Tari: costi esorbitanti, servizi scarsi - QdS

Tari: costi esorbitanti, servizi scarsi

Rosario Battiato

Tari: costi esorbitanti, servizi scarsi

mercoledì 22 Novembre 2017

Cittadinanzattiva: le famiglie dell’Isola pagano circa 381 euro, 84 in più della media nazionale. In Sicilia gestione fallimentare e Ato indebitati per oltre un miliardo di euro

PALERMO – Il caso nazionale della tari “gonfiata” assume contorni ancora più incisivi in Sicilia, dove, già di base, la tassa sui rifiuti è mediamente più elevata del resto d’Italia, a fronte di un servizio ridotto ai minimi termini e con una raccolta differenziata che ancora dista più di trenta punti percentuali dalla media nazionale. Circostanze che si associano ad altri fattori finanziari di particolare criticità: il peso del debito della vecchia gestione Ato, in liquidazione eppure ancora in piedi per effetto della difficile transizione gestionale verso le Srr, che vale ancora circa 1,2 miliardi di euro (dati della Corte dei Conti) per un sistema che, senza una filiera del riciclo, è da considerarsi economicamente insostenibile.
 
È arrivata proprio nei giorni scorsi la circolare del ministero dell’Economia (n.1/2017 del 20 novembre) con le istruzioni per il rimborso della Tari cresciuta sulla base dei calcoli errati dei Comuni. La richiesta può arrivare fino al 2014 (non vale per la Tarsu) e va presentata in carta semplice con l’inserimento di “tutti i dati necessari – si legge sulla circolare a identificare il contribuente, l’importo versato e quello di cui si chiede il rimborso nonché i dati identificativi della pertinenza che è stata computata erroneamente nel calcolo della Tari”.
 
Il caso è scoppiato dopo l’interrogazione parlamentare di Giuseppe L’Abbate del M5S, che aveva chiesto al ministero dell’Economia e delle finanze delle delucidazioni in relazione al calcolo della tari. La riposta, affidata al sottosegretario Pier Paolo Berretta e tuttora pubblicata sul sito della Camera, ha riportato che “se una singola utenza è composta da un appartamento, un garage e una cantina, la parte variabile va considerata una sola volta e, di conseguenza, un diverso modus operandi da parte dei comuni non trova alcun supporto normativo”. Nel mirino del Mef c’è appunto la componente variabile della tassa, che molti uffici comunali avrebbero sbagliato a calcolare, determinando la crescita delle tariffe fino al doppio del normale.
 
La Tari, che è operativa dal 2014, in sostituzione della vecchia tarsu (e ancora prima tia e tares), per finanziarie il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è infatti composta da una quota fissa, calcolata in proporzione ai metri quadrati dell’abitazione, e da un’altra variabile che viene invece associata al numero dei membri della famiglia.
 
È stata questa porzione a essere stata maggiorata tante volte quante sono le pertinenze dell’abitazione, mentre andrebbe calcolata soltanto un’unica volta sull’intera abitazione e pertinenze immobiliari (garage, soffitte, box auto, etc…).
 
Attualmente non ci sono ancora certezze sui comuni che effettivamente avrebbero causato questi errori – in Sicilia Palermo sarebbe in regola, Siracusa probabilmente no –, ma ogni cittadino può anticipare i tempi tramite l’analisi della lettera che riporta la quota da pagare. In altri termini: la dicitura “domestica-componenti” deve apparire una sola volta, perché se ci sono altre diciture come “domestica-accessori” o “domestica-pertinenze”, che di solito avranno componenti pari a 1, allora è il momento di avviare la richiesta di rimborso (in generale è possibile chiedere la restituzione di un errato pagamento entro 5 anni) e, scaduti i 180 giorni senza aver ottenuto risposta dall’ente, è consigliabile avviare un’azione legale che avrà serie possibilità di successo.
Il Codacons, durante la scorsa settimana, ha inviato un esposto alle 9 Procure siciliane e alla Corte dei Conti, nonché una diffida all’Anci, chiedendo l’apertura di inchiesta in merito ai presunti errori.
 
La posizione dell’Anci è arrivata nei giorni scorsi con Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’associazione dei comuni, che ai microfoni di Radio24 ha spiegato che “il rimborso è un diritto dei cittadini” e i comuni potrebbero restituire il surplus senza attendere l’istanza, anche perché “non lo hanno fatto con dolo”.
 
