Dalla peste di Atene fino al Coronavirus, le epidemie come vengono... se ne vanno - QdS

Dalla peste di Atene fino al Coronavirus, le epidemie come vengono… se ne vanno

Melania Tanteri

Dalla peste di Atene fino al Coronavirus, le epidemie come vengono… se ne vanno

sabato 02 Maggio 2020

Una ricostruzione storica delle pandemie e l'opinione degli infettivologi. Il prof. Cacopardo, "ritengo che il Covid-19 persa la sua virulenza, procederà con un andamento endemico e dovremo adattarci a una nuova quotidianità con lavaggio frequente delle mani, distanziamento e uso di mascherine”. Il prof. Iacobello, “L’ultima pandemia virale fu quella Spagnola che, dopo la sua diffusione e qualche fase di riattivazione, si spense d'un tratto"

Di certo è una novità. Non assoluta però. La pandemia da Covid-19, l’infezione virale che sta falcidiando buona parte dei Paesi nel mondo, può apparire sovradimensionata, unica se osservata dalla prospettiva generazionale, e per questo fare molta più paura. Eppure vi sono tanti precedenti di malattie spaventose e che, per chi le ha vissute, sembravano impossibili da superare. In epoca recente, infatti, epidemie di tali proporzioni, pandemie appunto, non ve ne sono state. Solo i centenari possono ricordare l’ultima grande pestilenza che ha decimato la popolazione in Europa e non solo: la Spagnola del 1918. Per chi ha qualche anno di meno, difficile immaginare la ripresa dopo un evento di questa portata, anche perché le malattie che hanno interessato il mondo in epoca recente sono, tutto sommato, rimaste confinate in determinati luoghi, non assumendo dunque carattere di pandemia. Eccezion fatta per l’Hiv, che negli anni Ottanta decimò una generazione, la cui trasmissione è però molto meno immediata di altre patologie, raggiungendo l’organismo attraverso scambio di sangue o di liquidi corporei.

Fenomeni come il Covid-19, dunque, non costituiscono una novità assoluta nella storia dell’uomo, costellata di numerose epidemie, costate la vita a milioni di persone. Certo, la globalizzazione, la velocità e capillarità dei trasporti e, in generale, l’impostazione della società moderna hanno accelerato la diffusione, permettendo al virus di raggiungere anche luoghi ameni e lontani. Ma malattie aggressive, spaventose, sconosciute e a cui non si è trovato rimedio sono sempre esistite. Molte di queste sono sparite, altre sono state debellate, altre ancora sono cambiate o rese meno aggressive dallo sviluppo del sistema immunitario e degli anticorpi. Lungi da qualsiasi presunzione, o dal voler assumere valore scientifico di alcun tipo, in questa sede si prova a esaminare quali malattie hanno segnato la storia dell’uomo e con quali le conseguenze.

Epoca antica
Per i più, soprattutto chi ha fatto studi classici, la grande epidemia della storia è senz’altro da considerarsi la “peste nera” che nel Medioevo falcidiò il 60% della popolazione dell’epoca, circa venti milioni di persone in pochi anni, un numero che potrebbe essere al ribasso. Le tracce nella letteratura e nella storia sono tantissime, ed evidenziano come non un virus ma un batterio allora sconosciuto abbia stravolto la società, costretta a barcamenarsi con un vero e proprio mistero. Le conoscenze mediche dell’Età di mezzo certo non erano a livello di quelle moderne, né tanto meno contemporanee, e la soluzione, come indica il Boccaccio nel Decameron, per alcuni era la quarantena, l’isolamento.
Eppure, la peste nera non è certo la prima documentata. Bisogna andare in Grecia e secoli indietro per trovarla: la prima grande epidemia conosciuta nella storia si è infatti manifestata ad Atene come febbre tifoide: si diffuse secondo alcune fonti storiche durante la guerra del Peloponneso nel 430 a.C. e uccise un quarto alle truppe di Atene e della popolazione in pochissimo tempo.

I libri di storia poi riportano tracce dell’epidemia chiamata morbo di Giustiniano che partì nel 541 d.C. e fu la prima vera pandemia nota di peste bubbonica. Si pensa che partì dell’Egitto per arrivare fino a Costantinopoli: anche in questo caso uccise quasi la metà degli abitanti della città con una velocità incredibile e si estese velocemente verso i territori circostanti colpendo di fatto gran parte del bacino del Mediterraneo.

Nei secoli successivi, si sono verificate numerose pestilenze ed epidemie: si pensi all’ondata di vaiolo del ‘500 che colpì il Messico causando 8 milioni di morti circa, o le nuove ondate di peste che investirono l’Europa, ma principalmente Inghilterra, Francia e Nord Italia, nel XVII secolo – di quella che colpì la Lombardia parla a lungo Alessandro Manzoni nei Promessi sposi; pur non avendola vissuta personalmente, il poeta attinse alle fonti disponibili all’epoca per ricostruire quanto accadde.

