Siccità in Sicilia, l'acqua scarseggia, ma viene inquinata e sprecata

Scarseggia, ma viene sprecata e inquinata. In Sicilia si continua a scherzare con… l’acqua

Antonino Lo Re

Scarseggia, ma viene sprecata e inquinata. In Sicilia si continua a scherzare con… l’acqua

Roberto Greco  |
venerdì 22 Marzo 2024

Oggi è il World water day, ma in Italia e nell'Isola c’è poco da festeggiare. Perché se è vero che di acqua ce n’è sempre meno a causa della siccità, vanno ricordati i buchi della rete idrica

Oggi 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, il World water day, ricorrenza istituita dalle Nazioni unite nel 1992 prevista all’interno delle direttive dell’Agenda 21, risultato della conferenza di Rio. Il tema di quest’anno è “Water for peace”. L’acqua può creare pace o innescare conflitti. Quando l’acqua scarseggia o è inquinata, o quando le persone hanno un accesso ineguale o nullo, possono aumentare le tensioni tra comunità e paesi. Più di 3 miliardi di persone nel mondo dipendono dall’acqua che attraversa i confini nazionali.

La “Giornata mondiale dell’acqua”

Tuttavia, solo 24 paesi hanno accordi di cooperazione per tutta l’acqua condivisa. Con l’aumento degli impatti dei cambiamenti climatici e la crescita delle popolazioni, c’è un urgente bisogno, all’interno e tra i paesi, di unirsi per proteggere e conservare la nostra risorsa più preziosa. La salute pubblica e la prosperità, i sistemi alimentari ed energetici, la produttività economica e l’integrità ambientale dipendono tutti da un ciclo dell’acqua ben funzionante e gestito equamente. Quando cooperiamo sull’acqua, creiamo un effetto a catena positivo: promuoviamo l’armonia, generiamo prosperità e costruiamo la resilienza alle sfide condivise. Dobbiamo agire partendo dalla consapevolezza che l’acqua non è solo una risorsa da utilizzare e da conquistare, ma è un diritto umano, intrinseco a ogni aspetto della vita. In occasione della “Giornata mondiale dell’acqua”, dobbiamo tutti unirci attorno all’acqua e usarla per la pace, gettando le basi di un domani più stabile e prospero.

L’indagine di Greenpeace Italia

Una nuova indagine di Greenpeace Italia, basata su campionamenti indipendenti effettuati nel gennaio scorso, rivela che la contaminazione da composti poli e perfluoroalchilici pericolosi per la salute umana (Pfas) è largamente diffusa e interessa numerosi corsi d’acqua inquinati dagli scarichi di diversi distretti industriali. Secondo una stima, inoltre, nella regione Piemonte circa 125 mila persone potrebbero aver bevuto acqua contaminata da Pfoa, una molecola del gruppo dei Pfas classificata come cancerogena per gli esseri umani. Inoltre il rapporto rivela che le microplastiche sono arrivate anche sui giganti di ghiaccio dei Forni e del Miage, due dei più importanti ed estesi ghiacciai dell’arco alpino, tra Lombardia e Valle d’Aosta: le nuove evidenze emergono da campioni raccolti la scorsa estate da Greenpeace Italia e analizzati grazie al supporto del Dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano e del Dipartimento per lo sviluppo sostenibile) dell’Università del Piemonte Orientale.

