Livelli essenziali di assistenza, in Sicilia interviene la Consulta - QdS

Livelli essenziali di assistenza, in Sicilia interviene la Consulta

Andrea Carlino

Livelli essenziali di assistenza, in Sicilia interviene la Consulta

giovedì 23 Aprile 2020

Sentenza n. 62/20: “No a utilizzo dei fondi Ue diverso da quello previsto”. “Bocciata” parte della finanziaria della Regione siciliana (legge n. 8 del 2018)

ROMA – Sulla sanità tra Stato e Regioni deve esserci collaborazione e bisogna assicurare, entro i termini previsti, l’effettiva utilizzazione dei finanziamenti europei. Importante sentenza della Corte Costituzionale che, all’interno dell’attuale scenario storico (con l’emergenza coronavirus in atto) assume un significato molto particolare. I giudici costituzionali, con la sentenza del 15 gennaio n.62 depositata lo scorso 10 aprile, affermano che “la determinazione dei livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria (LEA) è un obbligo del legislatore statale ma la sua proiezione in termini di fabbisogno regionale coinvolge necessariamente le Regioni“. Perciò il dialogo tra Stato e Regioni deve essere leale e collaborativo “per assicurare il miglior servizio alla collettività”.

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime due disposizioni della legge della Regione siciliana (in riferimento alla legge finanziaria del 2018, artt. 31, commi 4 e 5, 34, 35, 45, 99, commi da 2 a 17 e 25, della legge 8 maggio 2018), che prevedevano un’utilizzazione diversa dei fondi rispetto allo scopo di finanziare i livelli essenziali di assistenza sanitaria e ospedaliera. Si tratta di un passaggio che potrà avere grosse conseguenze nell’ambito del futuro processo di negoziazione dei trasferimenti alle Regioni in materia di fondo sanitario. Come ci sono arrivati i giudici costituzionali a questa conclusione? Tutto dopo una specifica istruttoria nei confronti dello Stato (che aveva proposto il ricorso) e della Regione. Il 24 luglio scorso la Corte Costituzionale aveva chiesto alla Regione Siciliana e al Governo una serie di dati per verificare il rispetto dell’articolo 20 del decreto legislativo 118/2011 là dove prevede un’indicazione analitica dei flussi finanziari destinati ad assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria. I giudici, dopo aver ricevuto la documentazione (anche se in maniera parziale), hanno deciso così per dirimere la contesa: lo Stato legifera, le Regioni dispongono ma non interpretano come meglio credono. La Corte Costituzionale afferma, senza mezzi termini, la supremazione della tutela sanitaria rispetto al conflitto in essere tra Stato e Regioni. Allo stesso tempo i giudici affermano il principio della preventiva programmazione del fabbisogno finanziario e dell’obbligo di monitoraggio continuo per verificare se le risorse sono sufficienti. Dunque, con la stessa pronuncia, viene dichiarato non fondato il ricorso dello Stato contro la Regione, affermando che la contabilità dello Stato e delle Regioni deve consentire di distinguere continuamente costi diretti e indiretti nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, altrimenti non è possibile verificare l’effettività dell’erogazione degli stessi ai cittadini.

La Corte ha osservato, inoltre, che l’eventuale accoglimento delle censure statali avrebbe ulteriormente ritardato i tempi di impiego dei fondi UE, la cui utilizzazione, ribadiscono i giudici, scade proprio nell’esercizio governativo in corso (il riferimento è ai fondi UE 2014-2020). Pertanto con la sentenza della Corte Costituzionale si riafferma la priorità ad assicurare, nell’arco di tempo previsto dal regolamento, “l’effettiva utilizzazione da parte della Regione dei finanziamenti europei, che costituiscono i principali strumenti finanziari della politica regionale di investimento dell’Ue”. Tutto questo, “in ragione della prioritaria necessità di procedere all’attuazione degli interventi entro le scadenze improrogabilmente previste dalla normativa europea”.

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