Più Sicilia nei marchi della grande distribuzione organizzata.
I gruppi commerciali siciliani segnano un nuovo equilibrio nell’Isola e sorpassano le grandi catene nazionali ed estere.
A conquistare posizioni è il marchio Decò, del Gruppo Arena, che ha da poco aggiunto un altro superstore presso il centro commerciale ai Leoni a Palermo precedentemente a marchio Conad.
Il Gruppo Arena il mese scorso ha acquisito alcuni negozi nella zona orientale della Sicilia appartenenti al gruppo Abate in concordato preventivo, salvaguardando oltre 350 posti di lavoro.
Si prevede un maxi ingresso del marchio Decò anche nella Sicilia occidentale, dove è stato stipulato un accordo con la società Arcipelago per alcuni punti vendita tra Palermo e provincia.
Sono stati acquisiti 3 punti vendita Simply di Trapani ed Erice.
"Il gruppo Arena – ha spiegato Marianna Flauto, segretario generale della Uiltucs – grazie agli accordi sindacali raggiunti ha mantenuto gli impegni assunti con particolare riguardo alla garanzia dei livelli occupazionali. Così come il Gruppo Romano, che ha acquisito Carrefour, ha dimostrato che in una terra difficile come la Sicilia, si può fare sana impresa nel rispetto delle regole e della legalità".
La Uiltucs Sicilia è preoccupata "per il futuro delle grandi catene nazioni sul territorio regionale, che nonostante la definizione di accordi sindacali finalizzati al mantenimento dell’occupazione, stanno dimostrando di non avere la capacità per stare al passo coi tempi. Si registra invece il decollo di gruppi siciliani – conclude la sindacalista – che hanno dimostrato maggiore dinamismo e interesse alla continuità".
Crisi economica: famiglie in difficoltà soprattutto al Sud, spesa inferiore a dieci anni fa. I sindacati per la Tav
Rispetto a prima della crisi economica, secondo la Cgia di Mestre, le famiglie italiane spendono meno, sebbene dal 2013 vi sia una lenta ripresa: nel 2007 le uscite mensili erano pari a 2.649 euro, 10 anni dopo la soglia è 2.564 euro (-3%, in valore assoluto -85 euro).
Preoccupa il Sud: la spesa è crollata di 170 euro. Grave la crisi dell’edilizia: le opere bloccate sono oltre 600 per 36 miliardi e 350 mila posti di lavoro, rileva la Filca Cisl.
Per il sindacato "rinunciare alla Tav vorrebbe dire essere tagliati fuori dall’Europa".