Valentina uccisa a San Cristoforo: "Mondo a parte con sue regole"

Valentina uccisa a San Cristoforo: “Realtà difficile, mondo a parte con sue regole”

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Valentina uccisa a San Cristoforo: “Realtà difficile, mondo a parte con sue regole”

Melania Tanteri  |
giovedì 28 Luglio 2022

E' un quadro a tinte fosche quello di San Cristoforo, dipinto da chi opera nel difficile quartiere periferico del centro di Catania.

Un mondo a parte. Neanche la vicinanza con il centro della città, con le principali istituzioni, cambia una situazione che va avanti da decenni. O forse da sempre. Recentemente sulle pagine dei giornali, locali e nazionali, poiché teatro dell’omicidio di Valentina Giunta, la donna di 32 anni uccisa nella sua abitazione in via Di Giacomo, a pochi passi dal Castello Ursino, San Cristoforo torna sotto i riflettori.

San Cristoforo: la periferia in centro

Quartiere periferico in pieno centro cittadino, rione enorme e popolosissimo, noto anche per aver dato i natali a Nitto Santapaola, San Cristoforo è stritolato tra degrado e mafia, tra illegalità e disillusione. Quasi non esistesse per nessuno se non per chi vi abita. Che spesso sa cosa accade ma non parla. Chi opera nel quartiere lo sa bene: qui vigono regole a sé stanti, lo Stato non esiste e, quando esiste, viene percepito come nemico. Fortunatamente, ci sono anche le associazioni, le organizzazione profit o no, le scuole.

La morte di Valentina nel cuore del quartiere

Domenica Maurigi è la referente nel Centro di prossimità Spazio 47, nell’ambito della Fondazione Ebbene che opera nel quartiere. Domenica e i suoi colleghi lavorano da circa un anno e mezzo nel rione con progetti e attività portate avanti, a volte, con altre realtà associative. Realtà che cercano di invertire una tendenza ormai incrostata nell’area tra via Plebiscito e la via della Concordia, di coinvolgere i più piccoli e le loro famiglie. Un’opera affatto semplice. “Purtroppo non abbiamo mai avuto contatti con la famiglia di Valentina – spiega Domenica – ma abbiamo contatti con tantissimi nuclei familiari, circa 600 in tutto il territorio”. Domenica non nasconde le difficoltà. “Questo è un mondo a parte – conferma. Il sistema socio-culturale segue regole interne. In pochi parlano – continua – in pochi denunciano e, quello che accade spesso resta chiuso all’interno delle mura domestiche o al massimo tra le vie strette e dedaliche del quartiere”.

“Qui, vigono regole specifiche”

Eppure, si riesce anche a operare efficacemente su un territorio molto difficile. “Noi siamo entrati senza voler giudicare nessuno – prosegue – e siamo stati accolti e l’aiuto che offriamo non viene rifiutato. C’è interesse da parte di molte famiglie nel mandare i bambini a frequentare il nostro centro di aggregazione e la nostra missione educativa viene apprezzata. E’ anche vero – aggiunge – che abbiamo instaurato un rapporto di fiducia personale e che non è facile dialogare con le famiglie. Il quartiere è davvero particolare: si comporta come una comunità chiusa, all’interno della quale vigono regole specifiche e non è facile entrare”.

San Cristoforo e il lavoro di Spazio 47

Né lo “stigma” di quartiere difficile qui si sente più di tanto. E’ questo, forse, uno degli elementi che più caratterizza San Cristoforo. “A differenza di altre zone problematiche della città, Librino ad esempio, dove gran parte della società civile si mobilita spesso contro il degrado e a sostegno della riqualificazione profonda – prosegue Domenica – qui lo stigma non viene percepito, sembra non esserci la volontà di rivalsa- E anche noi con i nostri progetti abbiamo difficoltà a penetrare le barriere culturali”. Piano piano, l’associazione è entrata nel quartiere. “Ci rispettano, ci riconoscono e riconoscono il nostro lavoro – dice ancora Domenica – anche perché non abbiamo la presunzione di pensare di poter cambiare le cose subito, ma seminando”. resta però da squarciare ciò che avvolge il quartiere.

Parola d’ordine: sfiducia

La parola d’ordine è sfiducia, secondo Domenica. “Le istituzioni vengono percepite come negative – continua l’operatrice – nessuno pensa che possano essere un sostegno, ma solo assistenza. In molti ritengono lo Stato inaffidabile, inesistente. E come non capirli: qui non esiste una piazza verde, un’area attrezzata per i bambini. Qui c’è una sorta di autogestione. Avete mai notato che, in queste strade, non esiste il codice della strada? o come il problema della spazzatura, che in città è grave, qui diventa drammatico?”. Sta qui il ruolo fondamentale della Fondazione Ebbene, dello Spazio 47 e di tutte quelle realtà che cercano di cambiare le cose. “Vogliamo fornire nuove possibilità – aggiunge Domenica – ma soprattutto dare nuove visioni ai cittadini di questo quartiere. C’è bisogno di far comprendere che lo stato non è sinonimo di controllo e vessazione, che non è assistenzialismo ma cittadinanza”.

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