Superbonus 110% giusta retroattività - QdS

Superbonus 110% giusta retroattività

Carlo Alberto Tregua

Superbonus 110% giusta retroattività

mercoledì 22 Maggio 2024

Fermata la speculazione

Il Governo si è fermamente opposto a mantenere le maglie larghe in tutta la vicenda Superbonus 110%, cosicché ha diluito in dieci anni l’intervento pubblico nella materia allungandolo da un periodo di quattro anni.
Giorgetti ha dimostrato fermezza in questa operazione, anche perché è alle strette in quanto il debito pubblico continua ad aumentare per effetto delle uscite di bilancio, che cannibalizzano l’avanzo primario. Come è noto, esso è la differenza fra tutte le entrate e tutte le uscite che non tengano conto degli interessi corrisposti ai detentori dei titoli pubblici.

Ricordiamo, come abbiamo scritto più volte, che la legge istitutiva del Superbonus 110% è stata una stupidata del Governo Conte, perché lo stesso Presidente del Consiglio non si è reso conto dell’enorme speculazione sottostante.
In cosa è consistita tale speculazione? Nel fatto che la legge con cui erano previsti i contributi sulle spese effettuate non ha stabilito contestualmente che tali esborsi dovevano essere conformi ai prezzi di mercato e non di più.

Invece cos’è accaduto? La mancanza di tale limite ha consentito ai fornitori di beni e servizi relativi di fatturare a prezzi doppi o tripli rispetto a quelli di mercato, dal che il relativo 110% è stato dato ai proprietari di immobili in una misura doppia o tripla. Quindi, una speculazione senza fine in quanto una spesa che doveva essere contenuta nei settanta/ottanta miliardi, sembra che sia preventivata superiore ai duecento miliardi.

Ecco perché Giorgetti ha detto basta a questo sforamento e, non potendo non dare i contributi a chi ha effettuato le spese, quantomeno ha trovato il correttivo di pagarli in dieci anni anziché in quattro.
Il danno che ha provocato questa iniziativa del Governo Conte è commisurabile a quello del fallimento della Lehman Brothers, anche se in quel caso il danno è stato subìto dai privati, in questo invece viene subìto dalle casse dello Stato.
È incomprensibile come allora il Governo Conte sia caduto in questa trappola, non si sa se per ingenuità o incompetenza, ma comunque ci è caduto.

La gestione del bilancio dello Stato è estremamente difficile perché, da un canto, il ministro dell’Economia e Finanze non può comprimere molto le spese per non intaccare la crescita del Pil. D’altro canto, non può neanche allargare più di tanto i cordoni della borsa, perché l’aumento delle uscite, cui non corrispondono le entrate – ai sensi dell’articolo 81, terzo comma della Costituzione – fa aumentare inesorabilmente il deficit e per conseguenza il debito pubblico.

Ora, le norme europee prevedono che tale deficit non possa superare annualmente il tre per cento e che il debito pubblico non possa essere superiore al sessanta per cento del Pil. Rispetto a questi dati obbligatori, il nostro Paese quest’anno si avvia a un deficit intorno al cinque per cento, mentre il debito viaggia circa al centoquaranta per cento del Pil.
Come vedete, si tratta di due dati disastrosi e tremendi, perché generano cento miliardi circa di interessi l’anno sui Titoli di Stato e di fatto bloccano qualunque tentativo di manovre espansive. Per cui è giustificata la fermezza di Giorgetti.

Di fronte a questo quadro preoccupante, altro dato allarmante è quello del supposto incremento del Pil del 2024, che dovrebbe oscillare intorno all’uno per cento, contro il sei per cento della Cina e il tre per cento degli Stati Uniti.
Quindi, da un canto, vi è una continua richiesta di aumentare le spese e, dall’altro, non si riesce a far crescere il Pil in maniera adeguata.

Sembra una strada senza sbocco e forse lo è, perché significa trascinare il Paese per tutta la legislatura in una condizione di stallo.
Intendiamoci, non è responsabilità di questo Governo quanto abbiamo descritto, ma di tutti quelli precedenti, risalendo fino al 1994, che non hanno mai affrontato di petto la questione del rapporto fra sviluppo e debito. Ciò perché il ceto politico, non avendo un buon livello culturale e sociale, non è riuscito e non riesce ad approvare provvedimenti strutturali di lungo respiro; approva invece quelli che portano il consenso giorno per giorno e questo non è un corretto modo di amministrare un Paese.

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