Sicilia nella morsa della siccità

Non va sicuramente meglio in Sicilia perché, dopo aver dichiarato un mese fa lo stato di calamità naturale per agricoltura e zootecnia, la Sicilia si trova ancora oggi stretta nella morsa della siccità. La Giunta regionale ha approvato lo stato di crisi e di emergenza nel settore idrico potabile da qui al 31 dicembre, lungo sei province: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani. Contestualmente, la Regione ha nominato il segretario generale dell’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia, Leonardo Santoro, Commissario delegato con l’incarico di individuare e attuare tutte le misure necessarie per superare la fase più critica. “Il 2023 – ha spiegato la Regione – è stato il quarto anno consecutivo con precipitazioni al di sotto della media storica di lungo periodo e anche i primi mesi di quest’anno, caratterizzati da temperature più alte e scarsità di piogge, hanno confermato finora questa tendenza”.
Una dinamica già messa in chiaro a metà febbraio dal presidente Renato Schifani, non escludendo la possibilità di dover ricorrere a razionamenti dell’acqua per i cittadini. Razionamenti che di fatto sono già in corso in 150 Comuni siciliani. Il neo commissario Santoro dovrà, non a caso, portare avanti una serie d’iniziative urgenti. In particolare: riduzione dei prelievi e dei consumi; azioni finalizzate all’aumento delle risorse disponibili, quali la ricognizione e l’utilizzo di pozzi e sorgenti, nonché l’utilizzo dei volumi morti negli invasi. Per quanto riguarda invece il fronte agricolo e zootecnico, il commissario straordinario per l’emergenza idrica in agricoltura, Dario Cartabellotta, ha avviato le procedure per consentire nell’Agrigentino il trasferimento di risorse idriche dalla diga Gammauta, gestita da Enel, alla diga Castello, tramite l’adduttore consortile San Carlo Castello.

E nel Mezzogiorno…

La situazione resta però critica guardando al medio termine, come documenta la più recente analisi fornita dal Servizio informativo agrometeorologico siciliano. Al primo marzo risultano invasati nelle 29 dighe siciliane appena 229 milioni di millimetri cubi di acqua contro i 431 milioni di mm cubi dello stesso mese dell’anno scorso, il che significa un ammanco superiore al 30 per cento.
Del resto lo spettro della siccità continua ad aleggiare non solo in Sicilia, ma anche nel resto del Mezzogiorno. Come evidenzia l’Osservatorio delle risorse idriche aggiornato dall’Anbi, l’associazione che riunisce i Consorzi di bonifica nazionali, le recenti piogge hanno dato ristoro ai territori assetati del Sud, colpiti da mesi di aridità estrema, ma non si può certo dire che abbiano risolto gli scompensi. “I dati idrologici non devono essere analizzati, soprattutto dai soggetti decisori, nel contingente, ma in una prospettiva temporale ampia, perché la crisi climatica dimostra quanto repentinamente si passi dalla siccità al rischio alluvionale”, ha osservato nel merito Francesco Vincenzi, presidente Anbi.
A evidenziare la gravità della situazione è la mappa dell’Edo, l’European drought observatory, che a fine febbraio indicava un’evidente sofferenza idrica in un’estesa area identificabile nella fascia adriatica centro-meridionale (dalla Romagna alla Puglia), nella quasi totalità della Basilicata, in buona parte della Calabria, lungo la costa livornese e laziale e soprattutto nelle due isole maggiori.

“Sono immagini che dovrebbero indurre una profonda riflessione sulle politiche idriche avviate dall’Unione europea – ha commentato il dg Anbi, Massimo Gargano – perché la crisi climatica sta sconvolgendo equilibri storici, spingendo il Sud del Continente verso scenari africani con crescenti territori a forte rischio desertificazione, cui si può rispondere con manutenzione, con innovazione e nuove infrastrutture, ma anche con adeguate politiche, che ne considerino la specificità territoriale”.
La situazione in Sicilia è allo stremo. Da un lato una rete idrica che definire colabrodo è un eufemismo, sistemi di depurazione pressoché inesistenti e, ancor peggio, anziché recuperare le acque reflue vengono sversate nel sottosuolo, come dimostra l’operazione condotta, qualche giorno fa, dai Carabinieri di Palermo che hanno posto sotto sequestro il depuratore comunale di Petralia Soprana, unitamente ai terreni limitrofi allo stesso, sito in località Pianello. L’indagine ha riguardato la commissione di possibili reati ambientali derivanti dalla mancata depurazione dei reflui urbani provenienti dalle frazioni Pianello, Scarcini, Gioitti, Stritti e SS. Trinità del comune palermitano. Gli accertamenti fino a questo momento effettuati sembrerebbero evidenziare che il depuratore non sia mai entrato in funzione e che pertanto i reflui non depurati sarebbero stati sversati, tal quali, nei terreni adiacenti all’impianto. Al vaglio degli inquirenti anche le possibili ripercussioni che i reflui urbani non depurati, scaricati direttamente sul suolo e sottosuolo, potrebbero avere apportato all’assetto idrogeologico dell’area circostante l’impianto, tra l’altro sottoposta al vincolo paesaggistico.