Epoca recente
Ma è l’influenza “Spagnola” (chiamata così non perché ebbe origine nella penisola Iberica ma perché dalla Spagna si ebbero le prime notizie della sua esistenza) che segna uno spartiacque tra il passato e il presente: secondo gli storici, si tratta infatti della più grande epidemia del Novecento. Scoppiata sul finire della Grande Guerra, si diffuse in tutto il mondo, anche perché facilitata dallo spostamento delle truppe. I sistemi sanitari furono essi duramente alla prova: si stima che il tasso di mortalità fu intorno al 20% e che le vittime siano state tra i 20 e i 50 milioni di persone, ma alcune fonti parlano addirittura di 100 milioni di morti. Nel caso della Spagnola, la documentazione a disposizione è maggiore: non solo cartacea, ma anche fotografica. Oltre che mnemonica: esiste ancora chi visse quei momenti, nonostante la tenera età.

Nel 1957 si diffuse in tutto il mondo l’influenza conosciuta come “Asiatica” che si diffuse in Cina e negli Stati Uniti uccidendo circa un milione di persone. Un decennio dopo si diffuse l’”Influenza di Hong Kong”, che colpì tutto il mondo uccidendo circa un milione di persone.

Il virus del vaiolo, nella storia, è comparso più volte portando alla morte milioni di persone, arrivando ad avere tassi di mortalità fino al 30%. Nel XVI secolo fu responsabile della morte di milioni di Indios, del Nuovo mondo, infettati dai coloni europei e in Europa si ripresentò in forma massiccia durante il XVIII secolo, infettando e sfigurando milioni di persone. Fortunatamente, il vaiolo è stato sconfitto dalla ricerca dell’uomo. La scienza riuscì a mettere a punto un vaccino, che si rivelò efficace, e dal 1977, anno in cui si è verificato l’ultimo caso in Somalia, la malattia è considerata dall’Oms eradicata.

La Sars, sindrome respiratoria acuta grave, si diffuse nel 2003. Non fu una vera e propria pandemia anche se il virus, proveniente dalla Cina, si diffuse a Hong Kong e di lì fino a Taipei, Singapore, Toronto e molte altre nazioni. Le vittime non hanno però superato il migliaio e, per questa malattia, l’Oms ha dichiarato un tasso di mortalità del 10.9%.

La più spaventosa delle epidemie recenti sembra la cosiddetta “Suina”, l’influenza data dal virus H1N1, diffusasi nel globo nel 2009. Secondo “Epicentro,”, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto superiore di sanità “a livello mondiale si stima che la pandemia ha causato tra i 100.000 e i 400.000 morti nel solo primo anno”.

Le riflessioni degli infettivologi Bruno Cacopardo e Carmelo Iacobello

CATANIA – I tempi sono ancora precoci per comprendere come si comporta il virus Covid 19 (Sars – CoV2) nonostante la comunità scientifica internazionale si sia immediatamente messa al lavoro per studiarne la struttura e, soprattutto, per trovare una forma vaccinale che possa contrastarne la diffusione. Ma sono in tanti a pensare come, questo virus, possa assumere comportamenti simili ad altri virus. Per quanto, al momento, si resti nel campo delle ipotesi.

Secondo il professor Bruno Cacopardo, direttore dell’Unità “Malattie infettive” del Garibaldi di Catania e membro del comitato tecnico-scientifico regionale per l’emergenza coronavirus “Questo virus potrebbe seguire diverse strade – ha dichiarato proprio sulle pagine del Quotidiano di Sicilia. – Potrebbe ritornare con le modifiche climatiche, quindi potremmo aspettarci un ritorno in autunno, potrebbe spegnersi fino a non lasciare traccia, come nel caso della Sars-CoV, potrebbe procedere con andamento endemico e non epidemico o procedere con impennate epidemiche ondulanti”.

“Personalmente – ha aggiunto – ritengo che il Covid-19 perderà la sua virulenza, infettività e procederà con un andamento endemico. Il virus cioè si manifesterà uniformemente nel tempo con pochi casi. Questo significa che dovremmo, in ogni caso, adattarci a una nuova quotidianità e modalità di vivere con azioni costanti come il lavaggio frequente delle mani, il distanziamento, l’uso di mascherine”.

Non si discosta poi tanto anche Carmelo Iacobello, primario di malattie infettive al Cannizzaro di Catania. Che innanzitutto distingue le forme batteriche da quelle virali, sottolineando come, relativamente alle prime, le terapie sono molto più efficaci, soprattutto nel Paesi più sviluppati e con ferme regole igieniche dove è difficile che si verifichino. A differenza delle patologie virali.

“Le forme batteriche sono diverse da quelle virali – spiega -. Quelle batteriche è difficile che vi siano ancora, soprattutto nei paesi ad alto tenore di vita e dove le condizioni igieniche sono alte. E poi, vi sono terapie disponibili in grado d bloccare questo genere di fenomeno”. Insomma, ai giorni nostri, in buona parte del globo, è più difficile che si verifichino ondate di peste o di colera.

“I virus hanno meno possibilità terapeutiche – prosegue Iacobello – e quindi siamo di fronte a situazioni diverse”, che potrebbero però seguire uno stesso copione. “L’ultima pandemia virale fu quella Spagnola – continua il direttore di Malattie infettive. Quella pandemia, dopo la sua diffusione e dopo aver avuto qualche fase di riattivazione, si spense di un tratto. Queste epidemie – ribadisce – come si accendono si spengono. Certo, lasciano dietro sé tantissimi morti, e non è escluso che i virus si possano riattivare nei precordi invernali, ma al contrario dei batteri, i virus hanno variabilità genetica e mutano. E poi necessitano dell’ospite per vivere, quindi di norma vi si adattano. Il problema – conclude – è che ancora non conosciamo come si comporterà il Covid 19”.

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