Così l'ha definita il governatore Musumeci. Il 2020 sia l’anno dello sblocca-cantieri. Tra fondi Ue e nazionali quasi dodici miliardi da spendere. Basta discariche a cielo aperto. Occorre svecchiare l'agricoltura, rilanciare il turismo e puntare sulla formazione
PALERMO – Quello a cui stiamo per dare il benvenuto può e deve essere l’anno della svolta per la nostra bella e dannata Sicilia. Non sarà certo facile, bisognerà prendere decisioni difficili, che potranno essere considerate impopolari ma che sono oggi più che mai necessarie se si vuole che l’Isola abbia una qualche chance di rinascita.
Dalle incompiute ai fondi Ue non spesi, dal sistema rifiuti all’agricoltura, dalla formazione al turismo, sono tante le questioni da affrontare per far risorgere questa terra. A cominciare dalla burocrazia, “una tragedia” – così l’ha definita il Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci – che, per malafede o incapacità degli addetti ai lavori, ostacola la crescita e lo sviluppo della nostra Isola e che pertanto va estirpata subito, puntando sì sulla digitalizzazione e sulla trasparenza ma prevedendo anche sanzioni per dipendenti e dirigenti che sbagliano. Partire dunque da una riforma della burocrazia: è questo il primo suggerimento che diamo al Presidente Musumeci. Il quale all’incontro a Palazzo d’Orleans con la stampa per i tradizionali auguri di fine anno si è mostrato fiducioso: “Dovremo necessariamente operare tagli per un anno, forse per due, poi andremo in pianura se non in discesa”. E ha chiesto a Roma di fare la propria parte: “Chiederemo non elemosine, ma di prendersi in carico il problema degli enti locali, che vivono una condizione di assoluta gravità. Serve una riforma della finanza locale in Sicilia”.
Quel che negli anni precedenti è stato fatto non si può cambiare: “scurdammoce o passato” o meglio mettiamolo da parte e guardiamo avanti. Con un pizzico di ottimismo ma sempre con i piedi per terra e la testa sulle spalle.
Il 2020 sia l’anno dello sblocca-cantieri
Il tallone d’Achille di questa Sicilia disastrata sono le incompiute. Sono 162, secondo l’ultimo rilevamento del Mit (2017) le opere rimaste nel limbo dell’inconcludenza. Per far ripartire l’economia bisogna sbloccare subito i cantieri.
Prima di tutto per mettere in sicurezza l’Isola: il 4% del territorio siciliano è infatti a rischio alluvione con 20 mila persone nel mirino, mentre il pericolo di frana coinvolge 1.500 kmq e almeno 120 mila siciliani. Nonostante la valanga di fondi arrivata dal Ministero dell’ambiente – oltre 660 milioni di euro tra il 1999 e il 2017 – solo il 44% delle risorse è stato effettivamente speso e solo un intervento su due è stato concluso.
E non è tutto: dal censimento delle opere cantierabili prodotto da Ance (aggiornato a dicembre 2018) risultano 268 cantieri senza appalto, ma per cui ci sono somme disponibili per la costruzione. Dalle scuole materne ai palazzi sede dei Comuni, dagli impianti sportivi fino alle strade interne determinanti per collegare i piccoli borghi, la più grande regione d’Italia è un cantiere aperto.
Il 2020 deve essere per l’Isola l’anno dello sblocca-cantieri.
Fondi Ue e nazionali: 11,5 mld da spendere
L’operazione sblocca-cantieri deve andare di pari passi con un’altra azione, di fondamentale importanza: spendere i fondi Ue.
Al 21 novembre, secondo quanto ci ha riferito la Commissione europea, la Regione siciliana aveva certificato solo 12.100.404,58 di euro a valere sui fondi Fesr 2014/2020 per l’anno in corso. Poco più di un milione al mese dunque, su una dotazione complessiva – lo ricordiamo – di 4,27 miliardi, che contando anche gli altri programmi e i fondi nazionali arriva ad un totale di 11,5 miliardi di euro.
Per sbloccare tali risorse la bacchetta magica non basterebbe: mancano i progetti. La Regione è stata costretta a certificare progetti “vecchi”, i cosiddetti progetti retrospettivi. E quando ha speso, la Regione ha certificato all’ultimo minuto (gli ultimi giorni del mese di dicembre) costringendo così l’Ue a sbloccare i fondi in ritardo, che dopo essere rimasti tre mesi sui conti correnti della Regione, finalmente vengono girati ai beneficiari.
Serve dunque un Piano di sviluppo economico serio ed efficiente, che sfrutti fino all’osso i fondi europei e nazionali.
Basta munnizza a cielo aperto
Lo urliamo a gran voce da anni, abbiamo lanciato pure una petizione sulla piattaforma change.org a riguardo: basta munnizza a cielo aperto (clicca per firmare la petizione).
