Agenzia Entrate e Mef, le circolari non fanno testo se in contrasto con le disposizioni di legge - QdS

Agenzia Entrate e Mef, le circolari non fanno testo se in contrasto con le disposizioni di legge

Salvatore Forastieri

Agenzia Entrate e Mef, le circolari non fanno testo se in contrasto con le disposizioni di legge

sabato 07 Marzo 2020

Lo ha ribadito ancora una volta la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5799 dello scorso 3 marzo. Spesso, però, le interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria forniscono indicazioni utili ai contribuenti

ROMA – Che le circolari e le risoluzioni del ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate non sono disposizioni cogenti lo aveva già detto la Corte di Cassazione diverse volte. I cosiddetti “documenti di prassi”, infatti, non sono “fonti del diritto”, non possono prevedere, cioè, obblighi, limitazioni o adempimenti non previsti dalla legge.

Eppure, capita spesso che gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, nel motivare i propri atti, fanno riferimento alle circolari ed alle risoluzioni, documenti contenenti disposizioni emanate dagli Organi superiori ai quali gli stessi uffici non possono sottrarsi, principalmente al fine di non incorrere in responsabilità dal punto di vista disciplinare o responsabilità amministrativa verso la Corte dei Conti, ma che certamente non possono essere considerati atti dispositivi nei confronti dei contribuenti.

È il caso che ha formato oggetto della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 5799 pubblicata lo scorso 3 marzo. In questo caso la Suprema Corte, respingendo le conclusione del Procuratore generale, ha accolto il ricorso della parte contribuente alla quale l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’indebita fruizione delle agevolazioni fiscali prevista dall’articolo 4 della Legge 383/2001 (detassazione utili reinvestiti), sostenendo che, nella fattispecie, mancava il requisito della “novità” previsto dalla citata disposizione, ossia che, essendo l’oggetto dell’acquisto un immobile che era stato precedentemente trasformato da stabilimento industriale a caserma della polizia Stradale, non poteva essere considerato incluso nel concetto di “realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti e l’acquisto di beni strumentali nuovi”.

A sostegno della pretesa fiscale, non solo l’ufficio ma anche i Giudici di merito avevano affermato che, al fine di stabilire l’esistenza dei requisiti necessari per la concessione dell’agevolazione, dovevano essere presi in considerazione i documenti di prassi emanati sull’argomento dall’Agenzia delle Entrate.

Ma anche questa volta, come già detto, la Cassazione ha negato la validità di qualunque interpretazione dell’Amministrazione finanziaria in contrasto con le disposizioni legislative o comunque priva di supporto normativo.
Non si può non osservare, tuttavia, che, con la notissima confusione normativa esistente in materia fiscale (e non solo), le interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria spesso possono risultare importantissime al fine di consentire ai contribuenti interessati di applicare le nuove disposizioni senza il rischio di sbagliare e, magari, di incorrere involontariamente nelle sanzioni.

Meno spesso, ma comunque non di rado, l’Amministrazione finanziaria non solo fa chiarezza sulle disposizioni legislative confuse ed ambigue, ma mette in evidenza alcuni concetti assolutamente condivisibili da tutti e che, fornendo anche precise direttive agli uffici, prevengono contestazioni e contenzioso tributario.

Nella nostra Regione, per la verità, le istruzioni di questo genere sono state diverse.
La Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate per la Sicilia, infatti, più volte è intervenuta risolvendo in maniera rigorosa ma corretta e, pertanto, condivisibile, questioni che hanno rappresentato motivo di contrasto tra i cittadini e gli uffici fiscali.

È il caso, per esempio, di una direttiva “interna” con la quale, due anni fa, il Direttore Regionale ha fornito chiarimenti agli Uffici dipendenti sul “contraddittorio preventivo”, sollecitando il dialogo tra fisco e cittadini ritenendolo strumento importantissimo per trovare una base imponibile ed una conseguente tassazione quanto più vicini possibile alla realtà e quindi in linea con il dettato costituzionale riguardante la capacità contributiva di cui all’articolo 53. Istruzioni, quelle impartire dal Direttore Regionale, che, sempre al fine di accertare la giusta base imponibile, non hanno escluso, addirittura, il contraddittorio preventivo nei casi in cui quest’ultimo non sia espressamente previsto dalla Legge, come nell’ipotesi di “accertamento a tavolino”.

Altro caso è quello della presunta esistenza, basata su una interpretazione degli Organi centrali dell’Amministrazione finanziaria, di una responsabilità solidale tra “sostituto d’imposta” e “sostituito”, anche quando il soggetto sostituito ha subito la ritenuta da parte del suo fornitore (il sostituto) ma dimostrando, tramite l’esibizione della fattura e del documento che ha tracciato il pagamento, di avere già assolto all’obbligazione tributaria, anche se l’altra parte ha omesso di versare l’imposta e, magari, di presentare il modello 770. Anche in questo caso la Direzione Regionale si è schierata favore dei contribuenti in regola.

Anche in materia di autotutela, di accertamento con adesione, conciliazione giudiziale e di mediazione la Direzione Regionale della Sicilia si è pronunciata, invitando gli uffici a valutare bene le istanze dei contribuenti e ad intervenire prontamente, anche d’iniziativa, tutte le volte in cui ci si accorge che le osservazioni della parte sono condivisibili o comunque la pretesa fiscale risulti infondata o illegittima, annullando in autotutela, totalmente o parzialmente, senza alcun altro passaggio, l’atto amministrativo già notificato, anche quando lo stesso è diventato definitivo per mancata impugnazione oppure vi sia pendenza di giudizio.
Sempre in materia di autotutela, la Direzione Regionale ha ricordato che, al fine di procedere all’annullamento in autotutela, è sempre necessaria la presenza di un requisito indispensabile, ossia l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto.

È chiaro che in presenza di un mancato pagamento di un tributo, in caso di avvenuta regolare impugnazione dell’atto amministrativo notificato oltre i termini previsti, esiste l’interesse pubblico all’annullamento dell’accertamento notificato in ritardo. Proseguendo il contenzioso, infatti, l’Amministrazione finanziaria anderebbe incontro ad un giudizio sfavorevole, con addebito delle spese di giudizio o, addirittura, delle spese previste per lite temeraria.

Nel caso inverso, invece, ossia se manca il ricorso, la definitività dell’atto, seppure colpito da decadenza, fa venir meno l’interesse pubblico al suo annullamento, restando conseguentemente fermo l’interesse della Collettività a riscuotere un tributo che, in violazione delle norme esistenti, non è stato versato all’Erario.

Speriamo, quindi, di avere altre interpretazioni e chiarimenti, ma che non siano solo “pro fisco”, ma corrispondano, come è avvenuto diverse volte in Sicilia, all’interpretazione sostanzialmente (non solo formalmente) più vicina alla giusta imposizione, senza atteggiamenti “cautelativi” finalizzati solo ad evitare responsabilità.
In questo modo si incrementa la tax compliance e si ottiene una sensibile riduzione del contenzioso e dell’evasione.

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