Una risorsa non rinnovabile scompare al ritmo di 420 m2 al minuto: riflessioni sugli ultimi dati dell’Ispra. Lombardia al top: 11%. L’Isola come Marche e Piemonte: 7%. Trentino al 3%
CATANIA – Il suolo è una risorsa preziosa e non rinnovabile, che in Italia,secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), è consumata al ritmo di 420 metri quadrati al minuto. Una risorsa che deve essere tutelata con provvedimenti urgenti ed efficaci.
Sfogliando il Rapporto 2015, redatto da Ispra, sull’uso del suolo in Italia, si legge che la percentuale di suolo coperta da edifici, capannoni, strade e servizi, ovvero impermeabilizzata, rispetto al totale della superficie nazionale è passata dal 2,7 % degli anni Cinquanta al 7 % del 2014.
Al Nord si registra un valore maggiore, pari al 7,8 %, rispetto che al Centro e al Sud, dove le percentuali di suolo cementificato sono il 6,6 % e 6,2 % rispettivamente. Considerando il consumo a livello regionale, al primo posto c’è la Lombardia con l’11 %, poi il Veneto con il 10 % e al terzo posto la Campania con il 9 %. Le regioni più virtuose sono invece Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta con un consumo pari al 3 %. In Sicilia, secondo quanto riportato nell’indagine, il consumo del suolo si attesta poco al di sotto del 7%, quasi alla stessa stregua di regioni come le Marche, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria e il Piemonte.
Nel rapporto si legge che il consumo di suolo, che si palesa con una progressiva impermeabilizzazione del territorio, riguarda soprattutto le zone pianeggianti più fertili e produttive, impedendo non soltanto l’assorbimento delle piogge e quindi aumentando il rischio di alluvioni, ma anche l’assorbimento di anidride carbonica di cui il suolo è responsabile per il 20 per cento.
Nel documento si denuncia anche che il 20 per cento della fascia costiera italiana sia ormai persa a causa di una cementificazione che non ha risparmiato neanche 34.000 ettari di aree protette e zone a rischio idrogeologico.
In Europa, si perdono, ogni ora, 11 ettari; l’Italia contribuisce per circa 1/5 a tale consumo. Il 33% dei suoli a livello mondiale è degradato; ci vogliono fino a 1.000 anni perché 2-3 centimetri di suolo possano riformarsi, una volta degradati; la domanda di cibo, foraggio e fibre è in crescita ed è previsto dalla Fao un aumento del 60% entro il 2050.
Un quadro desolante. Dovrebbe farci riflettere per capire che il suolo non è solo una merce di scambio, una superficie edificabile da vendere o comprare, ma è anche un’entità deperibile, non rinnovabile, da preservare con leggi “ad hoc”.
Dobbiamo renderci conto che se si vuole perseguire un modello di sviluppo sostenibile, le valutazioni economiche devono comprendere non solamente i costi in termini di bilancio fra perdite e guadagni, ma anche quelli ambientali.
Registriamo, infine, che ad oggi c’è solo un disegno di legge (C. 2039), presentato il 3 febbraio 2014, concernente il contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato. Tutt’ora in discussione presso le commissioni riunite Agricoltura e Ambiente della Camera dei deputati.