Vincere o perdere ma provarci sempre - QdS

Vincere o perdere ma provarci sempre

Carlo Alberto Tregua

Vincere o perdere ma provarci sempre

giovedì 15 Novembre 2012
Nella vita, nulla viene regalato, tutto deve essere conquistato. Il che significa la caduta delle illusioni che arrivi la manna dal cielo anche sotto forma dell’eredità dello zio d’America, ovvero della vincita in uno dei giochi d’azzardo, i quali, tutti insieme, fanno spendere agli italiani oltre 45 miliardi, una cifra impressionante.
A riguardo è stata acclarata una nuova malattia finora sconosciuta, denominata ludopatia, cioè l’attrazione fatale degli individui che ne sono affetti verso il gioco d’azzardo, dal quale non si possono separare, rovinando loro stessi e le proprie famiglie.
Le persone serie e concrete, invece, sanno che occorre tanto sacrificio, profonda dedizione, tutto il tempo necessario per crescere sia dal punto di vista professionale che da quello umano.
La crescita non ha mai un punto finale, tranne il momento in cui il corpo libera lo spirito. Chi si ferma è perduto, chi si adagia non cresce, il che è come morire.

Chi agisce nella vita in siffatto modo ha dentro di sé la spinta per accettare le tante sfide che gli vengono proposte. Ognuno di noi è posto davanti ad obiettivi, anche difficili, che si possono raggiungere con abilità (se si possiede), con forza d’animo e con abnegazione.
Siccome, però, non tutto dipende da noi, può darsi che non si raggiungano gli obiettivi e, quindi, si perda la sfida. Ma l’importante non è vincere o perdere e neanche partecipare, tanto per farlo, come sosteneva Pierre de Frédy, barone di Coubertin (1863 – 1937), l’importante è provarci sempre, ripetutamente, cambiando il metodo e mettendocela tutta, senza arrendersi mai.
Il giorno in cui una persona si dovesse arrendere, non gli resta che la vita contemplativa, più propria degli eremiti che delle persone normali. Non che la vita contemplativa non ci voglia, ma essa deve essere intercalata nella giusta proporzione con la vita attiva e produttiva di risultati, non importa se di tipo sociale o economico.
Molti confondono la necessità di efficienza ed efficacia del proprio agire come requisiti di attività economiche. Sbagliato. Questi requisiti sono necessari in qualunque attività si svolga, indipendentemente dalla finalità di un utile economico. L’utilità, infatti, può essere sociale, solidale e a favore della collettività.

 
Quando si fa un’attività contemplativa, occorre destinarla alle riflessioni, non solo sui massimi sistemi (la vita e la morte, la giustizia e la libertà, l’equità e la disparità), ma anche sulle vicende concrete di tutti i giorni che ci coinvolgono o nelle quali ci facciamo coinvolgere.
Riflettere su che cosa? è semplice: se stiamo operando in maniera corretta, se stiamo servendo la collettività, se stiamo facendo i nostri interessi, ma subordinati all’interesse generale.
è questo il punto cruciale su cui dovrebbe muoversi l’intera collettività, la quale potrebbe seguire l’esempio del ceto istituzionale che ha mandato al Governo della Cosa pubblica, proprio col compito di servirla e non di servirsene.
Purtroppo, il tradimento di questo mandato da parte di quel ceto istituzionale, almeno in questi ultimi venti anni, ha ridotto l’Italia, e più ancora il Mezzogiorno, in condizioni economico-sociali disastrose. Ognuno ha tirato il lenzuolo dal proprio lato, col risultato non solo di far scoprire il lato altrui, ma di strappare il lenzuolo medesimo.

La scommessa che punti al progresso, collettivo o individuale, è la più importante alla quale ognuno di noi si deve dedicare. Seguendo per una certa parte il proprio interesse egoistico, ma non dimenticando che quando si serve l’interesse generale vi è un ritorno anche per sé stessi.
È poi il progresso individuale che sommato, moltiplica il progresso sociale, a condizione che sia diffuso il valore dell’equità, secondo il quale ognuno dà per quanto riceve o, se volete, riceve per quanto dà.
Come vedete, gira che ti rigira,dovrebbero essere i valori la guida delle nostre azioni. Chi se ne discosta fa male agli altri e, nel medio o lungo periodo, fa male anche a sé stesso. Quelli che hanno la vista corta non fanno molta strada. Chi riesce a pensare al dopodomani modifica i propri comportamenti dell’oggi in modo adeguato.
Guardare avanti, dunque, mai i propri piedi. Tenere un passo normale, e non affannato, in modo da acquisire sicurezza per andare verso le mete programmate. Guai a chi si comporta da cicala che poi piange sul latte versato. La formica ha sempre ragione.

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