Report sulle economie mediterranee: la soluzione anticrisi? Puntare sul Sud - QdS

Report sulle economie mediterranee: la soluzione anticrisi? Puntare sul Sud

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Report sulle economie mediterranee: la soluzione anticrisi? Puntare sul Sud

Antonio Schembri  |
domenica 29 Maggio 2022

In occasione della 58esima riunione scientifica della società italiana di demografia, l'intervista a Salvatore Capasso, direttore dell’ISMed

Quasi il 9% del Pil polverizzato. Ovvero 20 anni di risicata crescita economica per l’Italia, cancellati come da un colpo di spugna. È stato questo l’effetto della pandemia da Covid 19, che, nell’arco di neanche un anno, ha riposizionato le lancette dell’orologio al 2000. Una débâcle che per la Sicilia si è attestata su valori appena inferiori, tra il -7,5% e il -8%. Gap che la ripresa economica del post pandemia partita lo scorso anno non consente ancora di recuperare.

Pur nella speranza di una sempre maggiore diminuzione dei contagi, lo scenario è diventato più oscuro con l’irruzione degli effetti di una guerra all’interno dei confini europei che doveva essere fulminea e che invece, nell’attesa di svolte diplomatiche urgenti, continua a macinare morte, devastazioni e costi socio-economici legati principalmente alla chiusura dei rubinetti energetici da parte del governo russo. Danni di cui sarà possibile conoscere la reale entità solo ex post.

In tutto il mondo la maggior parte dei governi ha iniziato a elaborare politiche per fronteggiare le enormi sfide poste da una geopolitica che va cambiando rapidamente a causa delle crescenti tensioni tra grandi potenze; e che annuncia l’acuirsi della competizione tra democrazia e autoritarismo.

La situazione si è intanto aggravato con il prepotente ritorno dell’inflazione: problema che da lungo tempo, nella fase di globalizzazione di questi ultimi decenni, non si manifestava quasi più, al punto da essere ignorato; e che adesso, con le ultime accelerazioni, si pone come tutt’altro che transitorio e, dato che con l’alto debito i tassi d’interesse aumenteranno, come uno dei fattori causali di un potenziale “rischio Paese”.

Una situazione che impone rapidi cambi di prospettiva da parte dell’Unione Europea. In particolare verso il Sud del continente, bagnato dal Mediterraneo. È questo il contesto dal quale dovranno arrivare risposte alle urgenze di un cambiamento politico. E nel quale il Mezzogiorno italiano e la Sicilia in particolare, sono determinanti.

È uno degli aspetti analizzati dall’ultimo Report sulle economie dei paesi del Mediterraneo, ricerca con cadenza annuale condotta dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo (ISMed) del Cnr e pubblicata dalle edizioni Il Mulino. Lo studio è stato presentato nei giorni scorsi in occasione della 58esima riunione scientifica della Società italiana di demografia, economia e statistica(Sieds), organizzata dal dipartimento di Giurisprudenza della Lumsa di Palermo e articolatasi in tre giorni di convegni.

Salvatore Capasso, direttore IsMed

“Si tratta di una raccolta di saggi e approfondimenti scientifici argomenti specifici di uno scenario , che non si limita a snocciolare dati ma prova a interpretarli – spiega Salvatore Capasso, direttore dell’ISMed. Abbiamo preso in considerazione la crisi strutturale causata dalla pandemia che sta tirando il freno all’economia italiana e di tanti altri paesi del Mediterraneo, facendola viaggiare su tassi di crescita bassi”. Quelli italiani sono troppo bassi, ormai da troppo tempo.

“La ragione – continua l’economista – non risiede solo su un problema di mezzi, cioè le infrastrutture che mancano e che si tarda a realizzare. Ma anche nel deficit di mentalità imprenditoriale e, più in particolare nella cultura digitale, che è la vera sfida delle imprese attive in settori che devono ancora esprimere molto del loro potenziale e che vengono bloccati dalle attuali contingenze: le biotecnologie, per esempio, passando per l’automotive e in pratica tutti i vari settori dell’industria elettronica”.

La crisi internazionale dei chip

Il riferimento è all’attuale carenza internazionale dei chip, i semiconduttori che ormai determinano il funzionamento di ogni apparecchiatura, dagli elettrodomestici alle centraline elettroniche che muovono ormai ogni genere di mezzi di trasporto. Inclusi quelli militari e in particolare quelli tristemente alla ribalta in queste settimane nel teatro della guerra in Ucraina, riguardo alle cui riparazioni e manutenzioni, come ha recentemente riportato il Washington Post, il governo russo starebbe ricorrendo anche all’utilizzo dei chip utilizzati per frigoriferi e lavastoviglie per adattarli all’interno di delicati mezzi bellici. È quanto sarebbe emerso dalle informazioni fornite dagli ucraini al ministero del commercio dell’amministrazione Biden, a seguito dell’esame fatto dalle forze di Kiev sui mezzi abbattuti o sequestrati ai nemici. Una conseguenza diretta, questa, delle sanzioniapplicate dall’occidente contro Mosca.

