”.
Nella sentenza, i giudici della Corte di Cassazione spiegano perché è stata negata l’esimente della legittima difesa: “La configurabilità dell’esimente della legittima difesa deve escludersi nell’ipotesi in cui lo scontro tra due soggetti possa essere inserito in quadro complessivo di sfida giacché, in tal caso, ciascuno dei partecipanti risulta animato da volontà aggressiva nei confronti dell’altro e quindi indipendentemente dal fatto che le intenzioni siano dichiarate o siano implicite al comportamento tenuto dai contendenti, nessuno di loro può invocare la necessità di difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non può avere il carattere dell’inevitabilità”.

La Suprema Corte spiega nel suo giudizio che il cittadino italiano ha colpito il “rivale” non perché costretto dalla necessità di difendersi, ma perché animato dal proposito di vendetta. Egli ha reagito all’aggressione non per evitare di essere picchiato, ma allo scopo di aggredirlo a sua volta e in tal modo punirlo per l’attacco ricevuto. In presenza di questo scenario, la Cassazione ha escluso il sussistersi dei presupposti di cui all’art. 52 del codice penale (“non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”) e conseguentemente non opera la discriminante invocata dal ricorrente.

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