La diga di Blufi, un’incompiuta da 250 milioni. Il paradosso della Sicilia che piange la siccità - QdS

La diga di Blufi, un’incompiuta da 250 milioni. Il paradosso della Sicilia che piange la siccità

redazione

La diga di Blufi, un’incompiuta da 250 milioni. Il paradosso della Sicilia che piange la siccità

Hermes Carbone  |
venerdì 28 Giugno 2024

Appaltati negli anni ‘80 e avviati solo all’inizio dei ‘90, i lavori non sono mai stati portati a compimento tra cattiva gestione e mancanza di fondi. Ora la Regione ha stanziato 2 milioni per redigere un nuovo progetto

Blufi (Pa) – L’inizio dell’estate 2024 racconta di una emergenza idrica che per la Regione non si viveva da oltre cinquant’anni. Invasi ridotti ai minimi storici, razionamenti previsti dai singoli comuni: ben sei su nove quelli che saranno costretti ad affrontare la stagione con i rubinetti quasi a secco. Colpa della crisi climatica e della drastica diminuzione delle piogge in tutta la Regione, come è ben noto. Ma colpa ancor di più di una politica miope che non ha saputo né voluto affrontare il problema ancestrale dell’emergenza idrica in Sicilia. Procrastinandolo o, in alcuni casi, nascondendolo.

Non si parla mai di mala gestione

Come avviene in Sicilia, si combatte l’emergenza, ma non si parla mai di mala gestione. E quindi giù di fondi pubblici, come quelli appena richiesti dal governatore Schifani all’Ue per via delle condizioni di forza maggiore e circostanze eccezionali che sta vivendo l’Isola per l’emergenza siccità. Tutto ai sensi del regolamento Ue 2021/2116.

La Sicilia si trova ora in zona rossa per carenza di acqua

La Sicilia si trova ora in zona rossa per carenza di acqua: con noi, Marocco e Algeria. In un anno i bacini sono scesi del 40%, raggiungendo vette del 70% in alcuni invasi dell’Isola. I danni stimati soprattutto per il comparto agricolo si aggirano sul miliardo di euro, con rincari dei prodotti prevedibili a partire dalle prossime stagioni per le tasche degli italiani. A essere investito anche il settore turistico, che in estate accoglie circa 10 milioni di persone che non sanno ancora se e come potranno usufruire dell’acqua.

I dati provenienti dall’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia parlano chiaro: dei 289 milioni di metri cubi trattenuti dalle 29 dighe dell’Isola, l’acqua disponibile nei bacini è circa la metà. In un terzo degli invasi il volume utilizzabile oscilla tra 0 e 1 milione di metri cubi; in altri cinque tra 1 e 2 milioni. Metà di quell’acqua si ritiene non sia però utilizzabile. E in base ai rilevamenti delle società di gestione acque, oltre metà del prezioso fluido si perde in tubazioni vetuste o ammalorate. La Regione Sicilia ha quindi ben pensato di utilizzare altri fondi in una modalità comunque palliativa. Sono tre milioni di euro stanziati per il finanziamento di progetti per la ricerca di nuove fonti idriche, per la valutazione della possibilità di riattivare alcuni dissalatori e per la realizzazione di condotte idriche per alleviare le condizioni di crisi di alcune aree dell’Isola. A essere interessati il sistema acquedottistico Ancipa, relativo alla condotta Piazza Armerina-Gela; l’interconnessione del sistema Garcia-Arancio con il sistema irriguo alimentato dalla diga Trinità; l’interconnessione della diga Rubino con la vasca di carico della stazione di rilascio Castellaccio a Paceco.

Il finanziamento regionale si aggiunge ai fondi per 1,5 milioni di euro stanziati dal ministero delle Infrastrutture. Un altro milione di euro è stato poi assegnato al dipartimento regionale Tecnico per lo svolgimento di studi idrogeologici finalizzati a individuare nuove falde acquifere. Una perenne ricerca di novità in funzione dell’impossibilità di completamento di quelle che sono le opere pubbliche avviate in Sicilia e, appunto, mai terminate.

Non è una coincidenza l’esigenza di tornare indietro di oltre cinquant’anni – ultima grande siccità registrata – per conoscere la storia di un luogo che avrebbe dovuto essere salvifico in simili situazioni e che oggi versa in stato di abbandono. Nel frattempo, quel luogo, è costato alle tasche dei siciliani oltre 250 milioni di euro. Se andrà bene, come spiegano alcuni tecnici della zona che preferiscono però mantenere l’anonimato, “per terminare l’opera ne saranno necessari altrettanti”. Per redigere un nuovo progetto per il completamento – arenatosi tra il 2002 e il 2021 – la Regione ha di recente stanziato circa 2 milioni di euro. Oggetto: diga di Blufi. Data: tempo indefinito. Fine lavori: mai?

Dove si trova la Diga di Blufi

Con Google Maps basta digitare “Diga incompiuta di Blufi” per rendersi conto di dove questo luogo abbandonato da Dio – e anche da molti dei suoi stessi abitanti – sia localizzato. Ci troviamo all’interno del Parco delle Madonie, in provincia di Palermo. Circa 900 sono le anime che vivono in questa landa desolata di Sicilia dove per lo più si campa di agricoltura e pastorizia. O si campava, sarebbe opportuno dire per via dei capannoni vuoti e dei campi aridi. Sembra agosto inoltrato: è appena metà giugno. Il viadotto che ci accoglie all’uscita autostradale di Irosa, sulla A19 Palermo – Catania, sembra lasci ben sperare: con sorpresa, è appena stato asfaltato. Di fianco c’è l’indicazione del potabilizzatore di Blufi, per il quale Siciliacque S.p.a risulta abbia operato degli adeguamenti pagati 1 milione e 700 mila euro dalla Regione Sicilia con Fondi Intesa 2000 – 2006: un particolare che lascia presagire quanto sia impattante il problema della carenza idrica a queste latitudini.

