La presidente Randazzo: “Il carcere deve essere l’ultima spiaggia, la funzione rieducativa va salvaguardata”
Riguardo allo stupro avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio e alle diverse polemiche che, soprattutto sui social network, sono emerse relativamente al rilascio del minore che sembra essere coinvolto nell’orribile vicenda, decisione seppur modificata perché avrebbe violato le consegne di non comunicare con l’esterno, interviene sul QdS la dottoressa Flora Randazzo, Presidente f.f. del Tribunale per i Minorenni di Palermo.
Presidente, sgombriamo il campo dalle facili polemiche a proposito della scelta del Giudice del Tribunale dei Minorenni di prevedere misure alternative al carcere per il minorenne indagato per lo stupro avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio…
“Volentieri. Ho ritenuto doveroso intervenire su questa vicenda non tanto sotto il profilo di valutazione del merito di ciò che è successo, non ritenendo di voler esprime alcun giudizio né riguardo alle vicende che riguardano i maggiorenni tantomeno a quelle che riguardano i soggetti minori di età, ma proprio perché dalla sommaria lettura di quanto apparso sugli organi di stampa in questi giorni mi è sembrato che la questione del trattamento differente dei soggetti maggiorenni e minorenni sia stata trattata in maniera fuorviante e mi è sembrato che emerga l’idea che il Tribunale dei Minorenni abbia usato una particolare clemenza fuori luogo in vicende così tragiche mentre non è così”.
Nello specifico?
“Ha usato la parola giusta. Va ben spiegato quale sia l’aspetto ‘specifico’ del trattamento dei minori che è riservato al Tribunale dei Minorenni. Mi colpisce il fatto che abbia suscitato polemiche la decisione di un Giudice del Tribunale di Minorenni che ha dato all’indagato la possibilità di non subire i pesanti aspetti di una custodia in carcere. Il diverso trattamento è voluto dal legislatore e rimesso alla valutazione di un Giudice specializzato. Nel caso concreto, pur non entrando nello specifico, la possibilità di evitare trattamenti particolarmente duri, nonostante l’efferatezza del delitto, è mirata all’occasione di migliorare determinati aspetti della personalità del minorenne. La misura della custodia cautelare della custodia in carcere deve essere l’ultima spiaggia per i maggiorenni e ancor di più per i minorenni e l’idea di colpire pesantemente il presunto autore di efferati delitti non può essere un’opinione che transita in maniera indifferenziata tra maggiorenni e minorenni. Se il Giudice ha scelto una strada diversa, che non è peraltro quella di remissione in libertà ma del collocamento in comunità, misura comunque pesante perché prevede l’allontanamento dalla famiglia, ha scelto per l’indagato un percorso che può facilitare i processi di rivisitazione del proprio operato, quei processi di responsabilizzazione che si devono attivare nei minorenni proprio sulla scorta di quanto previsto dal legislatore. Qualora si evincano dei segnali per cui si ritiene più opportuno, necessario e adeguato l’adozione di una misura che aiuti il giovane minorenne a rielaborare, in termini di maggiore aderenza alle norme, quello che è stato il suo comportamento passato, è importante che la funzione rieducativa sia salvaguardata e va evidenziato che il collocamento in comunità può essere utile anche al fine di favorire l’adozione consapevole da parte dell’indagato di rapporti con i coetanei improntati al rispetto dell’altro”.