“Il problema è l’approvvigionamento delle materie prime per costruire microchip e batterie, ovvero metalli come cadmio litio e nickel che provengono dalle miniere di diversi paesi africani ma anche russe e ucraine; e i cui stock, al momento, non sono più sufficienti”, spiega Capasso.

“Un complicato divenire a cui ha concorso la stessa ripresa del dopo- pandemia”

“La crisi causata dal Covid adesso si esprime anche nell’improvviso incremento della domanda e nel fatto che questa abbia fatto aumentare rapidamente i prezzi. Il riequilibrio dell’economia passa quindi da una distribuzione della domanda. Il vero problema però è la transizione energetica. E questa- sottolinea l’economista – non si può ottenere in tempi così rapidi: impossibile liberarsi dal petrolio da un giorno all’altro”.

Il caro materiali in Sicilia

Secondo il rapporto, in Sicilia come in altre regioni del Sud Italia, le ripercussioni più evidenti dell’attuale situazione causata dagli effetti di una pandemia non ancora debellata e gli esiti incerti della guerra in corso si sono tradotti in aumenti dei prezzi specialmente nel comparto agroalimentare. Ma del caro-materiali e della carenza di approvvigionamenti risentono pesantemente anche i settori manifatturiero ed edilizio. Conseguenze minori hanno invece subito le esportazioni di beni e servizi che esulano dal settore petrolifero e che in Sicilia incidono solo per lo 0,2% sul fronte dei mercati russo, bielorusso e ucraino.

“Il combinato tra inflazione e tensioni sul settore energetico, espone la Sicilia più di altre regioni italiane al rischio di danni economici – aggiunge Capasso – Se si arrivasse a un embargo totale sul petrolio russo, la prima raffineria a risentirne sarebbe proprio quella dell’Isab a Priolo, la più grande d’Italia, controllata dalla russa Lukoil, la pria compagnia petrolifera russa. Sotto regime di sanzioni avrebbe seri problemi di approvvigionamento e già in queste settimane sta subendo le prime difficoltà con fornitori e banche pur non avendo un coinvolgimento diretto nel conflitto”.

L’impatto sull’indotto dell’intera provincia di Siracusa sarebbe insomma molto negativo.

Tornando alle conseguenze del Covid e del dopo pandemia nel bacino mediterraneo, non tutti i paesi l’hanno vista tradursi in crisi economica. Ce ne sono stati anzi alcuni che hanno fatto registrare una crescita, anche durante il periodo nero del 2020. Egitto e Turchia, per esempio. Mentre con la pandemia la Spagna ha perso 11 punti di Pil nel solo 2020 e la Francia, la Grecia e il Portogallo hanno subito la stessa percentuale di perdita del nostro paese.

“Gli effetti della pandemia sono stati maggiori sulle economie fragili – riprende Capasso. Si pensi alla Libia, il cui Pil è crollato del 60% e all’economia del Libano, andata giù del 25%, mentre la Tunisia ha subito lo stesso calo del Pil italiano”. Il Rapporto evidenzia inoltre che in paesi come la Serbia, Israele, la Giordania e l’Albania le perdite legate all’impatto del Covid sono state piuttosto blande. Ciò dipenderebbe dall’effettiva diffusione del virus e dal modo di affrontare l’emergenza pandemica. Israele, per esempio, è stata tra le prime nazioni a avviare una vaccinazione di massa, mentre, il Covid avrebbe inciso poco in Egitto in termini di malati e di ricoveri.

Pressione demografica

Tra le altre direttrici da tenere in conto secondo il Rapporto c’è la crescente pressione demografica dei Paesi della sponda Sud: “questa può rappresentare un’opportunità per una realtà come quella italiana, in cui la popolazione invecchia e i tassi di natalità sono molto bassi” – riprende Capasso. A questa si aggiungono la necessità di politiche pubbliche per ridurre le divergenze tra i Paesi e le diseguaglianze interne e l’urgenza di portare a termine i progetti finanziati con il Pnrr.

L’importanza del Mediterraneo oggi, più di ieri

“Il Mediterraneo è diventato più importante di prima e il Sud è la porta di ingresso logistica dell’Europa – osserva Capasso. Mentre Cina, Russia e Turchia lo hanno capito da tempo e si sono attrezzate, l’Europa e il nostro governo stanno a guardare. Proprio l’attuazione del Pnrr richiede moltissimo capitale umano, a cominciare dagli ingegneri, la cui formazione richiede però tempi lunghi, nell’ordine di almeno 20 anni. Per questo sarà inevitabile importare ‘cervelli’ ”.

Un’urgenza legata in particolare alla denatalità. E in questo caso il paragone offerto dai freddi numeri è il più eloquente: in Siria la popolazione over 65 non supera il 3%, mentre in Italia tocca il 25%; quella under 14, al contrario, in paesi come Siria e Libia è al 25%, in Italia è ferma al 3%. Pochi, pochissimi giovani insomma.

Se le politiche economiche e sociali hanno tempi brevi di realizzazione, quelle demografiche richiedono decenni. Per questo, come viene sottolineato nel rapporto dell’ISMed occorre cominciare subito a preparare il Sud ai prossimi 30-40 anni. Nel frattempo, va valorizzato e distribuito il potenziale dei flussi migratori.

Antonio Schembri

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