Nell’Isola, infatti, il 70% dei 2,2 mln di tonnellate di rifiuti-carburante finisce in discarica. Una percentuale spaventosa. La soluzione a questo “crimine” contro l’ambiente c’è, ne abbiamo esempi nei Paesi europei e nelle principali città del Nord Italia: i termocombustori.
Ogni singolo kg di rifiuto residuale, infatti, possiede circa 10 mega joule di energia che con termovalorizzatori di ultima generazione ad impatto quasi zero (pensate che a Copenaghen addirittura ci sciano sopra), potrebbero essere trasformati in elettricità o calore. E non è tutto: dalla spazzatura si ricavano anche materie prime e ciò che non viene prelevato va usato in altri processi che generano biogas, biodiesel, prodotti per sottoasfalto.
Per una definitiva risoluzione del problema rifiuti, è necessario un atto di coraggio del governo regionale: dare il via libera alla costruzione di termocombustori.
Svecchiare l’agricoltura attraverso le innovazioni
Uno dei propositi per il nuovo anno deve essere il rilancio di uno dei cavalli di battaglia dell’Isola, l’agricoltura. Per farlo bisogna partire dai giovani. Nel 2018 la Direzione Generale dell’agricoltura della Commissione europea ha pubblicato una serie numerosa e approfondita di dati: gli imprenditori agricoli con età inferiore a 35 anni, determinati dall’ultima analisi sulle strutture agrarie del 2013, sono il 5,9% del totale nell’Unione europea (28 Paesi membri) ed in Italia sono il 4,5%.
Che l’agricoltura soffra non è una novità. A confermare il trend negativo sono i dati dell’Istat, che certificano un calo della produzione agricola siciliana del 2,6% e del valore aggiunto del 4,2% (dati del 19 maggio 2019).
Per rilanciare il settore occorre svecchiarlo, puntando sull’agricoltura innovativa (tra le quali l’idroponica, pratica attraverso la quale le piante traggono il nutrimento necessario da una soluzione, composta da acqua e sali minerali, nella quale possono essere immerse in modo diretto o indiretto, attraverso un substrato di torba o di lana di roccia immerso nella soluzione).
Turismo da rilanciare con eventi tutto l’anno
Di cultura si può campare, specie in una regione come la Sicilia che ha la fortuna di riuscire a soddisfare i gusti vacanzieri di tutti: ha il mare e la montagna, musei e movida, natura incontaminata e città dalle architetture sofisticate. Eppure nel 2018 la Sicilia ha registrato 15,1 milioni di pernottamenti: un dato in crescita rispetto all’anno precedente, ma lontano da quello delle concorrenti affacciate sul Mediterraneo (Malta, 80 volte più piccola, ha registrato oltre 16 milioni di pernottamenti) e da altre regioni italiane, primo il Veneto con oltre 60 milioni di visitatori.
Per invogliare il turista a scegliere l’Isola non solo in estate occorre agire con proposte più accattivanti di soggiorno differenziati per segmenti di mercato. Gli eventi sull’Isola ci sono ma si concentrano solo nella stagione estiva: bisogna spalmarli durante tutti i mesi dell’anno con un piano di comunicazione “martellante” e “internazionale”. Martellante perché gli eventi sono poco pubblicizzati o pubblicizzati con poco anticipo; internazionale perché sono spesso messi in vetrina in sole due lingue, mentre altre regioni, come il Veneto, di lingue ne parlano quattro.
Una Formazione a braccetto con il lavoro
Con la disoccupazione oscillante tra il 20 e il 21% e quella giovanile che galoppa al 40% da un lato e la mancanza di alcuni profili professionali da inserire nel mondo del lavoro siciliano dall’altro, la logica vuole che, con un’adeguata formazione delle risorse che non hanno un lavoro, si possano prendere due piccioni con una fava. Così non è stato. Nonostante i fondi a pioggia destinati al settore della formazione (3 miliardi negli ultimi 15 anni), i risultati sono deludenti: “installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettromeccanici” registrano, ad esempio, una difficoltà di reperimento del 49,7% delle assunzioni.
Resta impassibile invece la schiera dei dipendenti degli enti di formazione e degli oramai defunti Sportelli multifunzionali. Dall’ultima ricognizione fatta dalla Regione, nell’albo dei formatori e dei servizi formativi, risultano iscritti 8.205 dipendenti, centinaia dei quali con qualifica bassa e già in là con gli anni.
Prepensionamenti e nuovi docenti per nuovi corsi (incentrati su tecnologia, turismo, agricoltura innovativa, ecc) devono essere i pilastri per far ripartire un settore da troppi anni inutile ai giovani.