“Sicilia, rimettere al centro dell’azione politica piano industriale moderno” - QdS

“Sicilia, rimettere al centro dell’azione politica piano industriale moderno”

Patrizia Penna

“Sicilia, rimettere al centro dell’azione politica piano industriale moderno”

martedì 02 Agosto 2022

Il monito di The European House-Ambrosetti: “Manifatturiero -12,5% per colpa del Covid”. Le parole chiave sono: sostenibilità, capitale umano, innovazione e competitività

Nel 2020, la pandemia da Covid-19 ha sottratto all’Italia 20 anni di sviluppo: l’impatto complessivo sull’economia italiana ha, infatti, determinato una riduzione complessiva del Pil pari all’8,9% rispetto al 2019, dettata dalla contrazione subita soprattutto nell’industria manifatturiera (-12,5% rispetto al 2019) e nei servizi (-9,5%). Gli impatti dell’emergenza pandemica sono stati particolarmente significativi anche per via della struttura stessa del sistema manifatturiero italiano: le piccole e medie imprese (Pmi) costituiscono lo scheletro del Paese, rappresentando il 76% degli addetti (2,8 milioni su oltre 3,7 complessivi) dell’industria manifatturiera. In Italia 4 imprese manifatturiere su 5 contano meno di 10 occupati. Su questa struttura, già fragile, si sono innestate due ulteriori crisi, quella energetica e delle materie prime, che rischiano di compromettere ulteriormente la tenuta del nostro comparto industriale che – nonostante la complessità del periodo storico – è vivo e vegeto e necessita di essere accompagnato dall’azione pubblica.

Il manifatturiero un settore che necessita aiuti

L’Italia, infatti, è ancora il secondo Paese europeo per Valore Aggiunto prodotto dalla manifattura (circa 246 miliardi di Euro), con il Mezzogiorno che, pur non avendo le dimensioni industriali del Nord Italia, produce un Valore Aggiunto manifatturiero superiore a quello di Paesi come, ad esempio, il Portogallo (rispettivamente 32 e 24 miliardi di Euro).

Il peso del manifatturiero in progressivo deterioramento

Tale peso è in progressivo deterioramento: nel 2020, il peso dell’industria sul totale dell’economia nazionale in termini di Valore Aggiunto rappresentava l’85% del peso registrato negli anni 2000. Questa tendenza discendente risulta essere accentuata nelle regioni del Mezzogiorno (74,6%) e, in particolare, in Sicilia (59,1%). Secondo gli ultimi dati disponibili, la Sicilia si posiziona penultima in Italia, dopo la Calabria, per peso del settore industriale sul Valore Aggiunto regionale, con un’incidenza del 12,9%, a fronte di una media nazionale quasi doppia e pari al 23,9%.

Diverse sono le motivazioni sottostanti questo andamento, ampiamente approfondite dalla letteratura economica e qui non riproposte per ragioni di tempo. Concentrandosi sul futuro, riteniamo che la classe politica siciliana abbia il dovere di tornare ad occuparsi di politica industriale: il PNRR, in questo senso, è già un aiuto, rappresentando un primo tentativo dell’Unione Europea di ricostruire la propria base industriale, dandogli un imprinting di innovazione e sostenibilità, due temi sui quali le imprese siciliane mostrano sempre maggiore consapevolezza ma che, al contempo, impongono un ruolo guida delle Istituzioni.

“La programmazione 2021-2027 – spiega Valerio de Molli, CEO di The Europea House-Ambrosetti – offre l’opportunità di ripensare lo sviluppo del territorio in chiave industriale promuovendo un orientamento sempre più deciso nella direzione della sostenibilità legata all’ambiente, del ruolo centrale del capitale umano per favorire processi di innovazione e della trasformazione digitale come condizione imprescindibile di competitività nel mercato”.

La Strategia Regionale dell’Innovazione per la Specializzazione Intelligente S3 raccoglie gli obiettivi e gli indirizzi di policy regionale, armonizzandoli alle 3 dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale ed ecologica) previste dai Sustainable Development Goals (SDGs) identificati dalle Nazioni Unite. A questa si aggiungono le opportunità derivanti dalla recente attivazione delle due Zone Economiche Speciali (ZES) in Sicilia Orientale e Occidentale. Le ZES siciliane possono, infatti, far leva sulla posizione strategica dell’Isola al fine di rafforzare le relazioni commerciali con gli altri Paesi del Mediterraneo ma da sole non bastano, insistendo solo su una porzione pari al 0,2% del territorio complessivo siciliano e in cui, in alcuni casi, permangono dei vincoli burocratici e di destinazione da superare.

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