I sistemi di depurazione

Sul fronte dei sistemi di depurazione, in una recente intervista al QdS Salvatore Caldara, responsabile Uoc Valutazioni e pareri ambientali di Arpa Sicilia, ha dichiarato “Per quel che risulta all’Agenzia, circa il 20% degli impianti opera attualmente con autorizzazione allo scarico in corso di validità. Tutti gli altri operano in assenza di autorizzazione o con autorizzazione attualmente scaduta o sono stati già destinatari di decreti di diniego allo scarico da parte dell’Autorità competente, l’assessorato regionale dell’Energia. Va anche ricordato, però, che in alcuni casi gli Enti gestori o i Comuni hanno regolarmente richiesto il rinnovo dell’autorizzazione ma l’iter amministrativo di autorizzazione non risulta ancora concluso”.

Mancano gli investimenti

E Antonio Coniglio, direttore generale di Acoset, a proposito della rete idrica siciliana ha spiegato al QdS: “La situazione è che abbiamo una parte della rete che ha ricevuto gli ultimi investimenti cinquant’anni fa, una parte che su cui si è investito trent’anni fa e un piccolo segmento che, negli anni ’90 ha ricevuto investimenti. Questo determina che abbiamo una rete idrica in cui registra anche il 70% di perdite, dato allarmante anche a causa dell’attuale allarme siccità sul 40% del territorio regionale. Si tratta di un dato insostenibile perché se non ripariamo le perdite e se non monitoriamo le pressioni, la scarsità della risorsa e il calo delle falde ci porteranno a sistemi di turnazione oppure, ancora peggio ad avere pezzi di territorio senza acqua. È il momento di investire, senza se e senza ma”.
Depuratori fuori servizio, rete idrica fatiscente (l’Istat indica una dispersione pari al 52,5%) e invasi vuoti. In questo momento circa 850.000 siciliani sono vittime di un razionamento dell’acqua potabile con una riduzione della portata stimabile tra il 10 e il 45%. Sicuramente il Petrarca, per descrivere l’attuale situazione, non potrebbe sintetizzarla in “chiare, fresche e dolci acque”.

“Occorre rimuovere le perdite, ma anche il riuso delle acque”

PALEREMO – Interviene al QdS il dottor Emanuele Romano, ricercatore dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr.

Dottore, parliamo di gestione sostenibile delle risorse idriche. Stiamo percorrendo questa strada spediti o siamo, di nuovo, a una corsa a ostacoli?

“Purtroppo siamo di fronte a una corsa a ostacoli per due motivi fondamentali. In primis perché tutto il nostro sistema di approvvigionamento idrico nel suo complesso, quindi non solo l’idropotabile ma anche quello relativo all’irriguo e industriale, è stato disegnato negli anni ’60 del secolo scorso, che è stato un periodo di precipitazioni elevate e, a questo, si aggiunge il fatto che oggi assistiamo sempre più frequentemente a episodi siccitosi. Siamo quindi in presenza di un’infrastruttura concepita in un periodo in cui c’era una maggiore disponibilità idrica rispetto a oggi. Con frequenza sempre maggiore, seppur in aree e momenti diversi, in Italia le aree che soffrono sempre di più di crisi idriche sono aumentate. In questo momento la situazione attuale mentre il Nord Italia vive una situazione di normalità, Centro Sud e Isole sono in sofferenza. D’altro canto, appena due anni fa, il fenomeno ha interessato il Nord”.