Circa 10 sono i chilometri dall’uscita autostradale al paese, sempre secondo Maps. Ecco, non ci credete: è solo l’inizio di un’illusione durata un paio di ore d’inferno. La temperatura fuori è di quaranta gradi. Il cielo terso, come annebbiato da incendi. L’aria ti accoglie bruciando il viso con un fare quasi soffocante. Sono le 13 di un giovedì di giugno: ci si attenderebbe ben altro. A peggiorare le cose, il crollo della via di collegamento diretta con il paese, interdetta al transito: “Colpa della diga e della mancata messa in sicurezza del terreno”, racconta in dialetto la signora Angela, che a Blufi è cresciuta prima di vedere emigrare i suoi figli altrove. Tenta di fornirci delle indicazioni, non sa neppure lei per dove: “Le strade franano sempre, non so come sono messe nella vallata adesso”.

Se non fosse per l’aridità, il paesaggio somiglierebbe all’Altipiano di Asiago: solo che qui i sali e scendi sono dovuti, appunto, alle frane e i ripetuti smottamenti che interessano questi terreni non abituati al drenaggio costante e che quindi si sgretolano all’arrivo delle prime acque. Proviamo a raggiungerla attraverso l’antica via dell’acquedotto romano: niente da fare, transito bloccato.

“Ieri pomeriggio neppure i tecnici di Siciliacque sono riusciti a passare: crolla sempre tutto”, racconta Giuseppe, appena trasferitosi in una delle abitazioni più vicine alla diga. “Potete provare a passare dallo sterrato, ma sono oltre 3 chilometri di terreni privati e non so se possono bloccarvi o chi può bloccarvi. Meglio non andare”. Temerari, dopo un’ora di girotondo e in assenza di percorsi tracciati dalle mappe, tentiamo anche questa carta grazie alla macchina che prevede anche la modalità 4×4.

La diga di Blufi doveva essere una delle più importanti infrastrutture idriche

La diga di Blufi era stata concepita come una delle più importanti infrastrutture idriche della Sicilia, con l’acqua del fiume Imera pronta per essere convogliata e al bisogno distribuita nella Sicilia Occidentale. I lavori appaltati negli anni ’80 e avviati solo all’inizio dei ’90 a causa di una campagna espropri affatto agevole, raccontano solo in parte le difficoltà procedurali. L’idea: ricreare un bacino artificiale che avrebbe garantito l’approvvigionamento idrico per uso agricolo, industriale e domestico a una vasta area della regione. Un’idea, appunto. Perché gli studi preliminari – non è comprensibile come – non avevano tenuto conto delle caratteristiche franose del terreno e delle falde acquifere sotterranee. E quindi giù di revisioni perse nelle lungaggini burocratiche.

A lavori in corso, la situazione si aggravò a causa della mancanza di fondi. Nonostante gli ingenti finanziamenti stanziati, parte di quelle somme venne distolta per altre emergenze e progetti, lasciando la diga in una situazione di stallo. La cattiva gestione finanziaria e la corruzione all’interno degli enti locali e regionali furono fattori determinanti per il blocco dei lavori. A dieci anni dall’inizio dei cantieri, inchieste giudiziarie portarono poi alla luce una serie di irregolarità: strano.

Corruzione, appalti truccati, tangenti

A essere coinvolti imprenditori, politici e funzionari pubblici. Le aziende impegnate nella costruzione della diga avevano legami con la criminalità organizzata. Nel frattempo, però, erano stati spesi circa 250 milioni di euro per un’opera ancora parecchio lontana dal suo completamento. Da qui, il blocco del 2002. La mancanza di un controllo rigoroso da parte della Regione aveva permesso la proliferazione di pratiche illegali e la dispersione di risorse pubbliche. È in Sicilia il mezzo secolo della Democrazia Cristiana, che dal 1948 al 1998 – tranne brevissime parentesi – vince le elezioni a mani basse.

L’incompiutezza della diga di Blufi ha avuto effetti su territorio e popolazione locale: il 20% della popolazione è andato via negli ultimi vent’anni. I giovani fuggono; i vecchi agricoltori che avevano sperato di irrigare i campi con la diga, o sono rimasti a secco o attendono Godot. Da qui, l’esigenza di un potabilizzatore: una soluzione tampone, neanche a dirlo. Benché se ne sia tornato a parlare all’Ars, la Regione non ha idea di dove trovare i fondi per il completamento dell’opera, che avrebbe portato acqua alle province di Agrigento, Palermo e Caltanissetta. Quella del project financing, con l’innesto di capitali privati, resta forse l’ultima speranza per Blufi e i suoi abitanti.

La vasca e gli impalcati che si vedono sullo sfondo raccontano di un luogo divenuto inaccessibile nel tempo anche agli stessi operai che dovrebbero un giorno tornare nei cantieri: strade percorribili per raggiungere la diga, a oggi, non ce ne sono più. Anche con il 4×4, a un certo punto, abbiamo dovuto rinunciare. Resta uno scheletro davanti ai nostri occhi. Uno scheletro che oggi avrebbe dovuto consentire all’Isola di affrontare con maggiore serenità il dramma della siccità.

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