La procuratrice aggiunta del tribunale di Catania, presente all'incontro al Garibaldi, spiega la ragione per cui le denunce non bastano a combattere la violenza di genere.
Abbiamo intervistato la procuratrice aggiunta del tribunale di Catania, Marisa Scavo, presente all’incontro al Garibaldi dal titolo “Donne, storie e violenza: istituzioni, sanità e società per un futuro più sicuro”, per comprendere meglio la ragione per cui le denunce non bastano a combattere la violenza di genere.
Violenza di genere, intervista a Marisa Scavo
Come mai i dati sui femminicidi continuano a crescere, nonostante le attività di sensibilizzazione sul tema?
“Questo ci dimostra come il fenomeno non sia di carattere emergenziale, ma strutturale. Oggi riguarda tutta l’intera società e questo dimostra che bisogna lavorare moltissimo sulla prevenzione, sul cambiamento culturale e soprattutto sui giovani, nelle scuole, per far comprendere che si tratta di un fenomeno sociale che coinvolge tutti”.
Vanessa Zappalà e Giordana Distefano avevano denunciato quelli che sarebbero diventati i loro assassini. Cos’è che non ha funzionato in questi casi, procuratrice Scavo?
“Il problema della violenza di genere non si può risolvere soltanto in via giudiziaria. In via giudiziaria il processo ha sempre un inizio e una fine, perché molto spesso le misure cautelari vengono poi modificate nel corso del processo. Bisogna comprendere e non accusare la magistratura, perché è un fenomeno che non si può risolvere soltanto in ambito giudiziario dove però, certamente, rimane una tematica da affrontare con grande professionalità, competenza e tempestività”.
“Noi a Catania lavoriamo in maniera abbastanza scrupolosa, ma è chiaro che l’evento imprevedibile, diventa appunto imprevedibile nonostante le misure cautelari che si possano adottare nell’ambito del procedimento”, aggiunge la procuratrice aggiunta Marisa Scavo.
Le difficoltà in tribunale e dopo i provvedimenti
Quanto è difficile dimostrare la violenze psicologica in tribunale?
“Certamente è molto difficile da dimostrare, perché la donna molto spesso perde l’autostima per le violenze alle quali è sottoposta, prova dei sensi di colpa, finisce con il colpevolizzarsi pensando che forse non è mai stata una donna, una madre e una moglie adeguata. Se si instaura un rapporto empatico con la persona offesa, che dev’essere sostenuta con un percorso di sostegno psicologico tramite le associazioni antiviolenza, si riesce alla fine a fare emergere”.
Nei procedimenti per stalking viene talvolta emesso il provvedimento del divieto di avvicinamento che puntualmente non si rivela efficace nel proteggere la vittima. Lei non crede che il braccialetto elettronico possa tutelare maggiormente le vittime?
“Il braccialetto elettronico viene applicato quando viene richiesto, ma nell’ambito delle misure cautelari l’autorità giudiziaria deve valutare quella che, in base gli elementi raccolti, possa essere ritenuta la più adeguata a contenere il pericolo di recidiva. Il braccialetto elettronico sicuramente può essere applicato, viene applicato anche alla persona offesa. Ma il soggetto – indagato o imputato – può anche liberarsi del braccialetto elettronico e vanificare del tutto questa misura”.