È evidente che sia necessario, in questo momento, di un approccio strategico che permetta di affrontare questa situazione…

“Le rispondo, ovviamente, da tecnico. Ritengo che la situazione attuale richieda interventi che si possono dispiegare su un orizzonte temporale di una decina di anni per poter avere risposte. Non esiste un singolo intervento o una singola tipologia di intervento che possa mitigare la situazione o che possa essere messe in campo per contrastare il cambiamento climatico. Esistono, però, un insieme di interventi che, se messi in atto, possano portarci a limitare i danni”.

Quali sono?

“Sicuramente l’individuazione e la rimozione delle perdite innanzitutto, ma anche l’interconnessione tra diversi sistemi di approvvigionamento idrico, ove sia possibile, il riutilizzo delle acque trattate, quelle che escono dalle fognature e che sono trattate dai depuratori per essere restituiti ai corpi d’acqua superficiali. Secondo i recenti dati Istat solo il 25% del totale delle reflue disponibili è trattato. È chiaro che interventi di questo tipo richiedono grandi investimenti anche perché è poi necessario che quelle acque arrivino là dove ce n’è bisogno. Vorrei citare un esempio virtuoso, il depuratore di Milano Sud, quello di Nosedo, grazie al quale attualmente la quasi totalità delle acque, durante la stagione irrigua, è fornita dall’impianto. Questo risultato è stato ottenuto grazie al fatto che sono stati messi in connessione i comprensori irrigui e gli impianti di trattamento, creando così un sistema circolare, facendo anche attenzione alla necessità che le acque che sono immesse dopo essere state trattate vadano in parte a sostenere il deflusso dei fiumi e quindi a quegli ecosistemi cui l’acqua è legata. Purtroppo non esiste una soluzione unica per i diversi contesti territoriali, ma singole e specifiche soluzioni che debbono essere messe a sistema”.

Parlando di acqua, spesso ci riferiamo alla sua quantità. In termini di qualità, invece, qual è la situazione?

“Per ciò che riguarda le acque destinate al consumo umano, in generale possiamo dire che si tratta di acqua di buona qualità che, normalmente, non necessitano di grandi trattamenti per la completa potabilizzazione. Parlando di qualità dell’acqua abbiamo due ordini di problemi. Il primo è relativo alla qualità dal punto di vista eco sistemico soprattutto delle acque superficiali. Quando siamo in presenza di scarse precipitazioni e l’acqua è trattenuta negli invasi, in alcuni casi la portata dei corsi d’acqua scende al di sotto di quello che è definito deflusso minimo vitale, ossia quella quantità minima di acqua necessaria per mantenere il buono stato ecologico dei corpi idrici. Si tratta di un problema che non può essere valutato perché gli ecosistemi hanno un ruolo fondamentale di purificazione delle acque grazie all’innesco di una serie di processi biologici naturali. La seconda problematica invece, che è legata in parte alle condizioni meteo climatiche che stiamo vivendo e in parte al sovra sfruttamento della risorsa idrica, è quella che riguarda le falde costiere, quelle che scaricano direttamente in mare perché, quando il loro livello di abbassa, si ha la c.d. intrusione salina che determina una degradazione della qualità delle acque, come sta succedendo nel delta del Po. Non è solo un problema prettamente ambientale ma anche operativo perché, se la concentrazione salina cresce oltre una certa soglia, si corre il rischio di non poter più trattare quelle acque”.

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Un commento

  1. Giuseppe Paci ha detto:

    Qualche mese fa si è parlato della scoperta di un grosso giacimento di acqua nella Sicilia meridionale, ad una profondità superiore ai 1.000 mt. Non sarebbe il momento di cominciare ad approfondire ed a predisporre progetti per raggiungere questo deposito ed utilizzarlo?

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