In Sicilia la tassa è comunque più cara, indipendentemente dagli errori dei comuni. L’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva ha valutato la tari isolana per una famiglia media (3 persone, reddito lordo 44.200 euro, casa di proprietà di 100 mq) pari a 381 euro, ben 84 euro in più rispetto al dato nazionale. Un peso ancora più sostanzioso se confrontato con la fascia delle Regioni più avanzate, cioè quelle col sistema di gestione virtuoso e funzionale, come il Trentino (193 euro), oppure il Veneto o la Lombardia (entrambe a 229 euro). Ci sono oltre 150 euro di differenza. E la Sicilia spicca: tra le dieci città più care, sempre secondo i dati di Cittadinanzattiva, ci sono tre siciliane, cioè Siracusa (486 euro), Catania (427 euro) e Messina (413 euro). Al Nord si risparmia: si trovano qui ben 9 delle 10 città con una spesa annua più contenuta del servizio.
 
Cifre esagerate e servizio insufficiente. Lo ha rivelato l’Ispra, all’interno del rapporto Rifiuti urbani presentato a ottobre, che vede l’Isola restare la regina delle discariche – nel 2016 ha interrato circa 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti, l’80% dei 2,3 milioni prodotti – a fronte di una raccolta differenziata che spinge fino al 15,4% (era del 12% nel 2015) e, anche considerando le stime della Regione per il 2017 che la portano fino al 20%, resta a oltre trenta punti percentuali di distacco dalla media nazionale del 52,5%.
 

 
Una gestione fallimentare, ma costa più delle virtuose
 
PALERMO – È stata l’Ispra, nell’ultimo Rapporto rifiuti urbani pubblicato alla fine di ottobre, a esaminare in dettaglio le voci dei costi del servizio attraverso l’analisi di oltre 6.500 comuni che hanno fornito dati in dettaglio (191 su 390 in Sicilia). “Dai risultati dell’analisi – si legge nel report – si evince che nel 2016, a livello nazionale, l’ammontare medio pro capite annuo dei proventi da ‘tari’ e/o tariffa risulta di 165,95 euro/abitante per anno (all’incirca uguale all’importo del 2015, in cui la media dei proventi ammontava a 166,02 euro), a fronte di un costo totale medio annuo pro capite di 167,74 euro/abitante per anno (+0,4% rispetto al 2015, in cui la media dei costi totali ammontava a 167,05 euro), con una percentuale media di copertura dei costi del 98,9%, inferiore dello 0,5% a quella rilevata nel 2015, che risultava del 99,4%”. Il tasso di copertura, sulla base della macroarea geografica, è risultato del 99,1% al Nord (98,6% nel 2015), del 97,5% al Centro (99,3% nel 2015) e 99,9% al Sud (100,8% nel 2015).
Numeri in crescita che mostrano come la percentuale media nazionale di copertura dei costi è passata dall’83,9% del 2001 al 98,9% attuale, con un incremento assoluto del 15% e un dato che è risultato del 9,8% al Nord, del 9,5% al Centro e del 27,3% al Sud.
In Sicilia la copertura dei costi è pari al 102,7%, anche se il costo totale di gestione per abitante è pari a 170,63 euro, cioè circa 3 euro in più della media nazionale, e 33 euro in più delle migliori realtà nazionali come la Lombardia (137,04 euro) o del Veneto (131 euro).
 

 
“Opacità e scarsa efficienza”. Così i soldi non bastano mai
 
PALERMO – C’è un grande problema che viene dal passato e pesa sul presente e futuro della finanza pubblica. L’ha evidenziato la Corte dei Conti nell’indagine “La finanza locale in Sicilia” del marzo 2016, nella quale si legge che “un fattore di enorme incognita per la finanza dei comuni siciliani e, più in generale, per la finanza regionale, è costituito dall’elevatissima esposizione debitoria accumulata negli anni per garantire la continuità del servizio integrato dei rifiuti, nell’ambito delle varie normative succedutesi nel tempo”.
Per evitare di compromettere la continuità del servizio, la Regione ha emanato una serie di disposizioni legislative, permettendo di autorizzare “l’intervento anticipatorio nei confronti dei comuni” che erano obbligati a intervenire “finanziariamente in via sussidiaria rispetto alle società d’ambito di riferimento, al fine di assicurare l’integrale copertura dei costi del servizio”.
Su questo punto è stato netto il giudizio della magistratura contabile: “Questi ultimi (i costi del servizio, ndr), per via di gestioni spesso opache e comunque poco improntate a canoni di efficienza, sono lievitati a dismisura rispetto ai proventi tariffari riscossi, dando luogo a vere e proprie crisi di liquidità del sistema”.
Il risultato è drammatico, perché, prendendo a riferimento le gestioni liquidatorie, riguardanti l’attività gestionale fino al 30 settembre 2013, emerge che “l’esposizione debitoria delle società d’ambito e dei consorzi nei confronti di fornitori, banche ed altri creditori, in base alle certificazioni dei liquidatori, è quantificabile in euro 1.176.437.601”. L’importo è aggiornato al 20 aprile 2016.

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