Proviamo però a immaginare che, non troppo tardi, si possa arrivare a un armistizio, o alla pace
Nessuno può sapere come finirà la guerra in Ucraina, benché la maggioranza dei commentatori ne escluda un’estensione catastrofica. Proviamo però a immaginare che, non troppo tardi, si possa arrivare a un armistizio, o alla pace. Si porrebbe allora la questione della ricostruzione e dei soggetti a essa deputati.
Non potendo supporre un ruolo della Russia, possiamo comunque immaginarne uno degli Usa e della Ue. Resta che, quando quel “Cantiere” partisse, esso costituirebbe un attrattore formidabile di investimenti. La sola sua prospettiva, combinata con l’attesa integrazione alla Ue di tutti gli Stati balcanici (che l’Italia sostiene), sta anzi accelerando l’attuazione dei loro corridoi infrastrutturali: una spinta favorita dalla Germania e dai Paesi orientali della Ue.
Cosa può significare, per l’Italia, uno scenario del genere? Il porto di Trieste e il Nord-Est potrebbero giovarsene, ma non da comprimari. Si ridurrebbero invece a un lume le speranze del nostro Mezzogiorno, legate all’economia dei trasporti: in prima linea vi sarebbe infatti il porto greco del Pireo, connesso ai corridoi balcanici e geograficamente il primo capace di raccogliere non impossibili interessi estremo-orientali nella ricostruzione ucraina. Alcune decisioni recenti della Ue avvalorano tale scenario: conta, da ultimo, lo status acquisito dalla Bosnia-Erzegovina quale candidato all’entrata nell’Unione; ma, già dal settembre del 2021, su impulso della Ue e delle banche europee d’investimento Bei e Bers, gli Stati balcanici avevano sottoscritto un “Dedication to Rail”, finalizzato a completare, attraverso Serbia, Kossovo e Macedonia del Nord, il “Corridoio Veloce Mediterraneo Orientale”.
Recentissimo è poi, da parte delle medesime banche, l’investimento di € 1,6 mld per completare la direttrice Belgrado-Budapest, di cui è già in esercizio la tratta Belgrado-Novi Sad, finanziata dalla Cina. Ai primi di novembre scorso sono anche iniziati i lavori di completamento del corridoio transeuropeo VIII, tra Skopje e Sofia. Infine, lo scorso luglio, la proposta n. 384 della Commissione Europea ha rotto l’equilibrio, stabilito fin dal 2013, tra gli assi Nord-Sud ed Est-Ovest della rete Ten-T, a favore dell’Est: una mossa, questa, intesa a bilanciare l’invasione russa dell’Ucraina, che però, come rileva Eurispes, penalizzerebbe gravemente i porti dell’Italia del Sud. Un Sud che, se avesse già l’Alta Velocità (almeno fino a Reggio) e il Ponte di Messina, potrebbe concorrere con i porti di Gioia Tauro e Augusta. E invece no.
Perduta già, per insipienza, la partita a venire, l’Italia non può però arrendersi. Resta infatti in piedi la chance nord-africana, cioè la scommessa vera del futuro. I gasdotti e i nuovi elettrodotti non basteranno da soli a garantire i nostri interessi mediterranei. Prima che Marocco e Spagna si colleghino con un tunnel sub-alveo, l’Italia dovrà spingere l’infrastrutturazione per meridiani: servono l’Alta Velocità, il Ponte sullo Stretto e nuovi porti in Sicilia, per puntare decisamente verso l’Africa.